Primordiale violenza antropologica

Analisi comparata della violenza contro i maranza

Primordiale violenza antropologica
Lettura boomer
Maranza violenti, maranza squadristi, squadristi violenti... Umani violenti?

Il bello di vivere e frequentare Milano è che puoi, nei passi che scandiscono la quotidianità frenetica, assaggiare pezzi del futuro che ci aspetta. E diciamocela tutta: quello che abbiamo alle porte è un futuro molto passato.

Nulla cambia mai, perché l’uomo è sempre lo stesso.

La notizia più fresca a Milano è sempre una: VIULEEEEEENZA. 

Siamo vilmente abituati alla violenza autotelica (non preoccupatevi il termine lo spiego più tardi) dei “nostri” contro ragazzine e vecchiette indifese, quindi la novità che fa scalpore è qualcosa di ancora più oscuro: la violenza organizzata contro i maranza.

Ha fatto scalpore un video in cui una autodichiarata organizzazione di autodifesa da un sacco di bastonate ad un ragazzo nordafricano accusato di aver rubato una collana. Sono fioccati commenti di ogni genere, dagli indignati speciali contro alla violenza tout court, ai cittadini stanchi che appoggiano l’iniziativa fino all’evocazione del vero spettro del nostro tempo: “siete come le squadracce fasciste” dice più di qualcuno.

Ma è davvero così? La violenza ha connotazione ideologica?

La violenza È fascista?

Per scoprirlo possiamo chiederlo direttamente ai fascisti veri, quelli che fanno ancora una gran paura con le loro vecchie uniformi Feldgrau e gli elmetti d’acciaio. In nostro aiuto accorrono Sönke Neitzel e Harald Welzer, rispettivamente uno storico militare e uno psicologo, che, attraverso la lettura delle intercettazioni delle conversazioni tra i soldati tedeschi durante il periodo di prigionia nei campi alleati, hanno cercato di capire quanto di nazionalsocialista c’era nella sfrenata violenza di massa che ha caratterizzato la seconda guerra mondiale.

Lo stupore che si prova nel leggere questa raccolta di verbali di intercettazioni deriva proprio dalla totale assenza di meraviglia di fronte alla violenza: i soldati si raccontano di crimini orribili e di orrori oltre l’umana comprensione come io racconto del ritardo del treno o del caffè bevuto con i colleghi. 

Un soldato della Luftwaffe racconta che il suo divertimento durante l’invasione della Polonia era quello di sparare con la mitragliatrice dentro alle culle dei passanti sotto di lui ma che si dispiaceva sempre molto quando morivano dei cavalli (qualcuno pensi ai cavalli!). Ragazzi della Wehrmacht a raccontano invece di villaggi bruciati, donne stuprate, civili messi al muro e prigionieri di guerra passati per le armi; il tutto nella più totale normalità. 

villaggio

Si potrebbe pensare che gli elementi dominanti delle conversazioni siano l’odio antisemita, la visione del mondo, la guerra contro al bolscevismo e il LebensraumEbbene no. A fare da padrone sono due elementi:

1) La cornice di riferimento e 2) la violenza autotelica. 

Iniziamo con quello che ci crea meno problemi a guardarci allo specchio: la cornice di riferimento della guerra. Dalle intercettazioni emerge che dell’ideologia non si parla mai, è uno spettro fumoso ed evanescente che fa da sfondo alla realtà pratica della guerra. I soldati non ne discutono praticamente mai e lo stesso emerge da studi analoghi sui GI in Vietnam. In guerra si ammazza come in ufficio si fanno le fotocopie. Ai soldati, tutti i soldati, interessa soltanto fare bene il proprio lavoro, tornare a casa con lo stesso numero di membra con cui sono partiti e, possibilmente, divertirsi nel processo. 

La cornice di riferimento della guerra e dei valori militari è l'unico vero motore ideologico che spinge i soldati a fare quello che fanno, i valori di sacrificio, onore, aderenza al gruppo descrivono una prassi che tutti seguono senza avere gli strumenti di metterla in discussione. L’unica cosa che conta per i combattenti è cosa pensa il gruppo, cosa fa il gruppo, che procedure adotta il gruppo.

Le leggi internazionali, gli obiettivi dei politici, la teoria della razza sono parole al vento che vengono disperse non appena si entra nella prassi della guerra, che stabilisce delle regole tutte proprie, che non hanno nulla da spartire con i titoli dei giornali in patria o con la convenzione di Ginevra. Per consuetudine sparare ad un pilota che si è lanciato con il paracadute è assolutamente vietato e ignobile, mentre bruciare un villaggio uccidendo 600 persone perché qualcuno dalla finestra ha tirato un sasso ad un soldato invece è prassi. Oppure, fucilare decina di migliaia di ebrei va bene, basta che sia lontano dal centro abitato perché, altrimenti è un atto inaccettabilmente bestiale.

