La tolleranza è tolleranza, punto. Idioti. I giovani liberali intolleranti della California / New York di oggi si sentono a proprio agio solo all’interno del loro consenso condiviso. Gli amici devono pensare allo stesso modo e credere nelle stesse cose ora. Devono votare allo stesso modo e difendere la stessa ideologia come zombie. Chiunque non sia d’accordo può essere solo malvagio, stupido e sbagliato.
Vincent Gallo
Nell’ultimo numero del “Proiettili” ho parlato di John Milius, uno dei pochi registi americani repubblicani, nonché della sua visione neopagana e focalizzata sul moto circolare, al contrario del teleologismo ebraico e cristiano.
Bene, un altro regista, sempre repubblicano, ha mostrato tramite le sue opere, una posizione complementare a quella di Milius, venendo anch’egli blacklistato da Hollywood.
Sto parlando di Vincent Gallo, esponente invece di un pensiero cristiano-futurista
L’artista che, a differenza di Milius, proviene da una formazione artistica prettamente figurativa, ritiene che l’essere repubblicani implichi, innanzitutto, l’essere belli; per lui l’estetica è essenziale per veicolare il messaggio politico. Il regista ribadisce ciò anche in una convention dei giovani repubblicani, alla quale è invitato nel 2004, dove sostiene che:
“Il Partito Repubblicano ha bisogno di hipster, se vuole ampliare la sua base”.
Cosa intendo quando dico che Gallo è cristiano-futurista?
Per spiegarlo mi riallaccio a un articolo di Anonimo Milanese, intitolato “memoria è malattia”, in cui ha scritto:
“Il tempo e lo spazio morirono ieri, disse Filippo Tommaso Marinetti, ma lui non seppe realizzare appieno il Futuro, per quanto è stato un maestro.
Cristo ha annullato il tempo circolare degli dèi pagani e distrutto la memoria di quei templi, ridistribuendo a tutti la nozione del tempo lineare, peccato-redenzione-santità.
Cristo è il primo futurista”.

Ma prima di approfondire questo argomento, se per motivi anagrafici fai parte della Gen-Z e stai leggendo questo articolo, quasi certamente, non saprai chi sia Vincent Gallo, e quindi avrai bisogno di qualche informazione.
Vincent Gallo nasce nel 1961 a Buffalo, a 17 anni fugge da casa e si sposta a New York, dove conosce l’artista Jean-Michel Basquiat – sì, proprio lui, quello della felpa di Lavrov – col quale fonda una band musicale noise chiamata Bohack. Dopodiché sposta il suo interesse verso la pittura, così incomincia a dipingere, ispirandosi agli affreschi dell’Antica Roma, e a fare performance artistiche dal vivo. Nel 1985 si avvicina al cinema, recitando in un film underground del regista Eric Mitchell, per poi passare dietro la macchina da presa. Dell’artista sono editi solo due lungometraggi: “Buffalo ’66” e “The Brown Bunny”.
Il primo film da regista di Vincent Gallo, “Buffalo ’66”, è uscito nel 1998
La trama si sviluppa attorno a Billy Brown, interpretato dallo stesso Gallo, che viene rilasciato dal carcere in una Buffalo desolante, dove il grigio e, soprattutto, il marrone — colore preferito del regista, che dà il cognome al protagonista — la fanno da padroni. Il personaggio principale è intenzionato a vendicarsi di un giocatore dei Buffalo Bills, la squadra locale di football, ritenuto responsabile della perdita di una scommessa sportiva a causa di un suo errore.
Alla ricerca di un bagno, Billy rapisce una donna e la costringe a fingersi la sua fidanzata davanti ai suoi genitori, che non sono a conoscenza della sua passata detenzione. Nel corso della storia, il ragazzo si trova a dover affrontare i suoi traumi infantili e a riflettere sulla sua vita, mentre è combattuto sulla decisione di portare a termine o meno la sua vendetta omicida.

