Era Sabato mattina e avevo dormito malissimo. Il fatto è che solitamente dormivo male da anni, usavo tappi per le orecchie in silicone, ma presto mi si erano rivelati il peggior nemico
per il mio cervello… sì, sai, quando ti cascano dalle orecchie e le cerchi in piena notte.
Comunque. Mi ero svegliato, mi ero seduto sul cesso a leggere qualche articolo di giornale… ne ricordo uno: “Bellunese scala una montagna per affiggere uno striscione contro lo sfruttamento dei dodo, ma non sa che sono estinti da secoli”. Pazzesco.
Volevo fare colazione, ma mancava il solito cornetto al cioccolato scadente pieno di margarina, così mi ero vestito per andare al bar per mangiare qualcosina.
Scesi le scale andando verso il mio bar
sport preferito
, quello frequentato dai peggiori muratori siciliani e vecchi pensionati
; basta vestirsi quantomeno simile a qualcosa di decente per sembrare un signore in confronto a loro. Giuro, era la mattina più strana della mia vita
, non solo per quello che sarebbe successo dopo, ma fin dal primo momento fuori.
La piazzetta era piena di piccioni, qualche idiota aveva buttato del pane e la statua di Garibaldi mancava di una mano. Bah.
Proseguivo verso il bar, ed eccola lì, la tabacchina.
Di solito il vecchio Beppe è quello che apre e rimane dentro finché non si sente stanco, poi arriva il figlio Giulio. Alla cassa c’era un’altra persona; né Beppe né Giulio.
Mentre passavo sotto il portico di fianco alla tabacchina vedevo le moltitudini di foglietti colorati dei gratta e vinci.
Al tipo nemmeno ci facevo caso, la mia mente si era prefissata sul prendere un gratta e vinci; nah
.
Ma eccomi ritornare indietro ed entrare dentro la tabacchina per scegliere il tipo di foglietto da grattare. Il tipo mi guardava senza sosta, sorridente.
Finalmente i miei occhi si posavano sui suoi. Era un uomo di mezza età, ben tirato con due baffetti sottili: sembrava il sosia di Vittorio de Sica.
Qualcuno, aveva detto. Non mi interessavano dettagli, ma avevo pensato si trattasse di una donna. Sicuramente strano.
Il cassiere mi sorrideva come se non aspettasse altro.
L’uomo aveva preso il foglietto
da sotto il banco e me lo aveva posto sul piattino davanti la cassa. Il foglietto era rosso acceso, c’era solo un quadrato grigio da grattare e sopra v’era una scritta:
“Vinci a Vita”
Osservavo perplesso il foglietto.
Tenevo il foglietto tra le dita, fissavo il tipo alla cassa.
Rimuginavo, gli ingranaggi nel cervello erano ancora troppo freddi per ingranare.
Gli davo i miei due euro. Il cassiere sorrideva allegramente, incassava i soldi, mi faceva lo scontrino.
Uscivo dalla tabacchina in direzione del bar per mangiare qualcosa. Entrato dentro, chiedevo il solito alla bella barista Lucia: cornetto alla crema con cappuccino.
La barista mi sorrideva e mi posava già il cornetto davanti al bancone. Io intanto tiravo fuori il gratta e vinci e iniziavo a grattare il quadrato grigio
con una delle ultime monete rimaste per pagarmi la colazione.
A poco a poco sotto lo strato grigio apparve una figura, quello di un ometto inquietamente simile al tabaccaio sorridente, cartoonizzato, ma con un certo stile. Sotto il disegnino c’era la scritta:
Che roba, pensavo. Sentitomi beffato giravo il foglietto e leggevo.
Questo Gratta-e-Vinci è speciale! Non perderlo mai se vuoi continuare a vincere! Non c’è bisogno di riscattare la vittoria dal tabaccaio, basta solo aspettare qualche secondo e vedrai! Non perdere il foglietto se non vuoi conseguenze negative! Mi raccomando!
In fondo c’erano i soliti avvertimenti e le certificazioni ufficiali e la probabilità di vincita: 100%
La barista mi porgeva il cappuccino. Mi sorrideva.
Se solo potessi avere un’opportunità con lei, pensavo.
Sorpreso, deglutivo forzatamente il sorso di cappuccino.
Dopo qualche chiacchiera, mi ritrovavo tra le mani il numero di telefono
di Lucia e un cuore risollevato.
Non ci badavo molto allora, ma era il gratta e vinci che mi aveva portato all’appuntamento con Lucia.
La sera dell’appuntamento mi ero accorto di come non avessi abbastanza soldi: venti euro
.
Terrorizzato dalla situazione non potevo che uscire da casa con la speranza che qualcosa potesse aiutarmi.
Se solo avessi più soldi. Davanti ai miei piedi c’era un piccolo portafoglio con dentro solo delle banconote: due da cinquanta e uno da venti.
Era allora che avevo capito veramente gli effetti del gratta e vinci, che quel giorno tenevo in tasca. Ero così elettrizzato e terrorizzato dagli effetti del gratta e vinci che avevo deciso di incontrare il cassiere; erano ancora le sei di sera e la tabacchina era aperta.
Ero entrato, me lo ricordo bene, e dentro c’era Giulio con un’aria completamente persa.
