La Versione di Akira (Con Audio)

La Versione di Akira (Con Audio)
Poche chiacchiere Signori, anzi nemmeno una. Un solo nome: Toshiro Mifune. Ma come Frank!? Non era un articolo su un certo Akira? Nome d'arte? No Signori.

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La verità è che se siete qui oggi c’è un motivo, ma non si conosce Dio se non passando per Cristo. Furono poche le chiacchiere che i due si dissero e non ne servì nessuna a Dio e Gesù perché s’accordassero sul loro piano.

La scintilla è l’intimità di un’empatia sviscerata delle sue creazioni. Un creazionismo magico, per definizione, e che oggi ci lascia arricchiti di immortali emozioni. Sì, è vero. Vi parlerò di uno dei più grandi artisti mai esistiti, e parlerò di come lui parlava a noi.

Akira Kurosawa è stato uno dei dieci registi più importanti della storia e chi dissente non esiste, e tutto il resto è letteratura. Non per imbrodarmi ma conosco pochi registi bene come il Signor Kurosawa.

Se potessi togliere nelle scuole l’ora di religione e mettere l’ora Kurosawa non esiterei a farlo. Ho visto praticamente tutti i suoi film e alcuni per vederli li ho visti in giapponese coi sottotitoli in inglese; che il cinema giapponese ritragga la vita più di ogni altro stile è risaputo, ma è il come che fa la differenza.

Se del primo Fellini e De Sica ricordiamo dipingessero la realtà vestendola della sua tristezza più cruda e che dispone il nostro dispiacere come sacrificio per emozionarci, se Germi fotografava comici ritratti, il Giappone rappresenta i rapporti umani con l’emozionale punto di vista sistematicamente introdotto con una fredda e quasi sbrigativa rappresentazione dei personaggi per poi maturare e concludere mostrando il loro aspetto più umano, il quale ci specchia in essi.

Ci illude di essere un uccellino che guarda scene di vita vera.

Akira Kurosawa aveva un modo senza tempo di raccontare le sue storie. Il primo segreto per riuscire a non avere limiti è indiscutibilmente la scelta di un contesto a noi lontanissimo. Akira Kurosawa ambientava molte delle sue storie in un’epoca passata, alcuni suoi film si svolgono in contesti di circa mille anni prima delle riprese, altri di 4 secoli precedenti.

Servono degli attori con la A maiuscola però.

Quindi:

Toshiro Mifune

Forse il più grande attore mai esistito, nessuno ti può dare contro se lo esclami. I due si incontrano molto giovani e il sodalizio va avanti per 16 film e più di vent’anni, prima di un litigio che li vedrà parlarsi trent’anni dopo a un funerale. In quei film si sono sbizzarriti. Akira Kurosawa disse che Mifune aveva un talento mai visto nel cinema giapponese. Quando un regista di quel livello trova un grande attore è fatta.

Pensare che Akira non considerava il cinema come mezzo artistico per farci vedere che ne pensava della vita e degli uomini, bensì la pittura era la sua grande passione. Il padre era un Samurai e nella sua scuola si formarono alcuni dei più grandi generali dell'esercito nipponico.

Era un bravo padre e riusciva a contrastare l’amore per le passioni dei figli con la sola cattiveria di non fargli indossare calze di lana d’inverno. Per quanto perentorio e rigorista, era l’organizzatore della serata cinema della Kurosawa family. Portava moglie figli, sei per la precisione, al cinematografo perchè non era refrattario alla bellezza ed importanza della settima arte.

Heigo, il fratello maggiore, di Akira Kurosawa è stata la figura più fondamentale.

Se oggi parliamo di questo regista nel bene o nel male l’influenza di questo giovane ha consentito a un bambino dalla timidezza profonda di capire e credere in se stesso quando nemmeno lui aveva percepito l’animo di cui era dotato. Heigo era un figo, c’è poco da star lì. Akira ricorda che malgrado i soli 4 anni di differenza, sembrava ne avesse almeno 10 in più. Faceva il benshi, ovvero il commentatore di film muti, doppiava gli attori e la sala zitta lì ad ascoltarlo.

È facile capire che Akira crebbe in un cinema negli anni adolescenziali, i più potenti nella formazione delle emozioni. Vide tutti i grandi registi da Griffith a Lang, De Mille, Ford e Bunuel. Non bastava. Mizoguchi e Ozu furono i suoi grandi maestri connazionali e come per Sordi che crebbe col mito di De Sica e finì per lavorarci insieme, Akira conobbe Ozu e venne difeso da lui quando fu criticato aspramente il suo primo film.

Ricorda che Ozu era l’unico con una classe tale da sembrare un bomber anche da ubriaco. Era perfino l’unico autorizzato a bere sul set. Questi due registi, insieme a Naruse, rappresentarono anche l’avvento del sonoro nel cinema e di conseguenza la fine dei benshi.

Heigo capeggiava lo sciopero dei commentatori, che diventavano più inutili ogni giorno che passava. Sembrava la trama di un film shomingeki e invece era la realtà, la stessa descritta da quei film che formavano pian piano il regista. Heigo, fallendo nella sua rivolta non resse il colpo, e nella stanza d’albergo di una località termale mise la rivoltella alla tempia e finì la sua esistenza.

Akira quando venne chiamato rimase pietrificato. Il suo idolo, l’uomo che più lo aveva incoraggiato a diventare un artista era davanti a lui senza vita, la stessa vita che gli aveva rubato ogni stimolo e che tanto lo aveva infuso nel suo fratellino perchè la sua versione venisse inquadrata da una macchina da presa e proiettata su uno schermo.