Questo emerge dalle conversazioni dirette dei soldati: a dettare l’ordine degli eventi è la situazione, il “si fa così”, la volontà di fare bene il proprio lavoro accettando che la guerra “è una merda” e che se sei un soldato ammazzare è come fare cappuccini se sei un barista.

È il contesto a stabilire chi è nemico e chi no e quando sparare e quando no. Ve lo ricordate quel video di WikiLeaks in cui una decina di civili iracheni – tra cui due bambini– sono stati obliterati da un elicottero perché uno degli americani era convinto di aver visto un kalashnikov? Beh ve lo ricordo io, il kalashnikov non c’era e secondo i soldati i bambini erano morti per colpa dei ribelli che se li portavano in battaglia.

Il prossimo è un punto molto importante per comprendere la violenza del 2025: a muovere le efferate rappresaglie dei soldati è quasi sempre un motivo strettamente personale. Se i partigiani uccidono Hans, il mio amico d’infanzia con cui ero abituato ad andare a mangiare lo Schnitzel, il sentimento di vendetta mi farà sentire legittimato a compiere efferatezze di ogni genere. Ma d’altronde questo lo abbiamo visto tutti al cinema: quanti film hanno come leitmotiv la battaglia disperata del soldato di turno contro quegli stronzi dei vietcong/nazisti/talebani/alieni che hanno ucciso l’amico o la moglie del protagonista? Cantami o Diva l’ira del Pelide Achille… La differenza è che nei film non siamo abituati a vedere l’efferatezza disumana della vendetta di sangue perché i protagonisti sono i Buoni™.

Addentrandoci nelle 40.000 pagine di verbali emerge che un altro movente per la violenza e per il sangue è… Nessuno.

La verità è che la guerra è vista dai soldati come un’occasione per soddisfare una serie di bisogni personali: il cibo, l’avventura, il sesso e la violenza fine a se stessa. Si, proprio lei, la violenza autotelica, quella chimera che noi europei pensavamo di aver sconfitto ed escluso dalle nostre vite entrando finalmente nella società civile in realtà è ancora lì, come un bisogno primario, come una fame animalesca e primordiale. 

I soldati ammazzavano, ammazzano e ammazzeranno perché possono, perché vogliono, perché a loro va di farlo. La cornice della guerra consente di soddisfare un bisogno che in tempo di pace viene sfogato altrove: nel cinema, nello sport, nel gioco, nella finzione. Come nessuno giustifica razionalmente il proprio bisogno di mangiare e di bere o la propria voglia di fare sesso ecco che i soldati non giustificano il loro bisogno di violenza.

Coloro che hanno vissuto l’esperienza del fronte conoscono il segreto dell’uomo, hanno rotto la grande menzogna che vede nell’uomo occidentale un essere pulito e civilizzato, sanno perfettamente che il sangue ci serve come ci serve l’acqua.

Insomma: ai soldati tedeschi del Führer non gliene fregava un cazzo, a quelli americani non è mai fregato un cazzo né dei rossi né dei talebani, non c’erano Weltanschauungkrieger (guerrieri per una visione del mondo) o freedom fighters ma semplici fabbri, impiegati ed imbianchini che venivano da un lato indirizzati verso un compito nuovo ma totalmente uguale nella professionalità, e dall’altro che potevano finalmente sfogare quel fondo di istinto alla violenza, che sotto sotto hai anche TU! 

Alla fine dei conti, se il buon Dio ci ha messo nell’anima la passione per il massacro lo ha fatto per un buon motivo.

Quindi, dispiace tantissimo, ma, no, le ronde antimaranza non sono “fasciste”, è la crescente instabilità sociale di Milano a offrire a tanta gente l’occasione per essere violenta e saziare quella fame nascosta che ci portiamo dentro. 

Chi credeva che la violenza fosse scomparsa grazie alle democrazie liberali (tenute in piedi proprio dal monopolio della violenza) si è sempre sbagliato: non esiste mondo senza violenza. Quest’ultima è solo un aspetto non eliminabile dell’essere umano: la si può certamente gestire (in un modo o nell’altro), ma abolirla per decreto è fuori dalle nostre possibilità. La nostra pretesa di eradicarla con l’educazione o la cultura è un’illusione a cui faremmo bene a rinunciare in fretta o saremo totalmente impreparati quando scoppierà nelle strade o nel cortile di casa nostra.

Forse conviene imparare a sparare, amici miei.

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