Creare le situazioni che generino il conflitto.
Al Bookpride a Milano ci andiamo rigirandoci il tirapugni in tasca. Questa volta finirà male me lo sento.
Ci andiamo assolutamente impreparati, con un unico libro: un manifesto tutto nero di cui il titolo dice tutto: Manifesto contro l’editoria.
Sarà una bomba, non piacerà a nessuno, la direzione ci verrà a chiedere cortesemente di allontanarci dalla manifestazione. Gli altri editori, offesi, ci ostracizzeranno. I distributori e i promotori faranno cartello, verranno con le mazze chiodate. I librai, ingobbiti da una vita di magazzino, si limiteranno a guardarci di sbieco, tracciando una linea lungo il nostro nome sul catalogo degli stand da visitare. Staremo sul cazzo anche agli avventori, i lettori, quelli forti e quelli deboli. In fin dei conti se hai pagato per entrare a una fiera del libro non è assolutamente scontato che tu abbia mai letto qualcosa di più profondo di Ammaniti o Stefano Benni, ma una qualche forma di devozione nei confronti del mondo editoriale la devi avere, o almeno ci devi tenere ad ostentarla.
Finalmente un po’ di conflitto. Finalmente l’opposizione, la lotta. Chiaro, nel nostro piccolo, dietro uno stand a una fiera di seconda categoria, a difendere un mondo e dei valori che nell’economia del creato pesano meno della dieta che promuove la Ferragni; ma è ciò per cui ci svegliamo ogni giorno. E allora si parte, pronti a litigare, pronti a non guardare in faccia nessuno e a vivere a pieno la situazione generata dal conflitto.
Ovviamente con calma però. Che Milano è pur sempre da bere e l’aspirina stamattina ancora non sta facendo effetto.
Poi tanto sta fiera chi vuoi che se la inculi alle 10 del mattino di Venerdì.
Per le undici e mezza lo stand è pronto e il malditesta è passato. Rimbocchiamo le maniche, scaldiamo i polsi, sciogliamo la lingua. Arriveranno in massa a pretendere spiegazioni e gli vomiteremo addosso tutta la frustrazione irredenta degli ultimi cinque anni. Perché sono 5 anni che la distribuzione (Messaggerie) e la promozione (NV) si mangiano il 60+8% del prezzo di copertina dei nostri libri. Per non fare nulla. Per spostare dei pacchi. Che fossero rotoli di salami o carta igienica o libri non gli cambierebbe nulla. Ma per spostare un pacco si prendono quasi il 70% del ricavato.
Lo stand è un mare nero, ricoperto solo da centinaia di copie del manifesto. Avvolto poi da gigantografie della copertina, sempre nere, rigorosamente. Noi abbiamo facce serie, ci lanciamo vicendevoli grugni di auto-incoraggiamento. Strizziamo gli occhi scrutando chi si ferma, a captare indizi di ostilità in attenta attesa del mezzogiorno di fuoco.
Passa una scolaresca, leggono ad alta voce
Manifesto contro l’editoria
E vanno avanti, incuranti, verso la zona fumetti, scombinando al passaggio l’ordine di freddo razionalismo geometrico con cui avevamo disposto lo stand.
Vabbè son bimbi, che vuoi che ne sappiamo?
Ci diciamo. Passa un hipster (a Milano ci sono ancora gli hipster, assurdo). Ha sottomano tre libri di Adelphi e due di Minimum Fax (è tipo mezzogiorno e questo ha già speso una piotta, probabilmente poi ce li ha già tutti a casa). Legge il titolo del manifesto. Dice No vabbè raga grandi. Faccio una foto
. Così fa. Se ne va. Non capiamo.
Ancora storditi dall’accaduto, vediamo passare quello che non può che essere suo fratello gemello, solo che ha meno barba e due libri di Adelphi e tre di Minimum. Stessa scena. Chiede alla fine però quanto costa. Noi neanche lo sappiamo. Non ci abbiamo neanche pensato al prezzo. Non pensavamo che se lo sarebbe davvero comprato qualcuno. Ci servivano solo abbastanza copie da riempire il tavolo. Diciamo:
Boh quello che vuoi
Ci lascia 15 euro e se ne va, non prima di avere fatto una foto però.
Inizia l’assalto. Quei due hipster maledetti devono aver fatto una storia su Instagram. Arrivano da tutte le parti:
No vabbé, adoro
Posso metterla su instagram?
Ok ok buoni ragazzi, questi sono lettori. Non gliene sbatte una sega di quello che comprano. I libri i lettori non li leggono, almeno non quelli che vengono alle fiere. La copertina fa un po’ scandalo e quindi devono aver visto del potenziale per le loro home. Ma adesso vedrete, adesso arriveranno quelli del settore. Vedi quando arrivano gli editori. Vedi quando arrivano i librai. Vedi poi quando arrivano i distributori. Lì i cannoni pesanti, mi raccomando. Saranno furiosi.
Ci confortiamo con questi pensieri quando dall’erba alta spunta un Pippo Civati selvatico. Si sofferma sulla copertina. Eccolo, sta aprendo la bocca. Ha dedicato la sua vita al mondo che mandiamo a fanculo in copertina, avrà senz’altro da ridire. Eccolo che parla, pronti tutti.