Akira disse:

Quel corpo inanimato aveva il mio stesso sangue, e quel sangue era uscito dalle sue vene, quell’essere irrimpiazzabile era scomparso per sempre. Anni dopo, un altro celebre Benshi amico di Heigo mi disse:

«Tu sei la copia perfetta di tuo fratello, ma lui era il negativo, tu invece sei il positivo»

Quell’amico voleva probabilmente dire che io ho un temperamento più sanguigno. Per parte mia preferisco immaginare che mio fratello era come un negativo che nello sviluppo ha creato in me l’immagine positiva.

Di lui gli rimarranno tanti ricordi, lo spirito anticonformista e complice di un fratello che persino al pomposo e rituale funerale della sorellina, quando Akira bambino scoppiò a ridere perché quasi circense come cerimonia, invece di rimproverarlo lo portò via per ridere con lui. Descriverà la perdita di quel ragazzo come il momento più tragico della sua intera esistenza.

Aveva 23 anni e disegnando copertine per romanzi rosa non riusciva ad impegnarsi sempre negli studi, quando un giorno vede un annuncio in cui si cercano assistenti per uno studio cinematografico. Yamamoto, colpito dalle sue idee e dalla cultura extra cinematografica lo assume, promuove e perfino fa dirigere scene nei suoi film. Ha inizio la carriera di un grande regista.

L’assoluta ascesa di un esteta della vita, uno studioso del movimento. Avrà mosso la camera un paio di volte nella sua filmografia, eppure quando pensi ai suoi film nulla è fermo. L’inquadratura al ginocchio e la pioggia torrenziale all’inizio di Rashomon.

Il vero e proprio torrente che porta via Dersu. I ventagli dei poliziotti in Anatomia di un Rapimento. C’è di più. Akira non era tecnicamente meno esigente di Mizoguchi, per sua stessa ammissione, ma più capace di tutti a riprendere. Era un grande direttore del montaggio e un grande autore. Se paragonati a Valentino gli altri stilisti fanno stracci, paragonati a lui, molti registi sono videomaker.

Akira Kurosawa è uno di quei geni che non conoscono il tempo, lo attraversa, vi rimane dopo la sua scomparsa e più di tutto lo precede. Siano particolari o fondamentali stilemi narrativi influenza i più grandi registi nello svolgere i loro capolavori. Era di Tokyo, ma il Giappone è un paesone bigotto come la periferia di provincia, il pregiudizio campanilista fu il primo da combattere, ma anche il primo sconfitto.

L’Imperatore vinse, ma come diceva Akira:

Non ho mai chiesto a nessuno di uccidersi per me. Anzi, io organizzo con gli altri registi dei ritrovi a casa mia dove guardiamo dei film e poi ci ridiamo su.

La batoste non furono poche. La carriera di Kurosawa fu lunga e prolifica. Se preghi per la pioggia il fango va messo in conto. Anche gli Stati Uniti, l’eldorado del cinema, dove uno come lui poteva scatenarsi li dovette lasciare amareggiato e triste, lasciare la produzione per incomprensioni e tensioni. Anni dopo, non molti, Coppola e Lucas, cresciuti con lui e debitori di alcuni loro successi nei confronti di questo maestro, decisero di pagare le ripetizioni trovando e tirando fuori di tasca propria i soldi.

Lucas basò l’intera narrazione di Star Wars su due personaggi comici e litigiosi tra loro, guardando La Fortezza Nascosta. Spielberg inserì la bambina dal cappotto rosso in Schindler’s List grazie al fumo di Anatomia di un Rapimento. Arrivò Kagemusha. Storia condotta come neanche Shakespeare sulla strana coincidenza di un principe che trova il suo sosia e manco a dirlo è il contrario del nobile, ubriacone inaffidabile e ladro. La scena finale del film è atroce, e purtroppo vera.

Ran è l’arrivo estetico e il racconto di una storia shakespeariana annoverata nelle classifiche dei film preferiti di alcuni dei più grandi registi.

I colori e alcune scene reggono, in verità superano, ancora oggi, rapportando i mezzi odierni, molti film.

Akira Kurosawa descrisse per lungo tempo il temperamento dell’uomo in disparate occasioni vissute dai suoi protagonisti. Quando ormai era dichiarato morto, come solo i grandi registi hanno fatto, tirò fuori la storia vera dai diari di un colonnello sovietico, sull’esplorazione della taiga russa e l’incontro col piccolo uomo Dersu Uzala.

Vinse l’oscar, il secondo dopo Rashomon, prima l’ultimo alla carriera.

Entrambi i film hanno in comune le tante scene nei boschi, che il regista affrontava a occhi chiusi, avendo sempre affrontato scenografie naturali e rurali. L’inizio della Fortezza Nascosta, o il Trono di Sangue. Le battaglie all’aperto in Kagemusha, Ran e la baraccopoli di Dodeska Den. L’Akira a colori ci ha dato in un tripudio creativo la chance di vivere per 8 minuti dentro ai quadri di Van Gogh.

Per descrivere quel capitolo del film vi basti pensare che la musica è di Chopin, l’interprete Scorsese e la regia del nostro Akira. Non vi basta altro. Ci ha dato, dato ancora e continua a darci in quella che è la sua versione. La versione di Akira. Quando ritirò sul palco dell’Academy il suo premio onorario alla carriera, disse:

È un onore per me che mi diate questo Oscar, ma non so se lo merito.

Non sono sicuro di aver ancora compreso cos’è il cinema. Cogliere la vera essenza del cinema è una cosa difficile.
Vi ringrazio e vi prometto che continuerò a girare film. Seguendo questo sentiero riuscirò a capirne la vera essenza e magari a guadagnarmi questo premio.”

Questo era Akira Kurosawa.

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