DISCLAIMER: prima di discutere qualsiasi tesi, vorrei specificare che IO NON HO AMICI ALBANESI.
Ci tenevo a sottolinearlo perché qualcuno potrebbe pensare che le considerazioni di seguito siano frutto di una mia simpatia innata verso gli albanesi. Ebbene, non è così.
Da quando lavoro come piva (partita IVA), molte cose sono cambiate nella mia vita. La prima: mi trovo spesso a mangiare in trattoria, in particolare in inverno.
Per quanto cerchi di risparmiare preparandomi qualcosa da mangiare quando sono distante da casa, l’abbraccio di un pasto caldo, specialmente quando fa freddo e si è lontani da casa, è indispensabile. Ne va della mia salute.
Frequentando le trattorie del trevigiano, luoghi di incontro e di scontro, mi sono trovato più volte in un ambiente multietnico, culturalmente dinamico e cosmopolita: slavi di varie nazionalità
(ma comunque tutti slavi uguali), romeni, macedoni e albanesi, qualche nero, pochi marocchini.
I Veneti non sono ancora in minoranza ma a ben guardare non vi è molto da sorridere: pochi giovani oggi sarebbero disposti a lavorare come muratori, carpentieri, giardinieri o artigiani in genere
; è solo questione di tempo e le trattorie inizieranno a servire cevapcici e goulash anziché tripe e sepie in umido.
Il problema incombe sulle nostre teste.
Per una volta non mi riferisco al cibo, ma ai giovani italiani “che non vogliono più fare certi lavori”
. Cinquant’anni di secolarizzazione forzata, quarant’anni di televisione commerciale, trent’anni di seconda repubblica, vent’anni di moneta unica e quindici di crisi economica hanno decisamente rincoglionito l’Italia. E sottolineo l’ITALIA perché credo che questo problema abbia un respiro nazionale e sia intergenerazionale, anzi, il lato tragico è proprio questo:
i giovani italiani sono rincoglioniti.
Fa male dirlo, fa male perché è un’ammissione di colpa, ritengo di essere in via di redenzione, ma d’altronde come molti miei coetanei devo scontare il peccato originale, il male di tutti i mali:
ho fatto l’Università.
Fare l’università oggi è diventato una tappa obbligata, come fare la Naja fino a vent’anni fa ma senza armi, proiettili, carri armati, divise fighe, compagni terroni che patiscono il freddo a Tricesimo (UD) e camerati polentoni che patiscono il superiore terrone.
Ora, non prendiamoci per il culo, il 70% dei laureati in Italia andrà a fare un lavoro malpagato per cui fino a dieci anni fa non era richiesta alcuna laurea. Il restante 30% si divide tra chi espatria, chi ha l’azienda di famiglia e chi da pippato inscena finti rapimenti per chiedere il riscatto per avere i soldi per pagare
i trans (perché ha l’azienda di famiglia).
Questo solo per ricordarvi che la FIAT è in mani francesi e che dobbiamo riguadagnare l’industria pesante nazionale.
Giovani italiani: lavoro ce n’è fin sopra i capelli.
Le prospettive dei laureati italiani, insomma, non sono rosee.
Quelle degli artigiani si.
Mentre molti giovani italiani sprecano il loro tempo a scaldare il banco in università, studiando per una di quelle lauree inutili – che pullulano negli ultimi anni – come Scienze del turismo e Scienza e cultura del cibo
, e magari rincarando la dose facendo un master privato
(perchè 5 anni di studio non sono abbastanza per fare un lavoro da 1500 euro al mese), mentre insomma la gioventù italiana spreca la propria gioventù, qualcuno, i genitori che hanno cresciuto questa gioventù malata (caricandola forse dei loro complessi e aspirazioni) e gli immigrati
, si guadagna da vivere facendo l’artigiano.
Il carpentiere, il muratore, il giardiniere, l’idraulico, il falegname, l’elettricista…
Tutti lavori per cui non serve una laurea – non perché siano facili ma perché si imparano facendo – e che si possono iniziare a 19 anni (dopo la maturità) senza passare tre anni in tirocinio.
