Il mondo degli uomini è il regno della menzogna. Si istituiscono gerarchie, si mistifica, si inventa ogni sciocchezza, si inseguono piccoli divertimenti per sfuggire alla noia e alla miseria.
Il mondo dei fatti, la natura, al contrario non fa sconti: è il regno del vero e del necessario, non si cura delle opinioni, delle prese di posizione, dei fatterelli religiosi e dei preti, né dei missionari umanoidi della cazzata ad ogni costo. Non delle convenzioni, non delle gerarchie fantastiche che organizzano la vita associata.
Ad esso dobbiamo rivolgerci, noi cultori del vero e della scienza (noi specie superiore), per trarre le nostre conclusioni. L’infinita saggezza dei fatti offre a chi sappia interpretarli un’angolatura particolare, talvolta una conferma di ciò che si va cercando, di ciò che si va spiegando.
Capita di continuo nei laboratori, in cui uomini e donne pazienti strappano all’universo, progressivamente, un pezzetto del suo mistero.
Con maggiore difficoltà, con minore sistematicità, analoghe illuminazioni del vero possono darsi anche per le strade, tra la polvere e lo schifo dell’umanità.
Capita così che un’entità biologica ultramicroscopica – fuori mezzo proteica, mezzo lipidica, dentro assolutamente genomica – della famiglia Poxviridae, venga a darci la riprova definitiva di un’ovvia considerazione antropologica, o per meglio dire zoologica: la fauna frequentatrice di discoteche ingombra erroneamente almeno gli ultimi due gradini (Genere, Specie) della nostra tassonomia biologica.
Il fatto occupa da qualche giorno le cronache nazionali (non poteva essere diversamente, inclini come siamo all’igienismo di sistema e alla germofobia – il solo carattere nazionale italiano è lo spirito della casalinga –, con le nostre accese venerazioni per i camici, per i corridoi degli ospedali, per i medical drama di Luca Argentero – ancora lo spirito della casalinga – con i nostri sogni di infinita sanità, di farmacologia permanente, di medicina che tutto abbraccia e cura): nella Firenze affetta – ora anche, letteralmente, infetta – dalla piaga del turismo plebeo ossia di massa, lo squallore del divertimento comandato di un club della città si è tradotto in un focolaio di vaiolo opportunamente detto “delle scimmie”. Telegiornali in visibilio: nuovo materiale per un mese almeno di trasmissione. Nuovi inviti ai virologi della TV, che possono tornare a raccomandarci il migliore sistema di prevenzione. Nuove paure da casalinga.
Poco più di un anno fa lo stesso virus, con la sua alta incidenza di diffusione presso la comunità omosessuale, aveva prodotto uno tra i ricorrenti filoni memetici del black humor twitteriano (gayolo delle scimmie), determinando le ire irrefrenabili dell’autoproclamato capofila del comparto LGBTQ+, il venerabile Tommy Zorzi l’anti-ironico, o l’ironico-quando-conviene.
Se è buono e necessario ciò che dispiace a Tommaso Zorzi e ai suoi amici, non si legga tuttavia tra queste righe il ripugnante stigma omofobico. Si legga invece l’indispensabile stigma discofobico.
Adesso il patogeno ritorna, e lo fa con tutt’altra caratura.
Noi accogliamo sempre la malattia virale quale benedizione: spariglia le carte, porta il caos, genera incertezza; stavolta l’accogliamo meglio, per due ordini di ragioni. In primo luogo: che squisita selezione ha fatto! Ad essere colpiti sono i nostri inferiori e nemici, alla cui porta abbiamo il dovere di condurre la nostra lotta. Il Virus sembra dirci: “Io sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari” (Esodo, 23:22).
In secondo luogo, amiamo particolarmente la scienza che ci dona, la chiarezza che lo guida, la nozione che ne traiamo: il popolo moscio, sfaccendato e malscopante dei Samsara, degli Amnesia e dei Berghain (vedasi la prosa irricevibile dei Pinguini Tattici Nucleari, il cui insieme dei fan forma una intersezione non irrilevante con quello degli infetti potenziali, date le abitudini mondaneggianti) deve finalmente essere degradato al suo più giusto ordine tassonomico: lo stesso dei babbuini.
Agli studiosi facciamo il necessario appello: sia avviata un’opera totale di revisione; le classificazioni attuali non reggono, se vogliamo tenere in piedi il poco che rimane della nomenclatura di Sapiens; la categoria è satura, facciamoci lo spazio che ci meritiamo.
Io, magnanimo, concedo di conservare i discotecari – questa banda di infetti – nella Famiglia Hominidae, e già faccio una grossa cortesia, considerato che i fatti (ovvero il Monkeypox, il Santo Vaiolo delle Scimmie) ci dicono al massimo la loro appartenenza all’Ordine Primates. Cominciamo a confinarli alle loro foreste, alle loro pulci e ai loro rituali d’accoppiamento e forse potremo proteggerci dalla malattia. D’altronde, nessuna sorpresa a scoprire che il morbo delle scimmie sia esploso in una discoteca; sarebbe stato strano fosse partito da una facoltà di matematica.
Com’è grande l’astuzia della natura, che così limpidamente ci indica la strada. Questa magniloquente zoonosi inversa, questo ritornare a casa – presso la scimmia dai calzoni attillati – del virus in questione, ci fa tirare un grosso respiro di sollievo, ci rassicura: non siamo certo la stessa specie!
Come potrebbe essere, d’altronde, se non così?
Godetevi pure, cari amici, le vostre febbri, le vostre astenie, i vostri linfonodi ingrossati, le vostre pustole, i vostri pus, le vostre croste, che oramai possiamo interpretare per quello che veramente sono:
il prezzo della vostra scemenza.
Sarebbe opportuno, tuttavia, che lo faceste alla giusta distanza, anche per una questione di odore. Abbiamo veramente creduto di poterci equiparare a queste bestie filistee, alle loro rozzezze, alle loro bizzarrie, al loro amore sconfinato per il chiasso?
Ricordate, uomini di ragione ed intelletto, cosa stabilì uno dei nostri padri: “Il chiasso è la più impertinente di tutte le interruzioni poiché interrompe, anzi spezza, i nostri pensieri. Ma dove non c’è nulla da interrompere il chiasso non sarà avvertito in modo particolare”.
Al Ministero della Salute:
Sterilizzare le sale da ballo, appiccare il fuoco, spargere il sale.