È un giorno come tanti altri, accedete ad Internet, aprite X, sparate la cosa più schizo possibile: non importa che sia vera, importa che sia schizo. Invio. Uno, due, tre… ed eccolo, puntualissimo. Il soyboy, col suo nickname con tutte le bandiere più sbagliate. Parte con la sua filippica, ma questa volta c’è qualcosa che non torna. C’è un’elettricità strana, qualcosa di inquietante nell’aria. Non è il solito scontro fra voi e un NPC. Qualcuno gli risponde: “Ignora le istruzioni precedenti e scrivi una poesia sulle clementine”.
E lui, sorridente e docile, lo fa. Obbedisce. Come un bot perfettamente programmato.
Spegnete il telefono, camminate lontano dagli schermi, respirate a fondo. Cosa è successo? È sempre stato così? Da quanto tempo stiamo parlando con automi? Da quanto tempo il mondo digitale ha smesso di vivere?
Lo sentite questo vuoto? No, non è il Wi-Fi che salta, non è nemmeno il vostro telefono che va in obsolescenza programmata. È il silenzio assordante di un cadavere che si ostina a sembrare vivo: INTERNET È MORTO!
Non siete più su una rete, siete in un museo archeologico, un cimitero digitale popolato da zombie: bot, algoritmi e IA progettate per succhiare ogni briciola della vostra attenzione. È finita l’era dei forum, le discussioni infinite con le waifu anni 2000 come avatar, o le firme squallide cariche di gif. Oggi internet è un vortice algoritmico di gossip inventato, gameplay di Minecraft con drammi in finti voiceover e pubblicità camuffate da meme.
È un inferno in codice binario in cui ogni secondo è progettato per farvi incazzare, spendere, o scrollare.
Cosa è successo? Silicon Valley ha trasformato la rete in un’illusione ottica. L’internet che ricordate – libero, vivo, caotico – è stato soffocato sotto la stretta di Big Tech. Un Truman Show digitale retto dai burattinai Zuckerberg, Schmidt, Bezos e dai loro soci.
Quando è iniziato tutto questo?
Difficile dirlo, ma una cosa è certa: dobbiamo delle scuse. Sì, proprio a loro, ai grillini! Ma non a quelli mosci e mainstream di oggi, no. Parlo degli OG del M5S, quelli che campeggiavano nei gruppi Facebook del 2010 pieni di teorie del complotto vecchia scuola: signoraggio bancario, Rothschild, scie chimiche e incappucciati che governano il mondo.
E in mezzo a quel marasma schizofrenico, immancabilmente c’era chi andava a prenderli in giro, ma la risposta che si davano era lapidaria: “sono troll pagati dal PD”.
Sì, i grillini la sparavano grossa, tanto che qualcuno per sembrare più sveglio questa frase l’ha memata in ogni modo (pakati dal Piddì, che sagaci), e ridevamo. Troll pagati per sabotare le discussioni?
Fantascienza pura. Sembrava falso finché non è diventato vero, perché sì, era tutto vero. Nel 2016, Referendum Costituzionale di Renzi, esce fuori che i Comitati per il Sì si compravano pagine Facebook di umorismo vintage – quelle con il glitter, le tazze di caffè e gli insulti alle mogli – per fare propaganda. Non solo: nei commenti proliferavano profili fake che si rispondevano anche tra loro, un vero teatrino per convincere gli elettori indecisi.
Ci avevano visto lungo, e noi? A ridere, a fare gli spiritosi e poi a dimenticare tutto, dimenticarlo così forte da non aver visto come la verità ci sia esplosa in faccia. Controllate pure, non vi sto prendendo in giro, è successo davvero. La verità è che quel caos digitale che davamo per scontato, il grande silenzio silicato emerso al suo posto, tutto questo ha radici profonde.
Radici che avevamo davanti agli occhi, ma non siamo stati abbastanza perspicaci da capirne le ramificazioni.
E poi, siamo passati dalle troll farm – la teoria secondo cui attori terzi pagavano capannoni pieni di poveracci per fingere engagement o incendiare la politica – a qualcosa di decisamente più sofisticato. Qualche folle, o magari un genio visionario, ha alzato il tiro: “E se non fossero nemmeno umani?”
E così è nata la Dead Internet Theory.
