2 settimane

Bezos Doge di Venezia!

Via i turisti!

Bezos Doge di Venezia!
Lettura boomer
Bezos compra Venezia e falla di nuovo grande!

Dal palco-zattera dei Pink Floyd del ’89

300 tonnellate di rifiuti e harakiri della giunta comunale, al red-carpet anfibio del 2025, corre poco più che un’onda di marea.

Allora l’evento fu immortalato dal grido“Oi ’ndemo veder i Pin Floi”; oggi il mantra è“Oi, ’ndemo veder i Bezos”, con novantacinque Gulfstream in fila sul tarmac dell’aeroporto, a giusto due curve dal Casinò, dove gli invitati faranno probabilmente una puntatina prima di arrivare in isola, a tenere un po’ di compagnia ai Casamonica che fanno stretching alla roulette prima di puntare la mancia del reddito di cittadinanza.

La Serenissima, regina di pepe e ambra

Ora affitta calli e conventi per un matrimonio-show da cinquanta milioni (e una piccola donazione, non dimentichiamocelo!).

La Scuola Grande della Misericordia era troppo porosa ai cortei; così la carovana si rifugia nelle Tese dell’Arsenale, bunker dorato con ponti mobili alzati come firewall contro i coccodrilli gonfiabili lanciati da residenti e ambientalisti nei canali per impedire il passaggio degli invitati, rettili “verdi” in pantone ed intenzioni ma decisamente poco nella composizione chimica.

La laguna barcolla sotto un diamante da trenta carati mentre i gondolieri diventano comparse, magari con un bel QR stampato sulla maglietta a righe per seguire in diretta “l’evento del secolo”.

A questo punto…

…vista la colonizzazione della città, perché non essere democratici ed includerla in tutte le sue parti: che lo spettacolo approdi in terraferma!

  • Via Piave diventa passerella haute couture fra una pera di gialla e una Peroni da 66 spaccata sulla schiena del testimone.
  • La cerimonia? Perché no, al Moloch di ferro e cemento di Fincantieri a Marghera, in effetti simbolo di come il capitalismo si sia già imposto sulla città, a discapito di norme edilizie o ecologiche che siano.
  • Il ricevimento? A Carpenedo, con cicchetti e prosecco tiepido serviti sulle panchine vista ferrovia: la provincia che si spalma di maionese mentre il capitalismo a ventiquattro carati le stormisce sopra la testa.
  • E per smaltire i rifiuti? Beh, interrarne qualche altro sotto il Parco San Giuliano non cambierà di molto le cose no?

Del resto, se quella che un tempo era la gloriosa capitale della Serenissima

…ormai si vende a ore come in un bordello di lusso sul Canal Grande, tanto vale cederla in blocco, e a peso d’oro, all’uomo più capitalizzato del pianeta.

Nasce così la Repubblica Mercantile Tecno-Capitalista di Bezosbay:

  • PrimeWarehouses nel palazzo Ducale
  • Rialto riconvertito in hub notturno per droni cargo
  • Server-farm raffreddate a marea a occupare le sale della basilica di San Marco
  • Ca’ Foscari trasformata in campus per ingegneri quantistici pagati in dividend-share
  • MOSE 2.0: stavolta incorruttibile, difende non dall’acqua ma dalla volatilità del Nasdaq

E quando questo si chiuderà anche sull’ultima paranza di pescatori, gli abitanti non saranno altro che Umpa Lumpa, pronti a lavorare quando richiesto, ottimi servitori ammaestrati che per arrotondare affitteranno il bisnonno in costume ai TikToker.

E il Doge poi?

Rottamato. Al suo posto DogeAlg™, IA sovrana che governa in tempo reale:

  • tariffe turistiche a surge-pricing
  • plebisciti via blockchain
  • ordinanze firmate con chiave crittografica e timbrate da leoni di San Marco re-skinnati in emoji

Se funziona, sarà franchising globale; se implode, è già pronta una serie su PrimeTV per ammortizzare i costi.

«Due tissie con passo semistrascinato
due tissie semibuone, semischic, semivip,
semifrick che gridano:
“Io Venezia la odio!”
Domanda: “Perché odi Venezia?”
“Perché fa schifo!”
Domanda: “Perché non te ne sei stata a casa tua?”»
— Pin Floi, Pitura Freska, 1991

Il verso dei Pitura rimbalza oggi quasi come una profezia. E come si fa a non odiarla?

A ogni alba la laguna si sveglia più imbrattata: turisti XXL, intontiti come se gli fosse esplosa una granata a due metri, rassegnati a farsi spennare per un cono da 12 euro a pallina, che inesorabilmente cola sulle ciabatte di gomma modello “savana”, pronto a farsi arraffare da un gabbiano gonfio di rabbia e microplastiche.

Le gondole, ormai Uber anfibi a tariffa surge, i cui gondolieri (che spesso non sono neanche veneziani) strillano “O sole mio” con una stonatura tale da far competizione ai già menzionati volatili.

Sullo sfondo, le crociere formato disastro ecologico gettano ombra su San Giorgio: grattacieli galleggianti che fischiano come caldaie, sputando migliaia di passeggeri con l’aria spaesata di chi è sceso alla fermata sbagliata di Disneyland.

E in un teatro ridotto ad un centro commerciale a cielo aperto

…anche il palchetto politico non stona: Il sindaco, fresco fresco di avviso di garanzia per corruzione, si riabilita organizzando il matrimonio-spettacolo del miliardario di turno: luci hollywoodiane che bruciano le ombre delle tangenti e tappano la bocca alle inchieste con un nastro color champagne.

Una “deroga speciale” infilata tra due decreti, che vale più di ogni confessione: pompino sloppy, rigorosamente senza dentiera, al migliore offerente.

Qualche firma-lampo, due selfie in fascia tricolore, uno spritz di facciata, e le mazzette scivolano dietro le quinte mentre le bomboniere occupano la ribalta: scandalo sfocato, avanti il prossimo charter.

“Eppure, a ben guardare, vendere davvero Venezia, tutta, chiavi e fondali compresi, sarebbe quasi un gesto di sincerità.”

Fine dell’ipocrisia del weekend mordi e fuggi, addio ai ticket d’ingresso travestiti da “contributo di accesso”, basta rese teatrali in cui la città fa la parte della cortigiana e ripete: “Non lo faccio per soldi, ma per cultura.”

Mettiamo un prezzo. Uno solo. Astronomico e definitivo.

Bezos firma, si porta via la laguna come un prodotto fatto e finito e noi ci svegliamo dal sonno dell’illustre decadenza: niente più scuse, solo la nuda verità di una città, con tutta la storia, la cultura, la bellezza e quel che volete ridotta a poco più che un misero asset.

Il souvenir era già in vendita, ci abbiamo solo appiccicato il codice a barre. Venezia passerà pure di mano, ma il vero trasferimento di proprietà è già avvenuto quando abbiamo deciso che questa non poteva essere una città, ma solo un grosso parco giochi.

E adesso che il compratore è in agguato, almeno possiamo smettere di fare finta di non vedere il cartello “Vendesi” appeso al Ponte dei Sospiri (o al Fondaco dei Tedeschi).

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