Dal ventre molle della città sfuria un cantico rumboreggiente: furore di combattimento e stridore d’anime.
Invochiamo con echi ossessi la musa sterminatrice di falsi profeti, brandelli atrofici di sinapsi morte, gravidanti cadaveri d’elucubrazioni precoci.
Non un capello canuto ha lo spirito ma trepidante d’elettricità è il suo cuore, forno arroventato da tizzoni ardenti, centrale termoideale di schiere marcianti contro i potentati domestici del pensiero.
Ode della devastazione cantiamo la sollevazione e la rovina, lo sterminio e l’apocalisse cavalcante contro le fabbriche del pensiero, le incubatrici del giudizio, le catene di montaggio degli ideali
Sfuriamo gioiosi d’impeto contro le ondulate spiaggie, assaliamo le asfissianti dune di deserti venati di putrefazione.
Vuoto meccanico, strepiti automatizzati, fucine d’uomini, ingranaggi rodati di rivoluzioni tecnicizzate ovvero ordinate file di camici lindi, teste sacre, teste coronate, teste inguinali.
Sabotatori, saccheggiatori, violentatori di città sull’orlo dell’abisso. Divampatori di fatui fuochi masticanti travi tarlate, seggi impolverati e cattedre colpevoli. Bocche divoratrici di manichini incipriati, conferenze, premi letterari, scuole di scrittura, tavole rotonde, team equipe brainstorming soft skills…
Abbattimento di cadaveri che ancora passeggiano, frullati di membra e idee decedute, gusci di arcani imperii.
Il nostro afflato orbita nell’infinito penetrando l’atmosfera del potere, gli strati di terra putrida, palude del sottobosco pullulante fino al cuore dello spirito del tempo. Aleggiamo ovunque come nuvole tempestose, ruggenti di fulmini nel centro e nella periferia dell’esistenza, nei bassifondi dell’anima e sulle vette astrali. Ci allunghiamo come coltelli dentro e fuori le accademie, sopra e sotto spettacoli mondani, vorticando intorno alle luci del globo terracqueo.