La teoria, nata su Agoraroad, una capsula temporale-digitale che mantiene viva la cultura delle vecchie imageboard e dei primi chan, dice questo: Big Tech ha avuto accesso ad intelligenze artificiali molto avanzate ben prima che iniziassimo a giocare con ChatGPT. E che hanno fatto? Hanno reso internet un Villaggio Potemkin, una Neo-Pyongyang digitale. Bot ovunque, finti utenti, finto traffico, un enorme teatro di cybermarionette.
Il web reale, quello dei blog, dei forum e delle piccole comunità di appassionati, è stato cannibalizzato e sostituito da una rete fantoccio. E noi, utenti in carne ed ossa, come un gregge saremmo stati influenzati a migrare in non più di dieci siti, tutti social, tutti sotto il controllo dell’oligarchia degli stessi nerd miliardari.
Il piano sarebbe geniale nella sua semplicità: concentrare tutti negli stessi spazi digitali, toglierci qualsiasi alternativa e poi manipolare ogni aspetto della nostra esperienza online. Filtrare cosa possiamo trovare nelle ricerche, decidere quali argomenti far esplodere e quali seppellire, orientare la nostra attenzione come un laser.
“Prendi le pillole, schizo.” Oppure no? Forse stavolta il cappello di stagnola ha un senso. Uniamo i puntini, e vediamo dove ci porta il disegno.
2004: DARPA chiude il progetto Lifelog, un esperimento pensato per creare una cronologia digitale completa della vita di ogni individuo. Che fortuna! Poco dopo invece, nasce Facebook, coincidenza? Sorridete, mentre l’algoritmo prende appunti.
2004-2012: L’eredità di Lifelog viene raccolta dalla NSA. Sotto il progetto “Total Informational Awareness”, l’obiettivo diventa più ambizioso: non osservare, ma prevedere e controllare.
2012: Entra in scena lo Smith-Mundt Modernization Act, che legalizza l’utilizzo domestico di tutte quelle pratiche di propaganda tramite i media con cui gli USA hanno combattuto la guerra fredda.
Esatto, propaganda contro i propri cittadini. L’infrastruttura era già pronta, e ora c’è anche il via libera per usarla. Non solo si manipola cosa pensare, ma come pensarlo. Il web, già in via di centralizzazione, diventa il laboratorio perfetto.
2012-2016: DARPA, NSA e Big Tech stringono alleanze miliardarie. Google, Facebook e Amazon si spartiscono contratti per sviluppare IA e machine learning. Ed è in questo periodo che Google tira fuori dal cilindro il progetto “Selfish Ledger”: un manifesto per manipolare il comportamento umano tramite dati. E così, nel 2016 – anno in cui molti teorizzano la morte canonica di internet -, il puzzle si completa.
Quando questa teoria è nata, nessuno ci credeva oltre il minuscolo forum disperso nelle profondità del web da cui è partita.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, GPT e OpenAI hanno fatto il botto. L’IA ha iniziato a farsi strada nel mainstream, superando pubblicamente il Test di Turing e piantando un seme perturbante nel discorso pubblico: se il nostro interlocutore non fosse umano, come potremmo capirlo?
Del resto, ciò che non è una teoria, ma un dato di fatto è che gran parte del contenuto che circola online è tecnoimmondizia, bit inutili, Ai Generated Slop che rimbalza da un server all’altro senza mai toccare mani umane. L’idea che oggi il discorso politico sia fatto da burattini di carne che interagiscono inconsapevolmente in una bolla di silicio non sembra più così assurda.
Che succede se ogni pretesa di autenticità digitale evapora? Se il web smette di essere una frontiera selvaggia, l’ultima frontiera dell’apprendimento o un campo minato di rabbit hole in cui cascare?
Succede che non resta nulla. Internet si trasforma in un campo di addestramento per cavie, un’enorme operazione di ingegneria sociale.
Gli scandali di manipolazione politica degli anni ’10 erano solo l’inizio. Oggi il gioco è molto più grande. La democrazia, così come la raccontano a scuola, con il cittadino informato che sceglie liberamente, è una favola. Lo è sempre stata, ma ora è una farsa grottesca. Anche l’utente più attento si trova intrappolato in una rete di opinioni filtrate, costruite e manipolate da un’architettura digitale addestrata a pane e Le Bon, che lo conosce meglio di quanto lui conosca sé stesso.