Ok, ma dov’è il Cristianesimo-futurista?
In verità, tutto il film si basa su tale concetto. Vincent Gallo, attraverso la storia di Billy Brown, esplora l’idea che tutti abbiamo problemi e traumi passati, ma ciò non ci rende unici. La pellicola suggerisce caldamente che “memoria è malattia”, per alludere nuovamente all’articolo di Anonimo Milanese.
Dal punto di vista cinematografico, Gallo utilizza la metafora della prigione per esprimere il Cristiano-futurismo. Il protagonista, appena uscito dal carcere, è immediatamente tentato di commettere un altro crimine, quasi desideroso di ritornare in prigione. Questo riflette l’incapacità di Billy di intraprendere un percorso di vita finalistico, rimanendo intrappolato in un ciclo di prigionia psicologica.
L’ispirazione di Gallo per tale concetto trae origine dall’opera cinematografica di Robert Bresson, in particolare da film come “Un condannato a morte è fuggito” e “Diario di un ladro”, pellicole che mostrano il lato ascetico dell’esperienza carceraria, similmente a quanto descritto nel “Trionfo della metafisica” da Eduard Limonov.
I capolavori, firmati dal celebre regista francese, uno dei rari maestri per Gallo, hanno suscitato critiche infondate che etichettano Bresson come cripto-protestante o addirittura giansenista. Tuttavia, tali accuse non hanno fondamento storico o teologico, poiché il Giansenismo appartiene a un contesto religioso passato, prevalentemente del XVII secolo, mentre Bresson era un cattolico, addirittura sostenuto dai gesuiti, noti avversari del giansenismo.
Ma quindi tutti possono trascendere e migliorare la propria vita?
Spoiler: no, perché il teleologismo cristiano dell’artista non è equiparabile al progressismo laicista. La ragione è che Gallo, essendo di destra e repubblicano, crede fermamente nell’unicità e diversità individuale.
Secondo la sua visione, ogni persona si sviluppa e evolve in maniera distinta, inseguendo obiettivi personali e conseguendo risultati variabili, all’interno di un contesto che favorisce la differenziazione. Riflettendo sul film, tale idea si manifesta attraverso la caratterizzazione di tre figure chiave: il protagonista Billy Brown, che si sforza di raggiungere un senso di teleologismo, venendo assistito da una donna che ha sequestrato. Questa figura femminile, priva di una personalità definita, è relegata al ruolo di donna angelo, incarnando uno stilnovismo misogino e fungendo da guida per Billy.
In contrasto, il migliore amico di Billy è dipinto come un individuo inferiore spiritualmente, soprannominato nella versione originale come Goon, tradotto in quella italiano come “Tonto”, anche se lui si identifica con il nome di Rocky. Questa dinamica contribuisce a creare un mito, quello di un “letteralmente me”, precursore di quello legato all’immagine di Gosling, incarnato da orde di “Goon” che ambiscono a trasformarsi nella figura di Billy, manco fosse un guru del marketing.
Come viene accolto il film?
In una puntata del programma “Movietalk” , alcuni critici distruggono il film, non sapendo che Gallo li sta ascoltando dietro le quinte. A metà dello show, il regista irrompe indossando una tuta a stelle e strisce, spiega il film ai critici, dandogli dei comunisti e dicendo all’unica donna presente che non può apprezzare la sua arte perché l’essere femminile non possiede il dono della trascendenza. Et voilà, magicamente, tutti i presenti, che fino a qualche minuto prima non avevano gradito l’opera, ora ne sono entusiasti.
Nel 2003, dopo un silenzio registico durato cinque anni, esce “The Brown Bunny”, il secondo film di Gallo. L’opera è ricordata da tutti per due aspetti: le critiche negative, espresse con i fischi a Cannes durante l’anteprima del film e dalla recensione negativa del celebre Roger Ebert, e la scena in cui il protagonista, ovviamente interpretato dallo stesso Gallo, si fa fare un vero bocchino.
