In questi giorni sopravvivere a Milano è più dura che a Kiev. Nella guerra più social di sempre, #Ucraina #Russia
e #Putin
sono diventati tendenze da cavalcare, emozioni con cui ingaggiare la community e contenuti da condividere. A farla da padrone ecco emergere dalla palude urbana digitalizzata i committed influencers, versione 4.0 dell’intellettuale impegnato
di togliattiana memoria, maggiormente fotogenico ed egualmente rompi coglioni. L’influencer committed è un mix tra un foreign fighter che invece del mitra imbraccia lo smartphone e un capopopolo che invece del popolo arringa i propri followers. L’obiettivo è smuovere le coscienze, condividere l’orrore, mobilitare gli utenti e incitarli all’azione, ma soprattutto lanciare un messaggio tanto chiaro quanto scomodo, impopolare e pericoloso da pronunciare: la guerra fa schifo.
Ecco allora che più che capire e approfondire è importante darsi da fare nella guerra digitale di trincea: attaccare uno sticker gialloblu sul Mac, appendere una bandiera ucraina alla zip dello zaino, pubblicare tra feed e stories almeno dieci contenuti la settimana riguardanti la tragicità della guerra (meglio se con protagonisti donne e bambini, ndr), farsi vedere alle manifestazioni del sabato in Arco della Pace
e recarsi al punto di raccolta beni in Via Meda 50, dove la prima cosa che leggi appesa al muro è la password del Wi-Fi perché se c’è una cosa peggiore della tragica resistenza del popolo ucraino, è contribuirvi con una confezione di fusilli di sottomarca recuperata in fondo alla dispensa e non avere la connessione necessaria per condividerlo.
Una strategia militare così collaudata e di successo, non nasce certo dall’oggi al domani e alla fatidica notte del 23 febbraio
siamo per fortuna arrivati allenati. Come novelli soldati dei social, nei mesi precedenti non sono certo mancate le occasioni per addestrarsi a combattere a duemila chilometri di distanza la guerra più social di sempre.
A fine ottobre era stato l’affossamento del DDL Zan a creare scenari simili a quelli attuali, tra dirette Instagram al vetriolo, anatemi pubblici, arcobaleni disegnati sulle mani e il ritrovo del sabato pomeriggio in Arco della Pace
. Spolier: numero di contenut* pubblicat*: 9*. Numero di righe lette del disegno di legge: 0.
Tra il DDL Zan e la guerra in Ucraina, a tenere banco digitale e destare le coscienze dei milanesi addormentate dal torpore natalizio era stato lo sgombero delle gallerie adiacenti alla Stazione Centrale
. L’indignazione era scattata dopo che alcuni influencer avevano rilanciato la notizia di un intervento del Comune
e della Polizia Locale per sfrattare alcuni senza tetto dai tunnel vicino alla stazione, in vista del calo delle temperature. Senza dare il tempo al Comune
di spiegare, motivare e circostanziare il perché dell’azione, la levata di scudi aveva investito la Giunta scomodando parole forti come accoglienza, esproprio (erano stati gettati materassi e coperte, ma solo quelli che i proprietari avevano scelto di non tenere con sé, ndr) e solidarietà. Chi in quei giorni non aveva condiviso almeno una foto dello striscione appeso al muro del tunnel, La povertà non è una questione di decoro, era una persona quantomeno sospetta, abituata a vivere al caldo e a trovare sempre un piatto pronto a cena, e forse sotto sotto inconsapevolmente fascista.
La schiera di influencer trovò così il coraggio di rilanciare e denunciare l’accaduto inserendo in bacheca una foto iconica con i resti di tende e materassi lasciati dagli sfrattati, accompagnata da una frase ad effetto critica nei confronti dell’amministrazione e confinante a sinistra con un’insalata avocado e salmone da 25 euro
mangiata a pranzo il giorno dopo e a destra con la sauna dell’hotel valtellinese visitato il weekend precedente. Nei commenti centinaia di follower ringraziavano per il coraggio di sostenere posizioni scomode, dire cose che nessuno diceva, costi quel che costi, e prendere posto dalla parte del torto perché gli altri posti erano tutti occupati. Da chi non si sapeva, visto che il ristorante dell’indignazione aveva come sempre richiamato orde di avventori, servendo tendenze etico/social un tanto al chilo. Pochi giorni più tardi, l’attenzione era tutta per le decorazioni natalizie del famoso mega store di giochi Fao Schwarz, recentemente aperto in piazza Cordusio.
I senza-tetto non solo erano passati di moda, ma erano pure tornati nei tunnel e purtroppo nessuno di loro morì congelato nelle settimane successive, con buona pace di una community che mai si era domandata come avrebbe reagito in quel caso.
Ma per fortuna, l’alternativa esiste. Basta spegnere/silenziare/disconnettere/affogare il telefono e accendere la cara vecchia televisione, per poi beccarsi le scene di un videogioco mostrate dal Tg2 prima di lanciare un servizio sul problema censura e disinformatia in Russia e di leggere un successivo comunicato in cui si annuncia il ritiro dei propri inviati e corrispondenti dalla Russia in seguito all’approvazione della normativa che prevede forti pene detentive per la pubblicazione di notizie ritenute false dalle autorità. È tutto dannatamente bello
.
Ci restano forse i libri, sperando che qualcuno riesca a trovarli e bruciarli tutti prima che sia troppo tardi.