Le strade cominciano a popolarsi di migliaia di veicoli, tra cui i camion, al cui passare segue un forte rimbombo, e i furgoni, spesso protagonisti di sorpassi nervosi.
Nel Veneto la pacatezza della campagna si abbatte sulla frenesia di chi viaggia sull’asfalto e trova ristoro nei centri abitati, nei bar che sono ormai da tempo divenuti chiese. Non per tutti il caffè sarà corretto, ossia truccato da una più forte e inebriante sostanza che lenisce le ferite di chi è stanco, ma non per questo si ferma. Il vociare proveniente da questi luoghi di culto diventa la colonna sonora con cui inizia la giornata, risuonando sul più o meno piccolo piazzale di cemento che separa dalla strada trafficata. Nel mentre la campagna circostante guarda e si lascia guardare, immobile ma mutevole allo stesso momento, accecante nei suoi colori estivi e grigiastra nel periodo autunnale.
Ci sono poi i capannoni, grosse costruzioni brutali, perno dell’economia regionale e probabilmente anche nazionale, austeri centri di produttività, modelli di una macchina che spesso funziona.
La nebbia è un cliché, il nebbion un prodotto autentico, non una leggenda; non di certo un ostacolo per gli automobilisti, cavalieri che trapassano i suoi punti ciechi, guidati da un istinto che si costruisce negli anni, per necessità, o forse per noia.
C’è chi semina letteralmente il letame sui campi, impregnando l’atmosfera, l’odore della vita. Le cimici rovinano i raccolti, gli agricoltori non bandiscono i fertilizzanti, qualcuno storcerà il naso, ma i trattori andranno avanti lo stesso.
Ma anche qui il giorno invecchia di luce serale, e le chiese si ripopolano dei loro fedeli. Non si spezza il pane ma si alzano i calici: bianchi, rossi o arancioni, spesso frizzanti. Il vociare riprende, con tante brutte parole.
Infine il buio spegne la campagna, le strade si fanno più silenziose. Le città sono le fiaccole in mezzo a un nero scenario, non di morte, ma di un vecchio gigante che riposa.