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ITALIA HURRITA

A RITROSO, SULLE TRACCE DI ENEA

ITALIA HURRITA
Lettura boomer
"L’antichità è la madre della verità." – Confucio

Italia turrita, direte voi, pensando al simbolo patrio, personificazione dell’Italia nobile guerriera e contadina. E invece no: ḫurrita. Perché capiate quest’espressione, occorre che vi spieghiamo chi erano i Ḫurriti. I Ḫurriti erano una popolazione originaria dell’alta Mesopotamia che nel III millennio a. C. era organizzata in una serie di principati indipendenti. Intorno al 1650 a. C., i Ḫurriti formarono una nuova entità politica, il regno di Mittani, i cui sovrani portavano nomi indoari legati per lo più al mondo equestre. L’Assiria era suo Stato vassallo (si sarebbe emancipata solo alla fine del XIII secolo a. C., sotto il re Salmanassar I, 1263-1234 a. C.) e alla sua massima espansione il regno si estendeva anche su tutta la Siria settentrionale, con l’importante città portuale di Ugarit, e sulla regione di Kizzuwatna, corrispondente all’Anatolia meridionale. La loro lingua, il ḫurrico, era una lingua isolata, imparentata solo con l’urarteo, lingua parlata nel regno di Urartu del I millennio a. C. (tra la Mesopotamia settentrionale e il Caucaso, attorno al lago di Van).

Bene. Che cosa c’entra l’Italia con i Ḫurriti?

Apparentemente, poco o nulla, direte voi. Tuttavia, c’è un periodo storico in cui le sorti dell’Italia pristina e quelle dell’Anatolia in senso lato (non esclusivamente ḫurrita) furono strettamente interconnesse. A livello archeologico, si parla di una fase che va dal 720 al 580 a. C., il cosiddetto periodo orientalizzante, in cui si diffuse un gusto per i simposi aristocratici, con la loro iconografia tipica, per esempio i lebeti a protomi leonine che avevano origine proprio nel regno di Urartu. 

A livello letterario, qualcuno ha messo a confronto il Canto della liberazione di Ebla, un poema epico ḫurrico, e il I libro dell’Iliade: nel primo, il dio della Tempesta Teššob distrugge la città di Ebla per vendicarsi contro il consiglio della città, che si era rifiutato di liberare i prigionieri della città di Igingalliš, mentre nel secondo Apollo punisce gli Achei perché non hanno restituito Criseide al padre Crise. Non solo: esistono anche espressioni poetiche che sembrano viaggiare da una lingua all’altra, per esempio ḫurrico timeri eže ‘terra nera’ nel Canto della liberazione; ittita danku tekan/dankuš daganzipaš; ḫattico ištarrazil; Iliade II, 699 (γαῖα μέλαινα) e Saffo (F 16.2: γᾶν μέλαι[ν]αν). Nel suo libro From Hittite to Homer, Mary Bachvarova arriva addirittura a immaginare che siano esistiti dei poeti bilingui che avrebbero garantito la trasmissione della letteratura mesopotamica in Grecia, ma si tratta di un’ipotesi molto discutibile, e comunque difficile da dimostrare. A livello religioso, si potrebbe citare anche l’estispicina, o più precisamente l’epatoscopia. 

Teššob era la divinità principale del pantheon ḫurrita e coincideva con la divinità ḫattica Taru (i Ḫatti erano il popolo che abitava l’Anatolia prima dell’arrivo degli Ittiti, parlanti una lingua isolata), con il sumerico Iškur, con l’accadico Adad e con il fenicio e siro-cananeo Ba’al, poi identificato con il diavolo (Ba’al-zebub, dio di Ekron filistea: ‘il signore delle mosche, Belzebù’). In quanto divinità dello scompenso, presenta delle affinità con l’indiano Śiva e l’egiziano Seth, in una fase tarda identificato con il serpente Apophis. Sua moglie era Ḫebat, corrispondente alla Eva biblica.