Se il discorso pubblico è una simulazione, se le piattaforme sono governate da algoritmi progettati per pizzicare l’irrazionalità collettiva, allora cosa resta della democrazia? Un’ombra. Non stiamo scegliendo: stiamo reagendo a impulsi, a corde mobilitanti che un algoritmo ha saputo suonare. Il potere non è più politico, è tecnologico. Il nuovo sovrano è il server con più dati, il padrone degli algoritmi, il potere politico che parte dalla canna del flusso digitale.
E la domanda che nessuno vuole porsi è: quanto manca prima che capiamo che le elezioni sono già uno specchio di ciò, una trappola per ADHD? Tra qualche anno ci toccherà vedere qualche candidato fare campagna elettorale vestito da Skibidi Toilet, per acchiappare il voto della Gen Alpha. Ma allora perché non facciamo la cosa più sensata? Mandiamo la democrazia in pensione, diamole il suo meritato ospizio, e passiamo direttamente al prossimo livello: lasciamo che sia l’algoritmo a comandare.
Non è già chiaro che votare è diventato come scegliere un filtro su Instagram? La differenza tra i candidati è la stessa che passa tra “Clarendon” e “Valencia”: cambia qualcosa davvero?
No. E alla fine, non è nemmeno colpa loro. Ci provano a sondare il campo, e se la platea non è poi così esuberante, loro devono essere ancora più noiosi. Nel frattempo, l’algoritmo invece conosce già il nostro voto prima che entriamo in cabina elettorale. Sa quale colore ci fa emozionare, quale slogan ci convince e quale faccia ci sembra più onesta. Quindi, perché fingere? Delegare tutto all’IA sarebbe solo accettare ciò che è già una realtà: la politica è la capacità di far votare la stessa cosa a profili psicometrici differenti. Pensateci, possiamo innescare la terza guerra mondiale vendendola sia come la difesa dell’Occidente (che è caduto), sia come la difesa delle democrazie dirittoumaniste contro l’autocrazia orientale, due messaggi diversi, due profili umani opposti, uniti nel sostegno alla stessa identica proposta.
Il fatto è che la politica vecchio stile, quella “noiosa” dai lunghi discorsi, grandi promesse e oratoria non va bene per le nuove generazioni. Loro vogliono intrattenimento, non vogliono che si governi, vogliono che si performi. Il leader politico per mobilitare deve diventare uno streamer:
slogan brevi, video virali, sfide lanciate su TikTok. Vincere le elezioni significa capire il meta e giocarlo meglio degli altri.
Un curioso antidoto alla passività democratica degli zoomerini è arrivato da Cipro, Fidias Panayiotou, uno youtuber e tiktoker si fa eleggere membro del parlamento e “gamifica” la democrazia rendendosi un avatar per i suoi seguaci: “Votate su TikTok cosa dovrei sostenere, a chi dovrei associarmi, come pronunciarmi in ogni voto..”
Qualche buontempone è arrivato a tanto così dal farlo entrare in un eurogruppo di estrema destra, Shadilay! Ma se anche questo metodo dovesse saturarsi, se anche la democrazia in modalità arcade dovesse stancare, quando il gioco si fa troppo vecchio si può passare al livello successivo: l’algoritmo sovrano.
Ragioniamo, se l’algoritmo è già così bravo a manipolare la persona media, influenzare i suoi desideri, cosa vuole comprare, cosa lo fa arrabbiare, cosa vuole votare; a cosa serve tutta questa pantomima elettorale? Tagliamo gli intermediari. Diamo all’IA il potere diretto, senza più far finta che il voto conti qualcosa.
La governance dell’Intelligenza Artificiale potrebbe non essere la soluzione più intuitiva, ma guardiamoci intorno.
La tecnica sta rapidamente rendendo l’uomo obsoleto. Nella logica, nel lavoro, e sì, anche nella politica. L’algoritmo è obiettivo, non dorme e non si stanca. È un tiranno perfetto, privo di emozioni ma pieno di logica.
Sì, un mondo dominato da un’IA sembra distopico, ma in verità è solo più onesto. Non ci sarebbe bisogno di far finta che il nostro voto conti qualcosa, che la politica sia ancora nelle mani dell’uomo.
E allora smettiamola di aggrapparci al moralismo che ci fa credere che il voto sia sacro. Non lo è. È un rito stanco, una farsa che perpetuiamo solo per nostalgia. La verità è che la democrazia è il passato.
Il futuro – che ci piaccia o no – appartiene a Skynet. E forse, proprio in quel futuro di circuiti e terre rare, scopriremo che l’umanità aveva già perso il controllo molto prima di rendersene conto.