No ragazzi, vabbé siete dei grandi. Quanto costa?
Tentiamo Ruggito:
Guarda non è che proprio in vendita, era più una provocazione;
Dai vi do dieci euro.
Sconsolati accogliamo l’umiliante scotto e ci intaschiamo i dieci euro.
Vabbé ma Civati è una brava persona, non è parte del problema, ne soffre come noi. Ed evidentemente anche tutti gli altri editori che passano.
E acquistano. E fanno foto. E le copie stanno già per finire. Il primo giorno. Chiediamo un aiuto da casa. Informiamo la redazione che il manifesto sta andando a ruba, che sembra il Black Friday alle 7:59 del mattino davanti alle porte scorrevoli dell’Unieuro, che librai ed editori stanno dando di matto. Lo vogliono tutti. Nessuno che si incazza, nessuno che storce il naso.
Tutti a dire sto cazzo di grandi raga
. Che facciamo? È chiaramente un fallimento. Prendiamo baracca e burattini e ce ne andiamo? Dalla redazione ci dicono che hanno fatto una spedizione premium in giornata di altre copie del manifesto verso il nostro stand. Sti cazzi del conflitto, tocca fatturare phyga, questa è una gallina dalle uova d’oro. Ci dicono di puntare solo agli addetti ai lavori che sembrano spendere di più, di non perdere più tempo con i lettori, a meno che non facciano la storia su Instagram. Insomma basta vecchiette, solo gente con la collanina per non perdere l’Iphone.
Allo stand non ci stiamo, non siamo venuti qui per questo. Vogliamo litigare. Noi tiriamo avanti. Qualcuno che si incazzerà ci sarà ne sono sicuro, è solo il primo giorno. Ecco l’occasione. Eccolo che passa. È il direttore commerciale di Messaggerie (i figli di … che ci distribuivano fino a 4 mesi fa). Ha un completo blu meraviglioso, delle scarpe nere a punta. Se le è comprate con i soldi di Romanzo con Cocaina. Lo riconosco perché è il viso ormai a brandelli su cui lanciamo le freccette in ufficio durante la pausa. E si sta fermando. Legge ad alta voce il titolo. Ti prego almeno tu. Almeno tu arrabbiati. Dì qualcosa di conflittuale!
È una provocazione, è una domanda retorica, vuole insinuare che lo facciamo solo per i soldi. Gli rispondiamo fieramente: 20 euro. Tira fuori un cinquantone da un portafoglio nero di pelle. Gli diamo il resto con le mani che tremano. Dice sembra interessante, vi farò sapere
, sorride e se ne va.
Ma che sta succedendo? Noi li insultiamo e loro ci pagano? Noi li smascheriamo e loro ci finanziano? Ma è il mondo alla rovescia. Sono rimaste poche copie sul tavolo. L’illuminazione. Questa farà scalpore. Vedi ora se non ci cacciano. Disponiamo le ultime copie rimaste a forma di un enorme svastika nera girata di quarantacinque gradi rispetto all’asse. Ora dobbiamo solo aspettare. Passa un bimbo, mano nella mano con la mamma: Mamma guarda che bello un mulino
. Niente, non c’è niente da fare. Qui nessuno ha un cazzo da ridire. Nessuno si vuole offendere. Abbiamo le tasche piene di soldi, lo spirito lasso e sono appena arrivate le altre copie del Manifesto.
Se il mondo gira al contrario forse siamo noi ad andare nella direzione sbagliata. Intaschiamo tutti i soldi in nero e li dilapidiamo in una serata oscena in fondo a Via Padova. Torniamo diretti senza passare da casa per il secondo giorno di fiera, confusi e sudaticci, pronti a vendere ogni singola copia rimasta. Prezzo fisso. 10 euro. Non trattabile. Adesso giriamo nel verso giusto, ma ci viene comunque a tutti da vomitare.
Sta per finire anche la seconda mandata di libri. È ufficialmente un caso editoriale. Quando eccola d’un tratto spuntare tra le teste. La vediamo da lontano. La notiamo tutti quanti. Si fa largo piano piano tra i grandi raga
e i quanto costa?
. Ha il viso nero di livore, che stona col bianco-neve del suo Moncler. Unghia rosse e lunghe, occhiali spessi. Sibilla stridii di sdegno al suo compagno, che la regge sottobraccio; le parole sono impercepibili, ma dal suo volto corrucciato trasuda aria di conflitto. Dietro lo stand iniziano le gomitate. Chi si tira schiaffi in faccia per riprendersi, chi la fissa ammutolito. Lei si schiarisce la gola ed enuncia con occhi fissi: e voi chi vi credete di essere?
Uno di noi si alza e grida 10 euro;
riaffonda nella sedia confuso. Proviamo a balbettare: noi siamo una casa…questo era per denunciare… ecco… perché la distribuzione… il ricatto
interviene lei, tagliente, incisiva, veloce come un lampo: io sono un agente letterario
e con una smorfia di supremazia si incammina gloriosa di vittoria perdendosi nella folla. La osserviamo sparire con occhi lucidi mentre si porta via con sé quell’ultima speranza di conflitto, dai noi miserevolmente disattesa.