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Paura e delirio a Castel d’Azzano

La storia già dimenticata dei più riusciti an-prim del Bel Paese

Paura e delirio a Castel d’Azzano
Lettura zostile
Gesto disperato o rivendicazione politica? I Ramponi erano davvero vittime della narrativa senza possibilità di contrattacco?

I fratelli Ramponi sono tre bifolchi di un paese di 12.000 anime a sud di Verona.

Nelle foto che hanno iniziato a girare dal momento della strage da loro commessa, indossano tutti cappelli di lana e maglioni consunti che danno la sensazione di essere stati indossati ogni giorno da quando il più vecchio dei tre ha impugnato la sua prima zappa, con tutta probabilità ad un’età da tribunale dei minori. Le loro facce non sembrano nemmeno particolarmente sveglie. Un paio di borse sotto gli occhi appesantiscono il viso di ciascuno di loro, segnato da anni di privazioni, isolamento e paranoie.

Quando ho letto la loro storia per la prima volta mi hanno fatto pensare ad un inglorioso paragone con gli Whittaker, famiglia del West Virginia salita agli onori delle cronache qualche anno fa per essere la “most inbred family in the USA”.

Non sembrano, di certo, degli angioletti, ma se ci fosse un quiz lombrosiano tipo I soliti ignoti in cui bisogna associare ad ogni individuo il suo reato invece del mestiere, il mio istinto mi avrebbe portato sulla pista di uno di quei delitti da film horror in stile mostro di Firenze o, al limite, la ripresa del grande topos letterario del bambino segregato in soffitta.

Mai mi sarei aspettato, invece, un pluriomicidio di matrice politica.

Nessuno, eccezion fatta per la versione AI di Ilaria Salis, sembra essersene accorto, ma questa strage, la più sanguinosa per l’Arma dei Carabinieri del nostro Paese dai tempi di Nassiriya, è davvero difficile da inquadrare se non come un’azione di lotta politica.

I Ramponi erano degli scoppiati sì, lo erano senz’altro. Le testimonianze dei loro compaesani, che negli ultimi anni a dire il vero erano riusciti  a scorgerli solo quando qualcuno dei tre si presentava al mercato a vendere il latte delle poche mucche superstiti dai pignoramenti, non lasciano spazio a dubbi.

Ma le motivazioni del gesto non possono essere ridotte soltanto alla follia.

Perché, in questa strage, c’era tutto il necessario per poter essere potenzialmente rivendicato da una folta galassia di movimenti ai margini del sistema, che siano anarchici, kaczinskiani e reazionari di ogni risma, financo indipendentisti veneti.

In primis per i nemici: lo stato, le guardie, e ovviamente lebbbanche da cui, a ragione o a torto, i siori Ramponi si sentivano perseguitati; c’è lo scenario: quella pianura padano-veneta arricchitasi grazie alle PMI agricole, ma ormai in una crisi che non sembra avere via d’uscita, ormai il luogo più redneck d’Italia, bastione antimoderno a difesa dei vecchi valori tradizionali della terra e della famiglia, ma con un tocco decadente che gli dona anche un’aria vagamente punkabbestiale; c’è soprattutto la premeditazione e la contrattazione con lo stato, un punto che nel racconto è volutamente passato in secondo piano

I Ramponi compivano infatti azioni dimostrative da anni.

Già nel 2021, uno dei tre saliva sul tetto del tribunale di Verona minacciando di uccidersi, e anche la minaccia di far zompare la casa per aria non era nuova alle autorità, dati i ripetuti avvertimenti fatti negli anni.

C’erano già stati tra l’altro tentativi di mediatizzare la battaglia, altro chiaro sintomo di politicizzazione della vicenda.

In alcune occasioni, infatti, era stata la sorella a concedere interviste a redazioni locali per provare a mettere la loro storia sotto i riflettori.

Correva l’anno 2024…

E infine, il più evidente degli indizi: la molotov, l’arma impropria più emblematica della guerriglia, simbolo della resistenza autorganizzata in tutte le piazze del mondo, proiettile hand-made che osa giocarsela alla pari contro le pistole prodotte in serie in dotazione delle forze dell’ordine.

A proposito di molotov, c’è un altro dato da non sottovalutare: il compito dei carabinieri in quest’occasione non era, nello specifico, quello di sfratto. Questo era sì stato deliberato da un giudice e dunque in programma di lì a poco, ma l’operazione in cui hanno perso la vita i tre angeli in divisa era in realtà volta al disarmo del fronte resistente, secondo quanto emerge dalle parole del procuratore di Verona.

Le molotov e le bombole, stipate sul tetto della casa, erano infatti state individuate tramite droni, e non a caso infatti sono state inviate unità delle forze speciali, addestrate per operazioni di particolare pericolosità.

La missione in programma è stata dunque decisamente più somigliante ad un atto di repressione verso un gruppo eversivo, più che all’esecuzione coatta di un atto amministrativo.

Immaginiamo ora uno scenario del genere in un romanzo sci-fi. Sarebbe già diventato un best-seller simbolo della lotta ai “totalitarismi”. Ma anche senza incastrarsi in una finzione narrativa, sarebbe bastato anche solo immaginarlo in una società non europea: la Cina o gli Stati Uniti, o la Turchia, o la Russia, quello che vi pare, in base a quale grande governo mondiale ritenete l’Impero del Male.

Sarebbe stata dipinta come la storia strappalacrime contro il regime oppressivo, un piccolo fatto di cronaca romanzato per grandi e piccini in funzione didascalica, per dimostrare l’inumanità del cattivo di turno, che non esita a gettare per strada tre poveri contadini pur di perseguire i suoi sporchi fini. Pensate un po’, volendo era presente anche l’elemento femminista: tra i tre è chiaramente la sorella la mente dietro a tutto il piano, l’unica che dimostra un fuego rivoluzionario dietro agli occhi scavati. 

Non è bastato nulla di tutto ciò, invece, per dare dignità a questi tre poveri scemi con l’acqua alla gola.

Lei è rimasta ferita gravemente, e, a sensazione, finirà rinchiusa in un qualche centro psichiatrico per il resto dei suoi giorni; gli altri due li sbatteranno in un qualche carcere, alla mercé delle angherie del fratello Bianchi di turno. I tre carabinieri deceduti hanno (giustamente) ricevuto il cordoglio pubblico e gli onori di Stato. Le loro famiglie piangeranno per tanti anni e, se ci è rimasta dell’umana pietà, saremo tutti dispiaciuti per loro: ma d’altronde i rischi di un mestiere infame sono da contratto anche questi.

Per un contadino, invece, l’eroismo non è contrattualizzato.

Non è un dovere, certo, ma a quanto pare neanche un diritto. Moriranno soli e ricordati tutt’al più come quelle vicende di provincia macabre stile delitto di Cogne, buone per riempire una puntata di qualche podcast true crime da quattro soldi

Che lo Stato li abbia voluti cancellare subito bollandoli solo come tre svitati è più che normale, ma che neanche il più scalcagnato dei gruppuscoli contro il globalismo, la modernità e i giudeomassoni, neanche uno di quelli con tre membri che non escono dalla loro echo-chamber neanche sotto tortura, abbia considerato di tributare loro una dignità da ribelli, è l’ennesima conferma che anche quando qualcosa accade, e accade addirittura vicino a noi, preferiamo far sì che non accada mai nulla.

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