Per esempio, scrollando
e quindi scorrendo
stancamente l’universo del FB social, ecco che l’algoritmo mi informa di alcuni prestigiosi riconoscimenti dati a due chef del circondario. Pare che due chef bagheresi abbiano ottenuto le stelle Michelin
ossia un importante riconoscimento di qualità dato dalla guida dei migliori ristoranti italiani.
Sicuramente questo costituisce un vanto per i ristoranti, e i ristoratori premiati, che potranno sfoggiare tale riconoscimento a tutti i clienti, ma quale importanza sociale e servizio di pubblica utilità può venire da questo?
I ristoranti sono esercizi commerciali privati e non pubblici, non è un servizio che migliora la qualità di vita sociale e civile della città, allora perché parlarne?
Perché si deve sapere dove andare a gustare delle prelibatezze per pochi in un posto raffinato ed esclusivo alla faccia del cibo a buon mercato, diventato quest’ultimo il punto di forza di tutte, o quasi, le piccole attività commerciale di Palermo e provincia.
Insomma, non si pubblicizza solo il ristorante, ma l’esperienza culinaria che dà il valore aggiunto, sempre per pochi consumatori che possono spendere tanti quattrini regalandosi l’esperienza gustativa completa. Ma cosa rimane di tutto questo? La soddisfazione di poter dire ad amici e parenti:
Mi sono regalato la soddisfazione di un pranzo regale nel miglior ristorante della città!
Un vanto per pochi abbienti sicuramente che non possono regalarsi altrettanta soddisfazione in un ristorantino più abbordabile e a prezzi più ragionevoli.
Il cibo non è più un bisogno primario da soddisfare ma diventa un veicolo culturale di affermazione sociale. L’appagamento è dato dalle stelle che coronano l’esperienza gustativa. E le stelle Michelin (o le stelle di qualunque altra guida) guidano questa esperienza condivisa con un pubblico eternamente insoddisfatto e alla ricerca, non tanto di saturamento da pancia piena di cibo, ma da appagamento sensoriale. Come per il libro che diventa best-seller e di cui tutti parlano come libro da leggere, anche l’esperienza culinaria diventa un best seller o un “must ” da prodotto di mercato.
Finiti i tempi delle cene luculliane a casa, quando il rituale delle feste doveva essere consumato in una dimensione ristretta e familiare, diventato ultimamente anche un pericolo a causa delle variazioni influenzali da scongiurare, oggi il rituale va compiuto altrove dove l’esperienza familiare diventa un surrogato di formalità e cortesia da ambiente sofisticato dove il familiare/parente non è più tale ma un cliente a cui si offre la giusta distanza tra la cortesia formale borghese e la battuta volgarotta tra amici maschi che guardano una donna passare per la strada.
Non basta rifocillarsi e appesantirsi, bisogna condividere l’esperienza dando un punteggio stellare basato su tanti fattori di contorno: l’ospitalità, la scelta del menù, la cortesia, la pulizia, il prezzo.
Al contrario del libro, la complessità qui si manifesta in tutte le sue componenti avendo come unico riferimento l’individuo da appagare, al massimo la famiglia tipo dell’individuo, in una dimensione totalizzante che imita un ambiente semplice ma ricercato, per pochi ma accessibile a tutti, sofisticato ma popolare.
Una continua gratificazione di opposti da soddisfare che scade inevitabilmente in una cosa buona per tutti, anche se di élite e quindi superficiale, tendente al superlativo solo nelle intenzioni. E, dato che l’esperienza culinaria è quella esperienza culturale più totalizzante e più ricercata; i due piani, culinario e culturale, si fondono inevitabilmente in una esperienza da best seller e quindi vendibile, buona per tutti-e-x-LGBTMQC++ dunque inclusiva ed esclusiva allo stesso tempo.
Di fatto, tutta la necessità odierna verte su tutto ciò che è cibo, che sia caro o a buon mercato poco importa, l’importante è soddisfare il palato e non la mente.
Questa continua tensione viene ripresa anche da un certo tipo di giornalismo locale in cui le necessità di finanziamento e di pubblicità scadono a compromessi con la qualità del servizio informativo.
Il giornale in questione lo sa e spinge su questo bisogno, e sul fatto che pubblicizzando indirettamente queste attività commerciali ne ricava anche un introito economico che serve per mandare avanti la bottega, sacrificando ovviamente qualcosa in termini di qualità dell’informazione.
Il problema della sostenibilità economica del servizio informativo rimane uno dei punti più importanti da affrontare nella nuova Era Digitale dei giornali, in cui la disponibilità illimitata di notizie deve cercare di fare i conti con la qualità dell’informazione. Problema sempre attuale che neanche le maggiori testate nazionali sono riuscite a risolvere completamente mettendo a pagamento certi articoli, la maggior parte, pur di cercare di guadagnare il possibile per garantire la qualità dell’informazione pubblica e la tempestività del servizio. Cosa che evidenzia come il problema sorto 20 anni fa con la crisi della carta stampata sia in qualche modo ancora di difficile soluzione, almeno per quanto riguarda le piccole testate locali.
In questo continuo bisogno di fare cassa, i giornali culturali investono su questa necessità culinaria/culturale facendo entrare prepotentemente anche l’attualità politica. E, come si vede dall’articolo di questa testata la rivalità politica deve esserci anche nel campo culinario-culturale. Perché produrrebbe una migliore offerta politica, culturale ma soprattutto di cibo. Ed ecco il riuscito slogan ad esprimere al meglio l’intento:
Se sai cucinare, saprai anche governare
Qui l’intento è chiaro; un buon sindaco non deve avere un buon programma e attuarlo, ma deve saper cucinare perché soltanto così saprà governare una città di clienti da ristoranti. Ovviamente la manifestazione fu fatta con l’intenzione specifica di attirare quella parte di elettorato a cui non importa nulla della politica ma a cui importa la buona cucina (e non il buon governo).
Non ricordo se la manifestazione abbia avuto successo, di fatto è sintomatica del nuovo bisogno della società: non più strade, servizi, collegamenti urbani ed extraurbani, burocrazia funzionate e lavoro regolato e senza compromessi. Tutto ciò non ha più importanza, importa saper cucinare, avere il palato fino e magari andare a Masterchef dimostrando di essere un ottimo cuoco. +
Nell’impossibilità di avere una proposta politica di lotta salariale contro il precariato e contro la mala amministrazione, ci si accontenta di sentirsi appagati in pieno con la cucina e con l’arte culinaria…
Convivialità riviste e corrette da ambienti elitari, ma che non vogliono esserlo, continuano a fingersi altro e cercano di essere inclusivi sempre e comunque. In tutto questo condividere emozioni ed esperienze,
rinchiudersi in una dimensione riflessiva e privata diventa difficile. Viene invece voglia di cercare il posto dal caldo buono con le quattro capriole di fumo della poesia Natale.
Natale
Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade
Ho tanta stanchezza sulle spalle
Lasciatemi così come una cosa posata in un angolo e dimenticata
Qui non si sente altro che il caldo buono
Sto con le quattro capriole di fumo del focolare.