Blast Presenta:
Il libro continua con L’OTTAVO capitolo, solo su Blast!
Incontri un uomo in fondo a un vicolo di mattoni.
Sta davanti alla serranda di un garage. Ti aspetta. Ti ferma. Non ti lascia passare.
È tale Savo Barraco. Un uomo in cappello e tabarro, scortato da un cane alano. Ti viene incontro. Ti oltrepassa. Il suo mantello è risucchiato dal vento oltre l’angolo mentre cammina. Passo rapido e mento piegato sul petto. Le braccia nascoste strette al corpo.
Lo segui mentre il mare nero in tempesta si agita nei canali e risale sulle rive.
È lui a dirtelo: il tuo amico è vivo e ti sta cercando.
Lo paghi con una moneta.
Vi lasciate sotto una una gigantografia di Simone Cattaneo appesa ad un muro di legno in un pub di studenti sotto i portici. Un culto si raccoglie intorno alla sua icona modificata con scritte e dediche. Uomini dai capelli lunghi e sorrisi da maniaci accendono torce di immondizia da posarci attorno e mormorano poesie antiliriche a testa bassa.
Qualche occhio inizia a girarsi verso di te.
Te ne vai in fretta.
Hai l’aria del sopravvissuto.
Decidi di non bere, di non fumare niente fino a quando non lo avrai trovato. È una sfida e dura da giorni.
Un centauro subliminale provoca spavento e ansia nel tuo inconscio.
Sta progettando in te una piscina da riempire di acqua scura, una piscina che conterrà il rumore delle bombe e il cielo giallo da cui cadranno.
Ti senti acqua e polvere.
Ne hai voglia, sei astinente.
Nel buio angolare della stanza vedi una donna bendata con la juta, le sue mani sono due uncini di ferro, la sua bocca è sporca di terra; si protende su di te per cucirti lo sguardo.
Ti stendi nel letto e lo senti bene quel tremolio, quel gelo piacevole che viene su dalle dita e non è il mare in cui la città sprofonda; che passa sotto la maglietta vuota e la riempie legandola a te al tuo nome alla tua dignità.
Sei a disagio nella leggerezza che ti solleva a un metro da terra.
Non ti pesi più addosso ma lo stesso non voli.
A tenerti giù non è il peso delle ali, ma il vento che non spira più.
Tu sei un aquilone, e il mondo sta per finire.
Lo senti bene ora che finalmente ti passa attraverso.
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<p>È una forma magra e lunga, che si infila, che si trascina la notte nei corridoi.</p>
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<p>È il pallido dell'occhio che si spalanca di fronte a un sacro orrore.</p>
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<p>È una forma di ottusità, di peso e di consistenza.</p>
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<p class="has-text-align-center">È un modo di porsi, un rannicchiarsi, un voltarsi esterrefatti all'improvviso. Un dire sempre non so, vediamo.
</p>
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<p>Lo riconosci.</p>
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<p>È il tuo corpo.</p>
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I dispositivi magnetici hanno iniziato a disattivarsi. Si spengono portandosi dentro il respiro sigillato delle nostre idee, allacciate in un groviglio di cavi, prese e adattatori.
La sovrabbondanza di documentazione ci ha resi isterici nell’obbedire alla nostalgia dei tempi perduti.
Pensieri senza scampo. Condannati alla loro gravità come i corpi che facciamo scontrare nell’amore.
Ti butti nel lago, affoghi; e al terzo squillo, risorgi.
Hai risposto e ti sei trovato in un parcheggio sotto un limpido sole mattutino.
Una ragazza incinta spingendo un passeggino vuoto ti chiede se può divinarti la merda col favore delle dita.
Vuole farsi pagare.
Ha occhiaie secolari e un cattivo odore.
Ti implora, partorirà a giorni.
Una giovane puttana ricambia il tuo saluto.
Ha i capelli colorati in due metà.
Ti viene incontro nell'aria che scalda
l'asfalto.
Ti tocca il pacco, ti scrocca una cicca.
Fatti una vita, ti dice.
Il mondo è già finito.
Siete seduti su uno scalino.
Bevete una coca cola guardando i fantasmi commerciali spuntare sotto il sole che si sgretola sulle strade, tracciate a loro volta di macchine iridescenti lanciate verso il passo.
Le vetrine vi rispecchiano, vi deformano, mostrandovi il vostro autentico male: siete animali che non riconoscono il proprio riflesso.
Vai in para, le cose fluiscono drammaticamente, appartengono ad un’unica realtà, varia e informe, accelerata, in continuo movimento.
Vi alzate, ma non cambia niente. Vi accendete una sigaretta a vicenda, ma è peggio.
