“È bello lanciarsi nelle cose quando sono ancora agli inizi. E io sono arrivato un po’ troppo tardi, questo è chiaro… Ma da un po’ di tempo ho la sensazione di arrivare quando tutto sta finendo… e il meglio è già passato”
Tony Soprano non sbaglia. Se è frustrante mettersi in viaggio quando si è consapevoli che il tempo delle grandi avventure è al tramonto, figuriamoci quanto deve essere deprimente e noioso vivere in un luogo in cui non succede mai niente, in cui tutto si è già concluso da un bel pezzo.
In Occidente siamo eternamente sospesi in una paradossale dimensione di vicinanza mediatica ed economica agli eventi storici, i quali, vista la loro lontananza geografica, non possono altro che conquistare la nostra emotività per un breve periodo; torniamo così tra le braccia accoglienti dell’unico grande dio di questa epoca postmoderna: l’apatia, la non-vita.
Eppure, questo non luogo fukuyamico, questo spazio liminale, un tempo era qualcosa, ma che cosa, di preciso? Trascendenza? Conquista? Avanguardia? Politica? Ciò che è certo è che un ritorno al passato è termodinamicamente impossibile.
Forse è più facile credere nella ciclicità della Storia quando si vive negli hard times, perché da questa prospettiva la speranza di tempi migliori sembra la più bella delle cose. Eppure è da dubitare profondamente che esista qualcosa che sia da conservare per il futuro.
Mentre chiedi a ChatGPT se la tua laurea è valida per il ministero del lavoro di Singapore, mentre i meme del Chud e gli edit su Arno Breker fanno fuori le vestigia della tua capacità di catarsi, mentre maledici Rousseau e tutti i giacobini; pondera con attenzione se restare in questa trincea polverosa o fuggire dove nasceranno i prossimi mille neonati, in attesa del tramonto di un nuovo Sole.