TROTSKY PRECURSORE DI STALIN 

TROTSKY PRECURSORE DI STALIN 
Lettura boomer
Trotsky, l’amante di Frida Kahlo. Trotsky l’affascinante. Trotsky l’uomo di mondo. Trotsky il critico libertario amante delle belle arti. Trotsky, il compagno giusto versus il sanguinario Stalin. Trotsky apollineo. Trotsky il dem-progressista che si oppone al dispotismo orientale. Trotsky l’internazionalista. Trotsky il cazzo. Trotsky. Trockij. Trotskij. Trotzki. Che non sai mai come scriverlo. Si compri una t-shirt fucsia con incollate le languide facce stilizzate di Trotsky e Frida e si immortali tutto con un selfie in via del Corso a Roma, perché poco ci manca.  

I fautori di tal misfatti spesso corroborano le loro tesi citando righe di inutili scritti di Trotsky pubblicati in tarda età, pensati da quest’ultimo tra la prima e la seconda colazione consumata in giardino durante l’esilio messicano, poco prima di prendersi un’infame picconata in testa per aver avuto la brutta idea di dare le spalle allo zio di Christian de Sica. Vien da chiedersi com’è possibile che Lev Davidovic Bronstein, in arte Trotsky, grande leader della Rivoluzione d’ottobre, comandante supremo dell’Armata Rossa e ossessione di Stalin, sia diventato nel tempo un’icona per brochures da rivista liberal-libertaria-globalista-arcobaleno..

Perché? Certo, da una parte la demolizione della figura di Stalin ad opera di Nikita Kruscev, in quel famoso discorso al XX Congresso del PCUS del 25 febbraio 1956, e l’eredità che tale discorso ha lasciato con la successiva ‘destalinizzazione’ dell’URSS hanno contribuito a recuperare in occidente, in ottica anti-staliniana, la memoria di un rivoluzionario-eretico letteralmente scomparso dall’immaginario collettivo della lotta politica, nonostante il suo contributo decisivo alla causa bolscevica. Ne è un esempio l’assenza di trotskisti con le solite eccezioni che confermano la regola durante il lungo Sessantotto italiano: un movimento globale che prediligeva le figure di Mao, Lenin, Che Guevara, Ho-Chi-Minh, Fidel Castro, ma non Trotsky. Solo dopo la fine del movimento sessantottino la figura storica di Trotsky ha ottenuto attenzioni maggiori. E quando l’ideologia di sinistra ha cominciato ad abbracciare neoliberismo e globalizzazione, feticismo democratico e retorica progressista, in assenza di una figura radicale e trasgressiva a cui far riferimento, ben si è pensato di trasformare un mastino in un addomesticabile bassotto da appartamento. Ed ecco il capolavoro di cui si parlava all’inizio. 

Motivo per cui è arrivato il momento di ridare dignità, spessore e profondità a un personaggio complesso e contraddittorio, quale fu Lev Davidovic Bronstein ‘Trotsky’. Magari con un epiteto provocatorio. Non se n’è può più della roba di cui sopra. Basta con il Trotsky liberal-libertario. Basta con il Trotsky democratico. Basta con il Trotsky pacifista. Basta con il Trotsky egualparitario. Che si contrapponga a tutto ciò il Trotsky rivoluzionareazionario, il Trotsky pro-terrorismo, il Trotsky collettivista, il Trotsky fucilator di disertori, il Trotsky uomo d’azione, il Trotsky capo supremo dell’Armata rossa. Lo si urli fin nelle profondità del metaverso:

TROTSKY PRECURSORE DI STALIN.

Trotsky precursore di Stalin: ‘Terrorismo e Comunismo’

Nel bel mezzo della guerra civile russa un imponente treno, spinto da due pesanti locomotive, passava in rassegna il fronte dalla Siberia alle regioni del Donbass. I vagoni, coperti di gelo, trasportavano tutto ciò che occorreva in guerra: automobili, cannoni, scorte di armi, munizioni, medicinali, cavalli, bestiame, stampanti; a tutto ciò si aggiungeva una biblioteca, una tipografia, radiotelegrafi e telefoni; a bordo vi erano i soldati dell’Armata Rossa, rigorosamente vestiti in cuoio nero, e il loro capo: il Commissario del popolo Lev Trotsky. Questi poteva contare sulla presenza nel treno di un tribunale speciale, un segretariato, uno stato maggiore e personali guardie del corpo. Per mantenere su il morale dei soldati, costretti a stanziare in precarie condizioni e in preda al freddo, ci si appellava alle orazioni e alla propaganda. Non un passo indietro: chiunque disertava veniva fucilato sul posto. Ne sa qualcosa il commissario Panteleev.