Sembra che questa coppia derivi direttamente dal dio toro e dalla dea madre venerati nel sito anatolico neolitico di Çatal Höyük. Teššob fu concepito in seguito a un bucchinhu rigatu di Kumarbi a suo padre Anu, dio del Cielo: Kumarbi inghiottì i genitali del padre e sputò il seme, dal quale nacque appunto Teššob. Vi ricorda nulla? Crono che evira Urano, dai cui genitali nacque Afrodite? Ma le analogie non finiscono qui: Teššob è noto per la sua lotta contro una creatura marina, il serpente Illuyanka, che ricorda la lotta di Zeus contro il mostro serpentiforme Tifone.

Il nome di questo dragone è stato analizzato o come indoeuropeo illu- ‘serpente’ + ḫurrico anka col medesimo significato, o come Eluy-anka, ‘il serpente di El’ (El è il nome del dio semitico, alternativamente noto come Eloah/Ĕlōhīm, corrispondente all’accadico Īlum, arabo Allāh). Gli adoratori del dio alieno di Biglino (o di Biglino stesso) capiranno sicuramente. Inoltre, Illuyanka corrisponde al cananeo Lotan e al suo sottoposto Yam, anche noto come Illuyammu.

In luvio, lingua anatolica imparentata con l’ittita, Teššob era noto come Tarḫuna, in ittita come Tarḫunta. Questo nome dovrebbe ricordarvi qualcosa. In primis, Tarconte (etrusco Tarchunus), capo degli Etruschi alleato di Enea nella guerra contro Mezenzio e Turno. Secondo Strabone, Tarconte era figlio del re della Misia Telefo e condusse insieme al fratello Tirreno una migrazione dalla Misia all’Etruria, dove avrebbe fondato la Dodecapoli etrusca, preferendo come sede la città che da lui prese il nome, Tarquinia (in etrusco Tarchunna), notizia confermata da un passo dell’Alessandra di Licofrone. In secundis, il nome proprio Tarquinius, portato da due re etruschi di Roma.

Le fonti classiche si dividono sulle origini degli Etruschi: secondo Erodoto, essi giunsero in Italia dalla Lidia, guidati dal re eponimo Tirreno, figlio del re della Lidia Atys, poco prima della guerra di Troia, mentre secondo Dionigi di Alicarnasso la lingua etrusca sarebbe isolata e autoctona. Ecateo di Mileto (VI-V secolo a.C.) identificava gli Etruschi con i Pelasgi, nome con il quale i Greci indicavano le popolazioni pre-elleniche, che avrebbero soppiantato gli Umbri, i più antichi abitatori della penisola, assumendo il nome di Tirreni. Stessa tesi era sostenuta da Ellanico di Lesbo (V secolo a.C.), secondo il quale i Pelasgi, guidati da Nanas, sarebbero stati cacciati dai Greci di Deucalione e sarebbero partiti alla volta di Spina e di Cortona, base per la conquista della Toscana.

Strettamente connesso con le eventuali origini orientali degli Etruschi è il mito di Enea. La prima tradizione che collega Enea con l’Occidente è quella di Stesicoro, all’inizio del VI secolo a.C. Secondo Ellanico, Enea sarebbe giunto in Italia dalla terra dei Molossi, con Odisseo o dopo di lui, e avrebbe fondato Roma, il cui nome deriverebbe da una donna troiana. Il problema principale era far coincidere le cronologie della guerra di Troia e della fondazione di Roma: Dionigi di Alicarnasso notò che tra Enea e Romolo c’erano almeno 17 generazioni. Il problema fu risolto da Virgilio collocando il regno di Enea a Lavinium anziché a Roma. Già nel III secolo a.C. a Lavinium è presente un cippo recante l’iscrizione Lare Aineia d(onum). Secondo la tradizione, il giusto figliuol d’Anchise sarebbe stato il responsabile della trasmissione in Italia del culto dei Penati e proprio a Lavinium uno dei 13 altari del santuario della Lega Latina è dedicato ai kouroi Castore e Pollùce, cioè i Dioscuri, identificati appunto con i Penati e venerati anche a Tarquinia.