Sono utili questi due elementi a comprendere il film?
No, in alcun modo. Ma questo è un difetto di tutti i film “scandalo” e “The Brown Bunny” si può annoverare tra questi in piena regola.
Di cosa parla il film? Del viaggio di un motociclista dal New Hampshire fino a Los Angeles per incontrare Daisy, la sua ragazza, nonostante sia tentato da altre tre donne nel suo percorso. La struttura del lungometraggio è sempre cristiano-futurista per lo spostamento compiuto dal protagonista verso un futuro migliore, scrollandosi di dosso i suoi traumi passati, oltretutto ancora guidato dal desiderio di incontrare una donna, sempre angelica, e insidiato da altre, tutto ancora in puro stile stilnovista-misogino.

Come ho già scritto Vincent Gallo conferisce un tocco distintivo alle sue opere cinematografiche. In questo suo ultimo film, la narrazione è essenziale, caratterizzata da una sequenza di lunghe inquadrature che sembrano non catturare eventi significativi.
Va bene. Ma cosa differenzia queste scene dai semplici video amatoriali delle vacanze?
Permettetemi una supercazzola.
La risposta sta nell’intento dell’autore: in questo caso, il long take è impiegato per evocare un senso di malinconia e solitudine profondamente radicato nell’esperienza amorosa, ritratta con un realismo crudo e senza ricorrere a sentimentalismi superficiali tipici dei drammi convenzionali. Il regista si astiene dal fornire risposte banali sulle dinamiche relazionali, preferendo un approccio marcatamente più riflessivo. Un parallelo artistico appropriato si può trovare nelle opere pittoriche di Edward Hopper, che catturano nei paesaggi statunitensi concetti similari.
Ebbene, ho finito di analizzare gli unici due lavori del regista. Ma cosa sta facendo Vincent Gallo al momento?
Ha un sito dove vende il suo sperma a un milione di dollari e magliette a 666$ l’una, con personaggi famosi accostati a una parola o frasi provocatorie che campeggiano sulla loro fronte. Le migliori sono quella con la Ocasio Cortez e la scritta “Ignorant”, Obama e “white boy”, Lynette Fromme della famiglia Manson con “a real environmentalist”, i patron della Nike e “slave traders”, Trudeau e “fag”.
Ogni tanto si lascia andare insultando qualche collega, rischiando di rimanere a secco di proposte lavorative.
Come Spike Jonze descritto così:
“la frode più grande che c’è. Se lo porti ad una festa è la persona meno interessante alla festa, è la persona che non sa niente. È la persona che non dice nulla di divertente, interessante, intelligente. È un porco pezzo di merda”.
Non risparmiando anche Francis e Sofia Coppola:
“A Sofia Coppola piace qualsiasi ragazzo abbia quello che lei vuole. Se vuole fare la fotografa si scoperà un fotografo. Se vuole fare la regista, si scoperà un regista. È una parassita così come lo era quel grasso porco di suo padre”. (Nonostante tale dichiarazione, con quest’ultimo, egli realizzerà in seguito il bel film “Tetro”).
E infine Abel Ferrara, anche se è uno dei suoi cineasti preferiti:
“Si faceva così tanto di crack quando ho fatto “Fratelli”, che non era mai sul set. Stava nel mio camerino e tentava di derubarmi”.
Purtroppo, il nostro eroe è ormai quasi completamente escluso da Hollywood, a causa delle sue dichiarazioni taglienti come anche per le sue posizioni politiche. È tornato a recitare in un film nel 2022, dopo nove anni di inattività, ovvero “Shut In”. Di recente, è stato accusato di molestie durante un provino. Speriamo che risulti innocente e che non gli facciano le “chiavi di cioccolata”. Sarebbe entusiasmante assistere alla nascita di un suo nuovo progetto cinematografico come regista, benché abbia espresso più volte la sua riluttanza a tornare dietro la macchina da presa.