In questo clima, su quel treno, all’interno della biblioteca mobile, Lev Trotsky partorì una delle opere più radicali del comunismo del Novecento, forse la più estrema e la più cupa: Terrorismo e comunismo anti-Kautsky (conosciuta come Terrorismo e comunismo), una violentissima risposta agli attacchi dell’omonimo pamphlet di Karl Kautsky, leader della socialdemocrazia tedesca. Trotsky scrisse il testo durante il 1920, l’anno delle battaglie decisive della guerra civile (il testo venne pubblicato in Italia nel 1921 da l’Avanti!). La casa editrice Mimesis ne ha fatto uscire un’edizione nel 2011 arricchita con una presentazione di Slavoj Zizek e una postfazione di Antonio Caronia: Zizek presenta Trockij: Terrorismo e Comunismo.

Si cominci:

Gli anni della guerra civile sono fondamentali per comprendere la storia dell’URSS e dei suoi protagonisti, una zona grigia alla quale (forse) non viene data la giusta importanza. Il trait d’union di questo cruciale passaggio è stato Lev Trotsky, creatore di gran parte della propaganda di quei sanguinosi anni. A questo periodo risalgono anche i primi concreti conflitti con Stalin, che si fece una lunga schiera di seguaci all’interno della X Armata guidata dal generale Voroshilov, perennemente in polemica con i vertici trotskisti. Durante tutto l’arco della guerra civile, che vide i bolscevichii Rossi– combattere le forze controrivoluzionarie appoggiate dalle potenze occidentali –i Bianchi-, gli uomini di Vladimir Lenin avevano toccato con mano la loro fine politica nel 1918, in seguito al trattato di pace di Brest-Litovsk e la loro fine militare nel 1919, quando vennero accerchiati dagli eserciti nemici.

I bolscevichi, che nei loro programmi politici erano stati sempre contrari al concetto di esercito permanente, con il divampare della guerra civile si trovarono davanti all’esigenza di formarne uno e questo compito spettò a Trotsky, che si trovò nella difficile situazione di dover spiegare ai soldati che a comandarli sarebbero tornati i vecchi generali zaristi che pochi mesi prima avevano mandato via a calci in culo, tra una bestemmia e l’altra. Per avere la meglio e sopravvivere alla storia, i bolscevichi si servirono del comunismo di guerra, del lavoro obbligatorio, della collettivizzazione forzata e della militarizzazione dei sindacati, aggiungendo al tutto una buona dose di terrore. Il terrore rosso e il terrore bianco furono elementi caratterizzanti di quel conflitto: entrambe le parti in gioco non miravano solo alla vittoria, ma allo sterminio dell’avversario. Questo termine, sterminio, è infatti costantemente presente negli scritti militari di Trotsky. 

Karl Kautsky, che Zizek definisce ‘oggi giustamente dimenticato’, e che si aggiunga finalmente dimenticato, nel 1919-20 era non proprio uno qualunque. Karl Kautsky era il leader del partito socialdemocratico tedesco (SPD), il partito socialdemocratico più influente del mondo, uno dei fondatori della Seconda Internazionale. Tra il 1885 e il 1890 era stato segretario di Friedrich Engels. La sua filosofia fu influenzata dal darwinismo, al punto tale che Kautsky arrivò a una lettura in chiave evoluzionistica della lotta di classe:

la fine del capitalismo diveniva un fatto storicamente oggettivo e inevitabile, di conseguenza il proletariato non doveva prendere l’iniziativa ma aspettare che i rapporti di forza permettessero una situazione tale da diventare automaticamente la classe dirigente dello stato.

