IL PESO DELLE MANI - Capitolo IV

IL PESO DELLE MANI - Capitolo IV
Capitolo Quarto della Saga Immortale

Blast Presenta:

Il libro continua con il quarto capitolo, solo su Blast!

Apri una scatola. Chiudi una scatola. Svuoti un ripiano nella tua vecchia cucina bianca tagliata da una luce finale.

Le stoviglie arrugginite impilate negli stipetti ti crollano addosso.

Rimetti le cose al loro posto, ma non ci stanno più.

Insisti, come se.

Ma il tuo non è più un fare ordine, è un rito delle mani, è scaramanzia.

È la fine che incombe, anche se non ti spaventa; che restringe gli spazi, gli rende perfetti solo per ciò che era.

Ma tu non ti puoi arrendere.

Anche se non c’è un motivo.

Tu non sei qui invano, senti dire a una voce che viene da lontano.

Tu non sei il caso, o un fatto strano.

Anche se non passa, sei soltanto il tempo che ti resta.

Miracolo termodinamico.

Chiudi gli occhi e senti che qualcosa ti abbandona.

Non dura.

Un uomo a cui è stato ucciso il cane urla disperato verso la strada.

Lo dicono pure in tv: l’ultimo dio ha lasciato la terra.

Gli uomini di TEOTWAWKI pattugliano le strade con le fiaccole.

Tu sei ancora qui e nessuno lo sa.

Non ti resta che aspettare. Cercare rifugio lontano dagli occhi incogniti dei rimasti e tenere sempre la borraccia piena di acqua buona per il viaggio nel deserto.

Prima o poi toccherà anche a te.

Raccogli qualche lucertola sulle traversine dei binari e le osservi, poi le liberi, sotto il sole che scende a picco.

Il sole incendia le facciate dei palazzi e l'erba che cresce selvaggia in ogni angolo. Nei piazzali danneggiati delle industrie si raccolgono gruppi di uomini in canottiera e face-tattoo per bruciare copertoni e stoppia. Non piove da settimane.

Non dormi da non sai più quanto.

Gli eviti, passando in bilico sul rame ossidato dei binari. Scavalchi i muretti mangiati dalle edere, salti oltre i cocci di vetro piazzati come trappola ai loro piedi.

Corri nella foresta che poco alla volta sta riassorbendo la città. Corri facendo sbattere sulle cosce il tuo coso a sbrindelloni, che ti dona equilibrio e forma nello scatto.

Raccogli funghi psylocibe che conservi in un pacchetto di tabacco nel marsupio.

Li fai seccare all’ombra nella tua stanza.

Li vendi a chi disperato cerca un’evasione psichica alla sofferenza del mondo.

C’è chi passa nei sottopassaggi in gruppo, chi piange sugli scheletri dei gasdotti. Tu li controlli col binocolo, non sai nulla di loro.

L’erba cresce sui marciapiedi e lo fa solo perché può farlo. Crea spazio dove non c’è spazio. La vita si decripta ed è questo il suo miracolo.

I ragazzi più sensibili piangono petali in camera o sui gradoni delle università chiuse. Non sanno più chi sono, per questo restano soli reclamando un limite: loro sono il vento, loro sono il mare, loro sono il nome provvisorio che diamo alla memoria quando non ne restano prove.

Le ragazze piantano coltelli nei muri, convinte di morire facendo triste qualcuno: subiscono il ricatto dei loro amici scontenti.

Tu sei il re corallo, sei in qualche modo il vento.

Non c’entri col mistero che avvolge le carte della sorte lette da una donna bruciata sulle rive di un canale asciutto e pieno di natura secca, ma si può dire che ne dipendi.

Sono anni che lei non può più parlare.

Tu passi anche se non ti si vede.

Corri lungo le fiancate degli autobus per non farti riconoscere.

Incontri i clienti nei giardini la notte, calati nei tombini in mezzo ai topi con la luce che scende a scacchi.

Hanno pantaloni a zampa e vengono da una dimensione dove il tempo è fatto stratificare e si può attraversare senza trauma. Hanno occhiali Oakley che noti con stupore e baratti per qualche grammo in più di psylocibe.

Devi sopravvivere. Dalle finestre rotte vedi gente sdraiata fare sesso in strada, gente sciamana che si sbraccia, che sbraita invocando il sonno. Gente che si schianta, che sanguina.

Abbandoni l’ultimo libro di poesie su un muretto al sole, vicino all’amico che manca. È il tuo inchino, il tuo addio. Del mondo non rimane che uno stagno, una pozza alla quale i tossici attingono con le loro siringhe.

Fumi una Benson sul divano che hai recuperato davanti a un portone.

Chiudi gli occhi e svieni, prima che il telefono squilli tre volte.

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