È tutto oro quel che luccica? No, ovviamente, ma quando si tocca il fondo (come noi italiani ora) non ci si può perdere in baroccherie di pensiero: il discorso deve farsi necessariamente brutalista
, solo così si può cogliere la realtà delle cose.
Non provo particolare simpatia per gli Yankee ma se c’è una cosa che trovo corretta della loro linea di pensiero è quella di farsi i conti in tasca prima di fare l’Università.
Nessuno è obbligato a farla, non tutti sono portati, non ti serve una laurea per essere qualcuno nella vita.
Una trinità da tenere a mente, non come elogio dell’analfabetismo, ma come sistema di scelta brutalista quando bisogna prendere una decisione difficile come fare o no l’università e quale scegliere.E, soprattutto, quando si decide di investire i propri soldi.
Vale la pena non lavorare (o lavorare saltuariamente) per almeno 5 anni, investire tra i 500 e i 2300 euro l’anno in tasse universitarie (in base all’ISEE), e altri 600 euro al mese (forse anche più) per vivere come fuorisede?
Ponendosi le giuste domande si arriva alla giusta conclusione…
NO!
Ecco dunque che il cieco in trattoria inizia a vedere:
i muratori albanesi sono quanto di più vicino ai valori tradizionali italiani ci sia oggi nel bel Paese.
Pensateci un attimo.
Il loro titolo di studio è la terza media, più raramente – e solo i giovani
– hanno finito la quinta superiore; sanno lavorare con le mani, qualcuno bene, qualcuno male, ma indubbiamente possono dire di saper costruirsi la casa
; a 25 anni sono già sposati e hanno almeno due figli; hanno la casa e un BMW o un Mercedes tenuto molto molto bene in garage (nonostante abbia 300 mila km).
Prendiamo ora un coetaneo italiano di 25 anni: ha appena finito l’Università
(se va bene), è stiratissimo
(zero schei sul conto se non quelli che gli versano i suoi), forse ha la fidanzata
(in alternativa si ammazza di seghe), guida la fiat Panda dei suoi e deve prima assicurarsi che la madre non debba andare a fare la spesa
. Piagnucola perché a lavoro prende poco, lo trattano male e, anche se non lo dirà mai, fare l’Università non era indispensabile per fare quel lavoro.
Si lamenta perché il muratore albanese guadagna più di lui.
Completate il quadro del 25enne italiano con abitudini di consumo nefaste e inattitudine al risparmio e capirete perché sostengo una tesi così impopolare:
i giovani italiani sono dei rincoglioniti.
In tea vita no bisogna mai corer, te ha da corer solche quando el moro al te basa al cul.
Trad: Nella vita non bisogna mai correre, devi correre solo quando lo stronzo ti bacia il culo.
Credo che ormai la situazione degli universitari italiani sia talmente grave che lo stronzo si sia già insinuato almeno per metà lunghezza attraverso l’ano
, la testa ormai è fuori e non tornerà dentro. Pertanto è ora di correre, accelerare verso il cesso, calare le braghe ed espletare i bisogni. Solo così l’universitario italiano potrà rinsavire e rinascere, ritrovarsi più leggero volando verso un avvenire sempre incerto ma non insicuro, verso la rinascita economica e demografica.
Tutto questo grazie agli albanesi.
Basta lamentarsi, basta prendere la vita passivamente come se tutto fosse imposto e come se la nostra vita sia appiattita sulla (finta) conoscenza accademica e sul lavoro comodo. Voglio sudare, faticare, rendermi utile alla società con lavori che nessuno vuole fare,
far schei lavorando sodo, fare figli presto, avere una macchina mia
– rigorosamente turbodiesel – prima dei 26…
Insomma, voglio vivere, non dividere la mia vita in segmenti ermetici economicamente e personalmente disastrosi.
Insomma, grazie albanesi per avermi ricordato che i destini d’Italia sono nelle nostre mani e molto distanti dalle Università.