Milano, sabato, ore 6:00
C’è una calma insolita in città. Le sei di mattina a Milano sono l’unico orario al quale è difficile trovare persone in giro. Lo dice anche Giacomo del Trio. Gli ultimi ubriachi del venerdì sera sono rientrati a casa ormai. Chi deve lavorare ancora dorme o in questo momento si sveglia. Io e Back.iso, il mio coinquilino sardo, invece siamo già in piedi. Sull’autobus siamo in cinque. Gli altri sono armati di enormi valigioni. Noi invece ci sfacchiniamo le magliette di Blast e uno zaino con la dotazione minima per eseguire gli ordini della Matrice. Ad aspettarci al binario c’è un collega brianzolo, Pàït. E un treno ad altissima velocità in grado di padanizzare lo spazio-tempo.
Tagliamo la pianura a bordo del proiettile. Siamo carichi.
Back.iso è incazzatissimo: è dal lontano 1720 che ce l’ha con i piemontesi. Dice che gli hanno occupato casa (sa Sardigna) e ivi han rubato il legno per fare ferrovie tra Torino e Vercelli. Fargli notare che su quella ferrovia ci stiamo passando non serve a molto. Oggi per lui è la prima volta in Sabaudia e sarà dura tenerlo a freno. Pàït è invece più tranquillo e si gode la velocità. Il fatto che stia scolandosi il quinto Milano-Torino della mattinata forse c’entra qualcosa. Deve onorare il viaggio, dice scompostamente, e lo intende fare secondo le antiche usanze delle sue zone.
Torino Porta Nuova, ore 7:55
Via da Milano, ma Milano è con noi. Non c’è tempo per le chiacchiere e smancerie da pseudo-francesi; via, bisogna filare al liceo. Giusto il tempo di ricongiungerci col grafico blàstide più ponfo del Piemonte, Razzo Pyrum, che ci attende in stazione. Abbiamo solo una manciata di minuti per presentarci e allestire l’occorrente.
Federico Mosso è fermo. È piantato in mezzo alla strada.
Sigaretta tra le dita e sguardo attento. Ci cerca tra la calca di studenti che entra all’autogestione. Il liceo D’Azeglio è in fermento e lui non sa che facce abbiamo. Mi faccio avanti io. Ha una presa salda da vero ciarru. Che basato.
Oggi si parla di Enrico Mattei. E di Blast.
A me l’onere-onore di scaldare l’Aula Magna. Spiegare cos’è Blast non è mai semplice: Blast si vive. Sembra comunque che ciò che arriva dalla Matrice sia recepito dagli studenti. Non è scontato: è presto per tutti e la giornata sarà lunga. Gli unici pimpanti sono gli altri blàstidi, che montano il banchetto con libri e maglie in un battibaleno.
Mosso però è cazzutissimo e già alla prima domanda ha catturato l’attenzione su un pubblico pressoché vergine all’argomento: solo in due in aula sanno chi Enrico Mattei.
C’è molto da fare.
La figura del primo presidente ENI è tratteggiata abilmente dal relatore, che ne ripercorre la storia e con cui si avvia un dialogo interessante: dal rapporto con il fascismo e la politica, alla restaurazione dell’Italiosfera, si toccano tutti i temi-chiave e si arriva al clou dell’esposizione.
Enrico Mattei è stato assassinato. E questo è un fatto.
Da chi lo si può solo supporre: tanto più grande il movente tanto più ovvio l’assassino. In questo caso gli Stati Uniti e i loro servizi, la CIA, i cui interessi erano stati minati dall’azione di Mattei, in grado di tener testa agli angloamericani nel settore degli idrocarburi anche in Medio Oriente. Sul come
si interroga Mosso, che, nel romanzo che ha pubblicato con GOG Edizioni, crea un personaggio di fantasia, Umberto Malimberi, ex spia dell’OVRA passata agli yankees, supposto esecutore materiale dell’omicidio.
