Tuttavia, piuttosto che rinunciare, ho accettato la sfida e ho tirato fuori tutti i libri vecchi e polverosi che mio nonno Roman mi ha lasciato, e dopo alcuni giorni di ricerca posso presentarvi il mio operato.
Egregi lettori: preparatevi, dunque, alla narrazione.
A gennaio 2022, l’anello del potere è stato trasportato dalle acque del Danubio fino a raggiungere inspiegabilmente Belgrado. Dopo alcuni passaggi di proprietà (principalmente a causa di rapine), il presidente serbo è riuscito a impossessarsene e l’ha utilizzato nel corso dell’estate per riunificare la Jugoslavia, in una serie di rapidi conflitti che ha lasciato la regione in equilibrio precario. La leadership italiana vede in questo una golosa possibilità di riappropriarsi dell’Istria e della Dalmazia, territori storicamente italiani, sotto la copertura di un intervento umanitario. La scommessa principale è che anche nel caso di un’eventuale escalation, le condizioni invernali saranno troppo rigide perché la Jugoslavia possa montare un’offensiva di successo in tempi brevi.
A ottobre 2023 vengono impiegate le truppe alpine della divisione Julia, che occupano pubblicamente Fiume e Logatec. L’ingresso delle truppe non è pacifico e si contano alcuni morti da parte di entrambi i lati, ma senza reale opposizione da parte delle truppe di confine. Più segretamente, gruppi di incursori su elicotteri vengono mandati di notte per costituire fortificazioni e punti di osservazione su vette importanti del parco del Tricorno e sulla catena del Nevoso e per acquisire obiettivi in profondità nel territorio contestato. Gli italiani stabiliscono posti di blocco avanzati lungo le strade principali e le guarnigioni Jugoslave nella penisola d’Istria vengono sciolte senza importanti conflitti.
Tuttavia, ai serbi questa cosa non piace per niente, e cominciano a lamentarsi di oscuri concetti di diritto internazionale come la “sovranità” (ormai vestigia di un mondo passato!)
Col deteriorare della situazione diplomatica, un’escalation si rende prevedibile ed inevitabile. Temendo un’offensiva Jugoslava su larga scala ed avversa al coinvolgimento della NATO per paura di un conflitto diretto con la Russia – storico amico della Serbia – l’Italia si trova a dover far fronte al problema in autonomia. La vicinanza della zona di crisi al confine italiano determina l’impiego dell’interezza delle forze disponibili (10 brigate) ed, eventualmente, la progressiva mobilitazione delle riserve, per un totale di poco più di 100,000 uomini.
L’impiego delle risorse è massiccio per costruire una linea difensiva mobile ed elastica, mancando di sufficienti mezzi per coprire l’intero fronte di 200 km.
E’ possibile che qualche generale abbia proposto la mobilitazione, ma dopo aver considerato la quantità di svapo che avrebbero dovuto spedire alle trincee per tenere funzionali le truppe, hanno deciso di rinunciare.
Fin dall’inizio, la rete ferroviaria si pone in primo piano nelle discussioni logistiche. L’Italia dispone di una trentina di C-130, che possono portare diciannove tonnellate l’uno, ma questa capacità è irrisoria in confronto alla mole da spostare; occorre che vengano organizzati treni dai magazzini nelle città principali fino al teatro operativo per spostare un quantitativo di risorse che potrebbe raggiungere 42mila tonnellate al giorno.
Per avere risorse bastanti all’intero esercito per quindici giorni di operazioni, ce ne vorranno in media 165mila; il numero effettivo sarà certamente maggiore a causa di imprevisti, ritardi e affini.