Il mondo deve ancora finire: lo sapeva lei e lo sapevi tu. Il vostro non è più un segreto prezioso.
Sognate qualcosa di profondo in cui galleggiare. Vorreste inchinarvi senza peso davanti a una verità migliore, all’intelligenza della ricchezza o alla crudele divinità della tecnologia, sentirvi sospinti verso l’alto e fluttuare sul pelo di questa vasca di sole.
Una macchina vola sullo svincolo e sfreccia lontano. Parli. Nessuno risponde. Ti giri. Lei non c’è più.
Ti tocchi il petto.
Con lei è sparito anche il tuo corallo.
È come inseguire un battito di mani al buio, o tremando portare un cucchiaio di medicina alla bocca di un fratello cieco.
È come guardarsi attraverso uno specchio al sole e non rimanere accecati, o vivere con lo sguardo all'ombra, allungando una mano appena fuori.
Lo specchio è l'occhio dell'anima.
Per sfuggirgli, basta girarsi, voltare le spalle e mettersi in controluce. Essere in due a vedersi. Riconoscersi nel riflesso dell'altro.
Il suo nome è scritto su uno scontrino. Lo tieni in tasca insieme alle conchiglie raccolte lungo il fiume. Lo cerchi. Lo consideri. Lo sgretoli in polvere donandolo a un passante, recitando una formula magica.
La serietà è un dono.
La bellezza un'avventura delle forme, una fissa e una voglia, una primeva modalità di intelligenza.
Gli sforzi fatti assurdi e vani. Sei ancora solo.
Hai dato vita a te stesso, facendoti cambiare, imitando i modi altrui, imparando a desiderare come desideravano le persone che stimavi. Hai adottato i loro simboli, le loro bugie.
Ora aspetti che la roccia esploda, che la donna ricominci a cantare solo per te facendo venire la grandine, la regina delle città d’occidente, venuta a bordo di una barca a remi per portarti lontano.
Il giorno si avvicina, ma la notizia attende conferma.
Ti tocchi la testa che lei ti ha rasato. I capelli li avete lasciati cadere nel rosso del fiume.
Il disegno di un bambino scivola per terra in sala di aspetto.
Lo raccogli. Sei tu che ami una donna.
La ami come se la amassi.
La lascerai andare, ma solo quando ti sarai stancato di farti aspettare.
In sogno tre gatti stregoni si inseguono in cerchio producendo vertigine. Tre gatti neri come te, gatto nero impiccato alle scale antincendio come un presentimento di anomalia.
Dal picchiettare delle loro unghie sull'acciaio avverti la presenza di qualcosa di insolito. Ti volti. Apri la porta graffiata del sonno.
Ma sbarrando gli occhi e rigirandoli l'anomalia si riassorbe. Non hai potuto vedere.
Ti resta addosso la sensazione di una vita strana passata nel suo letto a scopare come un dio cieco o a tenervi soltanto per mano mentre il sole promette la sua fine; l’illusione di mattinate in bagno ad annegare nella solitudine di quella luce marginale. Un ponte di luce, pallida, filtrata da tende bianche ricamate, niente a che vedere con i miraggi degli angeli neon-visionari che ti aspettavi di incontrare fuori dai bar di Paradise Alley.
È stato il sogno di una notte e di un giorno e te ne devi accontentare.
I tuoi amici sono tutti morti a parte uno, e tu non ci puoi fare niente. Sono tutti morti asfissiati nelle loro camere singole lontane da casa e non potranno assistere con te allo spettacolo che il sole vi ha promesso: la sua morte esplosiva, il grande incendio che vi avrebbe resi ciechi e indovini, prima di sgretolarvi nello spazio con il resto della storia.
Perché tu non sei il mare che riporta a riva i naufraghi e non hai colpa, ma non hai fatto niente per salvarli: tu non sei il mare che riporta a riva i secoli.
L’hai cercata per dirle che te ne andavi dalla città. Sei tornato da lei per mentirle, vedere come avrebbe reagito. Hai fumato molto aspettandola. Lei è arrivata con la sua parrucca split e le calze bucate. Ti ha detto che vuole cambiare vita. Ti ha lasciato andare.
Vengono notti qualunque nei parcheggi sulla litoranea.
Farfalle cadono morte sulle macchine ferme da secoli.
I treni non partono più perché nessuno ha più bisogno di andare.
Streghe feline continuano a rincorrersi a cerchio, tre a tre, nell'angolo di un cortile condominiale, e tra i panni stesi sul tetto trovi tracce di sesso e scrittura. Capisci solo allora quale posto spetta al vostro inchiostro, alla speranza di una vita diversa: appesi al vento siete, tra ganci e fili che vi impediscono il volo.
Continua