Se i nomi degli assassini sono rimasti nascosti è anche perché un sistema di potere li ha coperti. Qui nasce la speculazione di Mosso e l’invenzione della storia personale dell’omicida, che pur deve essere stato reale. L’aereo di Mattei è infatti esploso in volo e le indagini hanno ormai smentito quella che è stata a lungo la narrazione ufficiale, che voleva il presidente, il suo pilota e il giornalista che aveva al seguito morti in un fatale incidente.
Il condottiero Mattei rivive nelle pagine e nelle parole di Mosso, che ne ha narrato l’epopea alle classi. Sognare, allora, smette di avere il significato che gli attribuiamo noi, abitanti dell’Italiosfera post-storica: da mero sollazzo mentale e individuale, il sogno prende corpo nella grandezza, nell’audacia di chi, prima di noi, ha avuto il coraggio di sfidare, come Davide, il gigante Golia, di superare i propri limiti e lottare contro il Mondo. Nella Storia si cercano esempi, Maestri, in grado di illuminare di significato con la loro sola esistenza il nostro passaggio su questa Terra. E Mattei, a modo suo, e con la spregiudicatezza che compete a un Uomo di Stato, è un modello per gli italiani d’oggi e del futuro.
Insomma, ponfata totale. I ragazzi sono stregati dalle parole magiche del relatore. Lo spirito di Enrico Mattei è tra noi. Siamo nell’Arcitalianosfera.
Ci svegliamo dal viaggio onirico in cui ci ha portato Mosso. Non ci siamo neanche accorti che il tempo era finito che ci han cacciato dall’aula. Di nuovo nella scacchiera del centro torinese. Razzo Pyrum, il grafico, ci saluta già e in un istante sgasa via sulla sua Blàstmobile. Noi, d’altro canto, abbiamo perso la Trebisonda e la nostra guida indigena. Federico però ci porta in un caffè storico e ci dà due dritte per non smarrirsi tra la fitta rete di strade della Capitale delle Alpi. Uno sherpa.
Ora sappiamo tutto. La città è nostra.
Un salto nel mercato di Portapalazzo. Ci mescoliamo tra la folla, tra odori e colori, inusuali per il grigio proverbiale del posto. Alla Chiesa della Madonna Consolatrice ci fermiamo un attimo per esorcizzare Back.iso e battezzarlo. E’ una furia indomabile. Pàït tenta di convincerlo a non farsi esplodere con uno dei suoi soliti discorsi alticci. Solo la Luce divina, però, gli impedisce di fare una strage. Maciniamo km. Torino consuma le nostre suole. Le parole di Mosso però ci han condotto in un’osteria. Vino.
L’Ebbrezza Blast è totale. Una giovane cameriera lancia il grembiule in faccia all’oste e se ne va sbattendo la porte. Imbecille
tuona un anziano avventore. Sono COMPLETAMENTE con lei
dice, rivolto al proprietario sconsolato. Gerontocrazia. Ci beviamo su. Siamo abituati ai soprusi dei vecchi. Si urla a tal punto che facciamo la fine della dipendente: a calci nel didietro ci buttano fuori anche da qui. Troppo molesti. E ubriachi. Forse è un bene: Back.iso stava per scatenare (di nuovo) la sua furia nuragica. Il locandiere (sempre lui) ha azzardato una battuta sulla Sardegna. Meglio non opporre resistenza. E allora via.
La Mole, Piazza Castello e piazza Vittorio Veneto, il Po. Facciamo il giro dei luoghi da cartolina che ci mancano, nel tentativo di farci passare la sbronza e concludere degnamente la nostra zapoj. Sosta al Parco del Valentino dove dei bonghi ci assillano. Bong-bong-tumb. Finalmente riusciamo a far sfogare Back.iso: in due secondi sistema i fastidiosi musicisti e li neutralizza scagliandoli nel fiume.
Siamo stanchi. L’alcol ha finito il suo effetto galvanizzante. Ci stravacchiamo sui gradini in piazza S.Carlo. Torino, la città delle Magie, Bianca e Nera, compie una delle sue fatture, l’ultima di oggi. Riapriamo infatti gli occhi solo sul FrecciaRossa. L’annunciatore gracchia, metallico: STAZIONE MILANO CENTRALE, CAPOLINEA.