Questi numeri sarebbero terrificanti per qualsiasi ferroviere, dato che la stazione di Trieste dispone di soli 31 binari che con qualche lavoro possono essere adattati al carico e scarico di merci (tenendo anche conto di quelli necessari per il transito, ed escludendo l’interezza dei treni civili, che pure devono andare da qualche parte); la mia ragazza, che è senzatetto per professione e passa metà della sua vita in depositi ferroviari, mi dice che per caricare e scaricare un treno ci si può impiegare anche mezza giornata, e dunque a pieno regime se ne potrebbero gestire forse da una settantina a un centinaio tramite magheggi vari con altre stazioni ed eventuali navi spedite dal porto di Ancona per alleviare la pressione. Il problema di quanto un treno possa portare, però, è quello più pressante. Il libro che utilizzo di solito mi dice che un treno in condizioni di guerra può portare 400 tonnellate di merce; questo significa però che, anche ammettendo novanta treni gestiti ogni giorno (che è un’aspettativa del tutto irragionevole) si arriverebbe comunque a un deficit di 2,100 tonnellate di merce al giorno. Se ogni treno ne portasse 600, ne basterebbero 64; se ogni treno ne portasse 800, ne basterebbero 48. Un problema di cui tenere conto è che in Italia i container non possono, almeno per quanto ne so, essere caricati a doppio piano, a causa delle infrastrutture che sono semplicemente inadatte, e dunque ogni treno porterebbe una sola fila di container o equipaggiamento.
L’impiego massiccio del sistema ferroviario lo renderebbe un bersaglio preferenziale per le armi strategiche Jugoslave (missili a lungo raggio e bombardieri)
La Marina Militare vedrebbe quindi un impiego su vasta scala nell’Adriatico per lavorare come prima linea nell’intercettare missili; la seconda linea sarebbe costituita dai SAMP/T e dagli “Aspide”, di cui non disponiamo in gran numero.
In sostanza, l’unica cosa che può salvare le ferrovie è la carenza di missili da parte nemica.
Non è invece il caso per l’aeronautica Jugoslava, che dispone di jet obsoleti e pressoché incapaci di reggere il confronto coi nostri, ma il bene che ne potremmo derivare è limitato dal terreno che nasconderebbe facilmente installazioni contraeree nemiche.
Sempre sul tema della vulnerabilità strategica, Trieste e Fiume sono da tenersi in considerazione come probabilissimi obiettivi di attacchi di artiglieria. La versione serba del BM-21 può montare razzi dalla gittata di 52 km; questo significherebbe che, per tenere le città al di fuori del loro raggio d’azione, bisognerebbe stabilire una linea continua dal parco del Tricorno al Nevoso. Il territorio è del tutto impervio e oltre a nascondere alla vista eventuali installazioni di lancio sarebbe anche un incubo per i radar di controbatteria e del supporto aereo; qualsiasi tipo di area denial (o interdizione d’accesso), è da escludersi in quanto entrambe le linee sarebbero così rade da fare affidamento su fortificazioni isolate e ben guarnite più che su linee difensive continue. La lotta sarebbe quindi una di intercettazioni e pattuglie in profondità, non tanto di trincee e filo spinato, un po’ come quella che i romani combattevano sul loro confine.
Di conseguenza, anche se il sistema ferroviario italiano nell’entroterra si può ritenere più o meno al sicuro, si potrebbe arrivare al punto in cui Fiume e Trieste potrebbero venire bombardate con relativa impunità; a tutti i problemi già citati si dovrebbe anche aggiungere il costo di un nostro SAM relativo a un loro razzo G2000, che è quasi sicuramente a nostro sfavore.
Questo si potrebbe combattere in parte aumentando la dispersione dei treni nelle stazioni vicine, ma ci sarebbero da risolvere enormi problemi gestionali oltre agli ovvi e inevitabili ritardi per cui le ferrovie italiane sono felicemente conosciute.
Il mio rating finale:
Il sistema ferroviario è tutto sommato all'altezza di un conflitto su larga scala in cui venga impegnato l'Esercito Italiano, ma a mancare piuttosto sono i mezzi di cui noi disponiamo per proteggerlo. Il suo impiego in guerra potrebbe essere difficile e macchinoso ma, essenzialmente, può essere trovata una soluzione che in qualche modo minimizzi questi problemi, posto che si riesca in qualche modo ad impedire il suo danneggiamento da parte del nemico.
Le ferrovie italiane sono inevitabilmente destinate ad essere la spina dorsale di qualunque sforzo militare che parta dal nostro territorio, e sono adeguate ad esserlo nonostante la loro ben conosciuta italianità.