La rivoluzione sarebbe arrivata per gradi, scaturiti dai rapporti di forza. Nel 1920 Kautsky aveva già scritto contro i bolscevichi tre pamphlet estremamente polemici: Dittatura o Democrazia e La dittatura del proletariato, ai quali rispose Lenin con La dittatura proletaria e il rinnegato Kautsky. Al terzo pamphlet, Terrorismo e Comunismo, rispose Trotsky, attraverso un contro-pamphlet che rappresenta oggi il disperato urlo del bolscevismo di quegli anni. Chiunque continui a inquinare il mondo propinandoci quel Trotsky edulcorato da pennellate libertarie dovrebbe leggere questo libro e poi andarsi a prendere una sbronza per scacciare la disillusione.

Terrorismo e comunismo è un inno in difesa della dittatura del proletariato.

Al punto sollevato da Kautsky sui rapporti di forza, e secondo cui i bolscevichi non sono un risultato naturale di tali rapporti, Trotsky risponde difendendo lo slancio vitalistico dei bolscevichi, i quali non ci mettono troppo a passare dalla teoria all’azione:

Il regime sovietico in Russia è utopistico perché non corrisponde ai rapporti di forza. L’arretrata Russia non può porsi gli obiettivi che sarebbero appropriati all’avanzata Germania. E per il proletariato tedesco sarebbe una follia prendere in mano il potere perché attualmente ciò disturberebbe i rapporti di forza […]. Ma cosa sono dopo tutto questi rapporti di forza? Perché questa formula dei rapporti di forza appare inevitabilmente in bocca a Kautsky e della sua attuale scuola come una giustificazione dell’indecisione, del torpore, della vigliaccheria e del tradimento? […]in realtà pane e carbone, specialmente nei nostri tempi, sono i fattori principali del meccanismo dei rapporti di forza.’

I rimproveri di Kautsky si soffermavano molto sulla questione democrazia-dittatura. Kautsky sosteneva che il governo bolscevico fosse diventato la dittatura di una minoranza contro una maggioranza, un processo che aveva avuto il suo apice nello scioglimento dell’Assemblea costituente. Trotsky si allineava all’attacco di Lenin che definiva Kautsky un traditore:

‘La dittatura è necessaria perché non si tratta solo di cambiamenti parziali, ma è in gioco la stessa esistenza della borghesia. Nessun accordo è possibile su questo terreno […] Abbandonando l’idea di una dittatura rivoluzionaria, Kautsky trasforma il problema della conquista del potere da parte del proletariato nel problema della conquista della maggioranza dei voti da parte del partito socialdemocratico in una delle prossime campagne elettorali’ 

In difesa del terrorismo.

In alcuni passi di questo scritto, Trotsky, in condizioni del tutto estreme come quelle della guerra civile, sembra porre il terrore in continuità con la rivoluzione marxista-leninista. Negli anni della guerra civile il simbolo del terrore rosso era la polizia politica di Feliks Dzerzinskij, l’uomo che riponeva una fiducia messianica nella rivoluzione e disposto a non dormire e non mangiare per giorni pur di servire la causa bolscevica. Il proletariato, in quest’ottica, si serviva del terrore per sopravvivere alla storia:

 ‘Il grado di crudeltà della lotta dipende da una serie di circostanze interne e internazionali. Quanto più feroce e intensa è la resistenza della classe nemica che è stata rovesciata, tanto più inevitabilmente il sistema di repressione assume la forma di un sistema di terrore. […] Fu proprio questa circostanza che costrinse il proletariato russo, in un momento di grandissimo pericolo, tra gli attacchi stranieri e le insurrezioni interne, a ricorrere a severe misure di terrore di stato. Nessuno potrà dire adesso che queste misure si sono rivelate inutili. […] In questo senso, il terrore rosso non può essere distinto dall’insurrezione armata, di cui rappresenta la diretta continuazione’

In difesa della militarizzazione del lavoro.