Giulio mi guardava, non sembrava volermi rispondere, poi:
Non potevo credere alle mie orecchie. Nella paura improvvisa non avevo fatto altro che offrire le condoglianze e andarmene.
La serata era tranquilla e piacevole; Lucia non faceva altro che parlare e trovava sempre un argomento di cui trattare, mentre io non riuscivo a pensare se non a quel Vittorio de Sica tabaccaio.
All’uscita dal ristorante eravamo andati in un parchetto ben tenuto e illuminato, ancora frequentato essendo state solo le dieci di sera.
Lì Lucia mi aveva dato un bacio, passionale, al quale non potevo rispondere con indifferenza; era forse l’unico momento della serata in cui non avevo pensato agli eventi surreali dell’ultima settimana
.
Avevo finalmente trovato di nuovo l’amore e con il gratta e vinci mi bastava desiderare un nuovo lavoro, un futuro più stabile, una famiglia magari con cui ricominciare la mia vita ed essere di nuovo felice.
Ma quella sera era stata decisa la mia disfatta.
Lucia propose di andare a casa sua, io dovevo guidare. Prendendo le chiavi non mi ero accorto del fatto che il piccolo portafoglio che avevo trovato era caduto con all’interno venti euro rimasti e il gratta e vinci. Di quel foglietto non so cosa ne sia stato. Magari mangiato da qualche cane idiota.
Raggiunto l’appartamento non avevo nemmeno il tempo di controllare le tasche, ero già a letto con Lucia. La notte indimenticabile che non ti scordi mai più.
La mattina poi…
Mi ero svegliato per primo, al buio non si capiva bene dove fossi non essendo abituato alla casa e non avendo nemmeno avuto il tempo di vederla per bene.
Mi ero alzato, camminavo un po’ alla cieca fino alla porta; per sbaglio avevo dato un colpo al gatto di Lucia, non ne ero a conoscenza. Dal bagno con un po’ di mente locale ero andato in cucina, preparato del caffè con la moka e poi ritornato in camera con una tazzina per Lucia.
Avevo aperto gli scuri della finestra, giratomi i miei occhi erano completamente inorriditi.
Davanti avevo quello che era rimasto di un corpo umano: carne molliccia sparsa qua e là sopra un lago di sangue. Il naso si era attivato solo in quel momento dopo aver capito la differenza tra gli odori esterni alla finestra e quelli dentro l’appartamento.
Delle ciocche di capelli erano disposti sul cuscino, per la maggior parte sporche di sangue.
Ero caduto a terra disperato, smarrito, impaurito, perplesso.
Non avevo nemmeno i conati di vomito, gli occhi erano sbarrati su quel blob che fino a ieri si chiamava Lucia.
Non ricordavo nulla dopo essermi addormentato, e come avrei fatto!
Il gatto era saltato sul letto e si metteva ad annusare i pezzi di carne e ossa sparsi sporcandosi le zampette e portando in tutte le stanze parte di ciò che apparteneva a Lucia.
Mi domandavo senza sosta. Non potevo ancora credere che fosse successo una cosa del genere.
Ma avevo trovato una soluzione: usare il
gratta e vinci per risolvere ogni problema
, ma quale imbecille che sono avevo perso il foglietto.
Ero uscito fuori alla ricerca del gratta e vinci, tormentato dalla vista orrida di prima. Avevo raggiunto il parchetto della sera prima, ma il foglietto non c’era, se non un pezzettino.
Qualcuno o qualcosa aveva preso il mio gratta e vinci.
Mi ero seduto sulla panchina, sì… allora avevo capito bene l’orrore in cui mi trovavo.
Attorno vedevo carne distesa a terra, tra animali dalle forme orripilanti. Gli alberi gradualmente si deformavano e prendevano sembianze mostruose. Le foglie cadevano gridando e piangendo di dolore, i rami ululavano e cantavano come lupi e soprani.
Il cielo gradualmente si oscurava di viola.
Il terreno si muoveva autonomamente spaccandosi e riunendosi; dalle spaccature uscivano ragni dai cui addomi crescevano volti di persone e dalle loro labbra fuoriuscivano urla di terrore e bestemmie.
In preda al panico mi ero messo a correre verso la mia auto e tremando ero riuscito a farla partire, ma non appena ero riuscito a mettere la prima, la strada diventava molle, il cambio sembrava fatto di cera. La radio si accendeva e riproduceva suoni e voci distorte, ma nonostante tutto ero riuscito a raggiungere casa, passando con le ruote sopra quelle carni sparse per le strisce pedonali.
Correvo verso la tabacchina ancora aperta e ben illuminata. Dentro c’era il Vittorio de Sica tabaccaio
.
Gridavo ansimando.
Il tabaccaio mi sorrideva.
Non potevo credere che questo insieme di eventi surreali stessero accadendo per davvero… e che io ci credessi.
La regola era semplice: vinci sempre se non perdi il gratta e vinci.
Domandavo con le mani sul bancone, gli occhi coperti di lacrime.
Il tabaccaio non badava nemmeno ad abbassare la serranda, aperta la porta verso un corridoio si era dileguato nel buio pesto della stanza oltre il muro lasciandomi da solo.
È questa la storia di come ho venduto la mia vita per due euro.