Il miglior disclaimer per questo articolo sarebbe che alla fine potreste credere in dio.
Non quello con la D maiuscola, sarebbe troppo semplice. Semplice in che senso?
Quando ho visto questo film rimasi così contento e ubriaco della sua lirica che entrò immediatamente nella mia top 20 dei film preferiti della mia vita. Mentre già il trailer aveva fatto il suo rimanendo uno dei “provini” più incentivanti, forse insieme a quello di Inception, che abbia provato sulla mia pelle, di quelli della vecchia scuola che ti facevano vedere tutto e niente, propagando solo un po’ del loro profumo e promettendoti l’intera essenza al cinema. Sì, i cinema quelli sostituiti da Netflix, per ora. A dieci anni dall’uscita Vita di Pi resta un capolavoro immacolato da una piccola ed importante serie di cose: l’incapacità di nessun altro regista d’aver realizzato un’opera simile e la straordinarietà della sua storia. Partendo da quest’ultima ci tengo particolarmente ad elencare cosa, personalmente, mi ha rapito del plot.
Vi ricordate, poco sopra, la domanda “Semplice in che senso?
” Bene, semplicemente il film parla di un ragazzo naufrago che attraversa il pacifico su una piccola barca insieme a una tigre. Già. Voglio dire, non mi sarebbe mai venuta in mente una storia simile.
Quanto è bello confessarsi e ammettere la genialità di un’opera.
Troppe cose che messe insieme battezzano una storia dalla potenza che sa di tutto, di vita, di profumo, di bellezza.
Vita di Pi nel 2013 ricevette 11 nomination agli Oscar. Francamente trovo che, oggi, per avere un film così serva vendere una banca italiana.
L’Oceano padre dei padri: il Pacifico
. Là dove finiscono le belle storie che mentre lo attraversano affrontano ogni paura. Un ambiente così misterioso che può diventare caos e quiete, rifugio e pericolo
. Come un tappeto di foglie si estende sotto i nostri protagonisti fino a diventare lui il terzo attore.
L’Oceano ne fa di ogni, da far affondare una nave a restituirci la vera magia del film tramite gli scenari magici che con le loro immagini di onirica poesia non se ne andranno dalla nostra testa. È la prima e grande manifestazione di quel dio di cui sentiamo parlare, la sua potenza è incomprensibile per il nostro spirito, per cui la sua grandezza non può che essere associata all’uomo che tutti vorremmo come dio. Pi si racconta, si perde, si salva e viene salvato nel e dall’Oceano che tutto può essere. Ognuno di noi dovrebbe viverlo almeno un’ora nella vita così come imperversa sui nostri atomi, ridicoli a suo confronto, per ridimensionare ciò che crediamo di essere, abbassare le ali e resettare la nostra umiltà sentendoci alla fine di una catena che indeboliamo.
Il mare è la natura più pericolosa e grande presente su questo pianeta, solo che il suo senso ci può sfuggire, perché l’essere umano si gasa in fretta, perché amiamo sentirci al di sopra, ma è da lì che si vede il firmamento migliore del mondo ed è esso stesso nella sua grandezza e potenza l’anticamera del cosmo.
Se la natura avesse una classifica di cosa ci separa da essa tra l’Oceano e noi potrebbero fare da anello mancante gli animali, di questi una tigre è la miglior scelta per donare alla nostra debolezza una rinnovata consapevolezza. A mani nude siamo il nulla, ma da questo può nascere lo scopo, dagli anfratti più bizzarri delle umiltà che dirigono i nostri lavori, le nostre mani possono, possono e ancora possono.
Dal nulla due mani creano tutto, così come Pi sulla barca si ritrova a prendersene cura e cercare di non essere sbranato
, mentre Krishna, dio e Allah, o chi volete voi, lo stanno a guardare nella felicità perché piove, o nello sconforto per la tempesta.
Che ne vuole sapere dio? Lui c’è mai stato da solo nel pacifico per più di 200 giorni sopravvivendo all’acqua e ad una tigre? Si è preso solo il merito di essere chi era senza mai sgobbare come un mortale? Eppure per quanto mi “ateizzi
” di tanto in tanto, quando vedo questo film mi viene raccontata la delicatezza del tema di dio in un modo troppo completo e poetico, che alla fine mi sento credente da sempre, quasi criptocristiano. Non importa se la bocca di Krishna
sia piena di galassie e stelle, o se Gesù mi abbia convinto o meno con quel sacrificio, io so che loro hanno dato alla vita di miliardi di persone quella magia di cui prima o poi viene a mancare se pensi solo a bollette o rincari benzina. Se filosofia o qualche superpotere ci daranno l’immagine di una vita riflessa in uno specchio colorato, proprio come la bioluminescenza che tanto rapisce la nostra fantasia nel film, se la notte è calma come quando la balena gioca tra le onde, o l’isola dei suricati si illumina, non è forse meglio?
Ci sono momenti che Pi vive anche prima di avventurarsi, seppur in modo ignaro, nel Pacifico con una tigre. Questi sono scanditi da una calma e colorata India dipingendo l’indole del nostro protagonista come fosse della purezza delle sue immagini. Mentre lui cresce e impara dai vari punti di vista della sua famiglia, il bambino Pi si affaccia a una prismatica
conoscenza della religione, ne abbraccia diverse e approfitta del mancato divieto di credere in tutti gli dei che si vuole, donando a sé stesso, ancora una volta inconsapevolmente, la mancanza di una rabbia e offesa facile che genera quel tifo per una sola divinità. Diviso tra lo scetticismo del padre che si salvò grazie alla scienza e gli insegnamenti su Krishna della madre è quest’ultima che armonizza profondamente l’animo del bambino che diventerà un ragazzo più forte di quanto immagina. È la mamma che vede nel Sogno ad occhi aperti ritratta dalle creature luminose nel fondale dell’Oceano, ed è lei che piange per prima.
Di tutte le tematiche che Vita di Pi comprende e saggiamente affronta nella sua fiabesca miscellanea di temi così antichi e sacri, il più bello e concreto è quello della sfida.
L’uomo contro la natura? No, contro sé stesso.
Il sé che lo separa dalla natura, da quella sua disincantata parte razionale, e pertanto esageratamente sciocca, nella riduzione dell’esistenza e di cosa ha attorno. Ridurre tutto a un’equazione facilita ma non aiuta a comprendere quanto sia pieno il mondo che viviamo di bellezza e ci mette nella posizione di non sottrarci al copione di chi diventa schiavo di banali e fruibili bisogni, effimeri e poco utili, senza ricerca né studio. So anch’io che l’acqua dell’Oceano è una miscela omogenea e che possiamo vederla in modo chimico, analizzarla e dare una spiegazione persino al suo livello subatomico, ma nella sua estensione è il braccio di un dio, una natura divina che come molte altre cose prende le redini della nostra emotività. Ne vediamo i colori e ne sentiamo i suoni. Dio è molto più al di là della nostra comprensione, molto più al di là della nostra immaginazione, per questo non mi fermerei a bollarlo come impossibile.
Come va a finire il film? Sopravvive Pi?
Guardatelo. Alla fine avrete visto sia il film, sia voi stessi. Dopo un’attenta e involontaria riflessione sulla vostra vita che sia di Pi o no, poco importa, cosa vale è come si sceglie di affrontarla.