Hai ricordi confusi riguardo al tuo passato.
Giri per le rive e le calli di questa città che galleggia nascondendoti alle occhiate dei preppers, degli uomini in fuga e dei profeti della liberazione dalla prigione del corpo.
Per te, il corpo è una forma di libertà, un’uscita nelle luce.
Le anime, pescate nel buio della scatola, vengono calate in un’individualità biologica per portare il messaggio.
Diventano voci vive del brand, si alternano.
Tutto ciò che hai lo porti indosso.
Occhiali da sole Oakley, una maglietta bianca, un paio di shorts a fiori, scarpe da barca, una borraccia a tracolla e il corallo che ti identifica.
Nel marsupio, un sacchetto di catnip
sempre sul punto di finire, le cartine per rollarla, un opinel affilato ma senza punta, una scatola di fiammiferi, il telefono e qualche moneta d’argento.
Ti prepari così al destino manifesto, al climate change, all’innalzamento del mare di fuoco che sommerge poco alla volta i palazzi.
Cerchi quel tuo amico da giorni, e speri che non si sia già impiccato.
La sua stanza era vuota, nessuno lo aspettava ancora.
Il cielo ingiallito produce una nebbia solforica che avvolge temporaneamente le geometrie cittadine commiste di epoche recenti e lontane, ormai compresenti. Sopra l’antichità della terra si stratificano le ere, le geologie umane e non. Si spezzano le picche e si seppelliscono le bandiere. La roccia mummificata riemergerà tra secoli, o sparirà nei turbini tempestivi del sole esploso.
Hai ricordi confusi che occasionalmente si rischiarano e sembrano connessi indissolubilmente al presente.
Rinascono dall'improbabilità di un gesto, dalla perfetta naturalezza di un momento qualunque, dalla disposizione dello spazio che incontri.
Hai visto passando in un vicolo ombroso l’insegna di un rivenditore di bombole e caldaie. Oltre la vetrina, i dispositivi prendevano polvere.
Anni fa, preso dall’entusiasmo, hai mostrato la pelle ad una compagna in cortile. Pensavi di condividere con lei un’intimità, un segreto che sarebbe stato solo il vostro.
Lei ha riso forte e attratto a sé la morbosa attenzione di tutti gli altri, entità derisorie accorse per distruggere la tua emotività.
Ti sei sentito tradito, e pure da te stesso, da quella stessa emotività che volevi consacrare nel vincolo di un’amicizia segreta.
A casa, ti sei inciso una croce di sangue su quella stessa pelle, recitando una frase che ricordavi, trasformata per l’occasione in formula.
Hai dato fuoco alla tua stanza sopprimendo le lacrime.
Tu odi l’ortodossia dei sentimenti, il loro valore qualunque, la loro comunicabilità.
Li digerisci silenziosamente. Li trasformi, li deformi, li rendi impressionanti ricoprendoli di una scorza orrorifica, inammissibili.
Sei insensibile ora in quella parte di pelle che hai scoperto. Dentro di essa hai nascosto qualcosa che ti sei promesso nessuno avrebbe mai più ritrovato.
Solo poi, accucciato tra le caldaie impolverate della parrocchia dove passavi il pomeriggio, hai avuto compassione di lei.
Avresti voluto soffocarla col gas, per perdonarla.
L’hai solo guardata da lontano con occhi di pietra, chiuso nell’ombra di un locale caldaie come un gatto stempiato, mentre lei rideva genuinamente all’aria aperta.
Quando finalmente hai trovato la forza di uscire, hai pensato.
Da quel giorno ti senti qualcuno alle spalle.
Da quel giorno hai iniziato a inventare.
L'arte cura il mondo
, lo cambia rendendolo uguale a se stesso. Lo mantiene nella diversità che ogni volta si auspica, nel cambiamento a cui spontaneamente tende. Lo inventa e lo riscopre, per stupirsene ogni volta e goderlo imparandolo.
Sei sceso in uno scantinato attratto da una luce laboratoriale che ne proveniva.
Non c’era nessuno. Solo un riflesso di sole pallido da una finestra rotta, che colpiva un coccio di bottiglia.
Hai rovistato coi piedi in un cumulo di detriti, immondizia, riviste porno sparse come un tappeto di polvere e calcinacci.
Ne hai raccolta qualcuna e l’hai portata in camera.
La notte quando spesso torna l’insonnia ascolti assiduamente i loro corpi, morbosamente li vivi sfogliandoli, come se ti vivessero nelle fibre vive dei muscoli. Forse, pensi, sono loro a toglierti il sonno.
Ci passi attraverso, li vivi per un po’.
Li percorri, li godi, poi li abbandoni.
Conservi solo le loro mani, le ritagli, le incolli, le nascondi in un caminetto in soffitta. La sera controlli che ci siano ancora, che non abbiano sviluppato delle intenzioni. Che un pensiero non le abbia attivate.
È una vita di porno.
Sei tu TEOTWAWKI
, la fine del mondo.
La dea insonne che si crede viva.
Il sangue che scorre non è mai il tuo.
Inizi a farti delle domande.
Continua