Per poter mettere in moto la macchina economica statale, una volta che l’impegno bellico richiedeva meno energie al fronte, era necessario, secondo Trotsky, rendere il lavoro obbligatorio e militarizzarlo. Le requisizioni di grano nelle campagne, ad esempio, avevano un senso solo se i contadini lavoravano quotidianamente i campi, perché non si può requisire un qualcosa che in principio non si possiede o non si produce. Trotsky fu il principale teorico della militarizzazione del lavoro. Il suo piano, che venne criticato da molti bolscevichi perché ritenuto estremamente astratto, ottenne alla fine la fiducia di Lenin, e prevedeva quattro passaggi: dapprima la ricostruzione dei trasporti e delle principali scorte di beni indispensabili; poi la produzione di macchine per i settori di base, quindi quella delle macchine per la produzione di beni di consumo e, infine, i beni di consumo stessi. E qui entrava in gioco la fondamentale esperienza dell’esercito: il lavoro, concepito in quest’ottica, veniva teorizzato, e difeso, sulla base dell’esperienza di Trotsky con la creazione dell’Armata rossa:

 ‘La storia ci conduce, su tutta la linea, al nostro problema fondamentale: l’organizzazione del lavoro su nuovi fondamenti sociali. L’organizzazione del lavoro è per sua essenza l’organizzazione della nuova società: ogni forma storica della società è nei suoi fondamenti una forma di organizzazione del lavoro. […] In generale, l’uomo cerca di evitare il lavoro. L’amore per il lavoro non è affatto una caratteristica innata […]. L’introduzione del servizio del lavoro obbligatorio è impensabile senza l’applicazione, a un grado più o meno alto, dei metodi della militarizzazione del lavoro’

In tutto il contro-pamphlet sembrano esserci idee che ricordano gli anni Trenta dello stalinismo: durante la guerra civile Trotsky anticipava il dominio del partito unico, il lavoro obbligatorio e militarizzato, visioni embrionali di collettivizzazione, l’uso legittimo del terrore rivoluzionario, divenuto sotto Stalin terrore di Stato. Lo dice apertamente e con una certa convinzione. Scrive Zizek che dopo la morte di Stalin tra le sue carte personali venne trovata una copia di Terrorismo e Comunismo di Trotsky, piena di annotazioni personali e commenti scritti dallo stesso Stalin. Quest’opera rappresenta in modo emblematico le venature utopiche del bolscevismo durante il conflitto civile: organizzazione scientifica e militare del lavoro, esaltazione dell’ingegneria sociale, presenza del culto della macchina; tutti fattori che influenzarono enormemente le avanguardie artistiche di quel periodo, in particolar modo la corrente futurista russa.

Molti trotskisti dell’epoca hanno fatto finta che questo testo non esistesse, compresi storici influenti come Isaac Deutscher e Viktor Serge, due dei più importanti biografi di Trotsky, che lo recepirono forse come un testo partorito in un periodo di esasperate insicurezze. L’immaginario collettivo ci ha abituato a vedere sempre il trotskismo contrapposto allo stalinismo, internazionalismo rivoluzionario contro il socialismo in un solo paese.

Per questo motivo Terrorismo e Comunismo è uno dei libri più interessanti di Trotsky: un testo che rappresenta la rottura definitiva con la socialdemocrazia occidentale arroccata nel parlamentarismo, uno scontro generazionale con ‘i vecchi’ della Seconda Internazionale, ovvero una manica di ciceroniper dirla alla F.T. Marinetti– imbevuti di teorie incapaci di capire quei giovani bolscevichi che la rivoluzione la volevano fare davvero; arricchisce con nuovi colori, non sfumature, una figura spesso vittima di descrizioni oleografiche, o meglio, di ‘mistificanti transustanziazioni’, per usare le convincenti parole di Zizek.

E’ tra queste righe che troviamo un eccezionale punto di contatto tra Trotsky e Stalin:

   C’è quindi una terza incarnazione del signor Bronstein –scrive Zizek-che troviamo proprio in Terrorismo e comunismo: Trockij come precursore di Stalin […] Ecco perché Terrorismo e comunismo è il libro chiave di Trotckij, il suo testo ‘sintomale’, che non si dovrebbe in nessun modo ignorare […] Il problema di fondo sta altrove: sta nel fatto che per Trockij la battaglia si sarebbe combattuta e vinta proprio sul terreno squisitamente staliniano del terrore e della mobilitazione industriale: è su questo punto che deve essere dimostrata quella minima, ma fondamentale differenza (se c’è) tra Trockij e Stalin’.

Viva Trotsky. Precursore di Stalin. 

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