Il mito di Enea faceva sicuramente parte della tradizione culturale etrusca, come dimostrato dall’iconografia di molti vasi e da alcune statuette risalenti al V secolo a.C. ritrovate a Veio raffiguranti Enea che porta sulle spalle il padre Anchise. Nella tomba François di Vulci, gli Etruschi si autoidentificano con i Troiani. Mezenzio è probabilmente un personaggio storico, come dimostrato da un’iscrizione di Caere datata al 680/675-650/640 a.C.: mi Laucies Mezenties ‘io sono di Lucio Mezenzio’. Il nome di Roma potrebbe derivare dal nome dell’eroe Romos, a sua volta derivato dal nome del dio cervo luvio Ruwant- > Rumant (?). Le iscrizioni delle città elime di Erice e Segesta testimoniano l’esistenza di etnonimi in -z(i)- come Segstazie che coinciderebbero perfettamente con le modalità di formazione degli etnonimi in licio, altra lingua anatolica imparentata con l’ittita.

A livello linguistico, immaginare una derivazione dell’etrusco da una lingua anatolica, per esempio il luvio, il licio o il lidio, è estremamente problematico, perché il nucleo del lessico etrusco (per esempio, i termini di parentela, i numerali, i pronomi personali) è di origine anindeuropea (con la significativa eccezione del pronome di I pers. sing. mi) e l’etrusco sembra essere una lingua agglutinante, non flessiva. A livello archeologico, le città etrusche sorsero sui precedenti siti villanoviani, risalenti all’XI secolo a.C. circa.

Il problema è che la cultura protovillanoviana sembra si sia originata a partire dalla cultura dei campi di urne, proveniente dal nord, non da est. Se migrazione vi fu, avvenne ai tempi del collasso dell’Età del Bronzo, quando le fonti egiziane menzionano i Tereš (Tirreni?) tra i popoli del mare sconfitti da Merenptah nel 1207 a.C. e poi di nuovo da Ramesse III nel 1177 a.C. Tuttavia, è molto più facile pensare che Etruschi, Lemni e Reti (popolo che viveva, appunto, sulle Alpi Retiche), forse insieme con i Minoici e i Pelasgi, rappresentino ciò che rimane dell’antica civiltà mediterranea pre-indoeuropea, la civiltà della dea madre.

Migrazione o no, quella che abbiamo chiamato Italia pristina è irrimediabilmente connessa all’Anatolia, anche se sicuramente non ne è consapevole.

Forse non esistono prove delle peregrinazioni di Enea, ma la diversa condizione della donna presso gli Etruschi è lì a testimonianza di un mondo preindoeuropeo caratterizzato dal culto della dea madre Eva e del dio della Tempesta Tarconte. Forse ciò che accomuna tutti questi grandi imperi (Mittani, Ḫatti, Troia, Tarquinia, Roma), il segreto della loro forza, risiede proprio in una comune origine culturale, nel rispetto per gli antichi culti mediterranei come l’aruspicina, nella pietas di Enea, nella forza dell’epos, cui si aggiunse, nel periodo orientalizzante (720-580 a.C.), la formidabile arma aristocratica del simposio, di origine assiro-urartea.

Quando questi antichi culti furono abbandonati, con la vittoria del cristianesimo, cadde anche l’Impero, come giustamente sostenne Edoardo Gibbon nella sua monumentale opera Decadenza e caduta dell’Impero romano. E dunque, se vogliamo tornare a questi antichi fasti, che l’Italia si tolga la torre e si ponga il disco solare alato sulla testa. Perché è arrivato il momento di destarsi e riscoprire le origini profonde. Perché, come direbbe Red Ronnie, c’è Adad/Teššob/Tarconte che pensa a tutto.

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