Fine anni ’90.
Italia in VHS, trionfo delle suonerie polifoniche, jeans a zampa, giacchette della Kappa e la realtà di un’industria che produceva automobili come si sfornano panini all’autogrill.
Ma soprattutto, la promessa che il futuro sarebbe stato colorato e digitale, non il low-cost grigio di oggi.
È lì che nascono loro: le merdomacchine.
Scatole di latta low-cost, esegeti della crisi del ceto medio.Peugeot 206, Citroën C3, Punto Fire o Turbodiesel, Opel Corsa, Renault Twingo, Daewoo Matiz, pensate per portare gente da A a B spendendo il meno possibile, mezzi progettati per portare tua nonna a messa e tua madre al Conad.
Zero charme, zero sogni, zero estetica, e che oggi sono veri e propri totem generazionali.
La loro missione
Era ridicola e sublime: costare poco, consumare poco, rompersi poco.
Il risultato? Lattine fatte per sopravvivere col minimo indispensabile.
Gusci di lamiera sottile che vibra sopra i 90 km/h, plastiche interne fragili come giocattoli degli ovetti Kinder, motori così basici che la manutenzione poteva farla il ferramenta che ti metteva a posto il tagliaerba.
Eppure, vent’anni dopo
Eccoci qui: le celebriamo.
Perché quelle scatole di latta rappresentano la nostra giovinezza.
I primi viaggi con gli amici, il regalo dei 18 anni, i pomeriggi in parcheggio a montare stereo cinesi da 300 watt che gracchiavano Sfera come fosse preghiera.
Ricordo la prima volta che ho guidato fino a Caorle
Eravamo in quattro stipati in una Punto che neanche col gas a martello reggeva le salite, autostrada impraticabile, finestrini a manovella, sedili sfondati, scarico tagliato, leva del cambio lunghissima a mo’ di auto rally, filtro a cono, stereo gracchiante (rigorosamente coi Nu Genea, allora super novità).
Un incubo tecnico, ma allo stesso tempo la prima vera sensazione di libertà.
Guidare al limite delle possibilità del mezzo, con la sigaretta in bocca e con una Monster in mano, ridere senza soldi, arrivare al mare e restarci fino all’alba, tornare in after con gli occhi bruciati dal sole e dalla stanchezza.
La macchina era uno schifo, ma la vita no.
Oggi guardarle è come aprire l’astuccio della Seven che avevi alle elementari: puzzano di nostalgia.
Non siamo soli
Le merdomacchine (note al di fuori degli italici confini come Shitbox) sono una sottocultura planetaria.
- In Russia le
Ladavengono lanciate in mezzo ai campi a 160 come se fossero jet, pezzi che saltano via ma motore che continua a tossire. - In Ungheria e mezza Est Europa ancora sopravvivono le
Trabant, carrozzeria in plastica e motore due tempi a cui fanno la miscela al 10% per farle fumare come acciaierie.
In America, patria delle muscle car, esisteva anche il lato miserabile:
- la
Chevy Cavalier, berlina low-cost fatta di plastica e ruggine prematura, scelta obbligata per studenti squattrinati e madri single negli anni ’90 - la mitologica
AMC Pacer, un acquario su ruote talmente goffo che in Cars è stato scelto come uno dei peggiori catorci mai prodotti
In Inghilterra tocca alle Vauxhall dei chav (maranza ante-litteram), tirate fino a sembrare Hot Wheels, mentre nei Balcani la Zastava Yugo, famosa per “sputare” i pistoni fuori dal cofano, viene spinta ai 200 all’ora dalle scogliere.
Non sono unitamente della stessa epoca, ma hanno tutte lo stesso concetto: rottami da quattro soldi spinti da motori alimentati a preghiere.
Merdomacchina elaborata = estetica del fallimento
Restando nel belpaese, un neopatentato italiano non può accontentarsi di guidare un catorcio stock.
Deve distruggerlo creativamente.
Nasce così la tradizione folklorica delle elaborazioni demenziali:
Turbo giganteschiappesi su 1.2 Fire che già di serie faticavano a immaginare la corsia di sorpasso, con conseguente turbolag degno di una Bmw 2002 Alpine.Intercooler cromatipiazzati su dieseloni scoreggioni da 50 cavalli, proprietari convinti di aver creato una Phaeton V10 TDI. Felicemente alla prima curva neanche si frena, il platano si accetta da uomini.- Marmitte tagliate per farle ruggire come draghi bronchitici, ma che davanti agli agenti che ti fermano sono “
tutte originali” e “comprate così”.
Estetica?
Un’apocalisse di:
- lucine blu del Brico
- spoiler comprati su
Wish(quando non direttamente in cartone) e incollati col bostik - prese d’aria finte in vetroresina
- neon verdi sotto scocca che trasformavano la Punto in un rave ambulante
Interni: il Luna Park del disagio
- coprisedili presi al mercato con draghi e fiamme
- volanti rivestiti in finta pelle sbucciata
- pomelli del cambio fluorescenti
- pedaliera cromata incollata sopra quella originale
stereo cinesidai volumi improbabili, alimentati da trasmettitori bluetooth da ficcare nell’accendisigari
L’abitacolo puzzava di Winston Blu e deodoranti “al pino” che non sapevano di pino, con gli alberelli appesi in serie come rosari.
Le plastiche scricchiolavano, dai sedili usciva la gommapiuma e di notte LED blu incollati alla cazzo trasformavano la Panda in un club di provincia alle tre di mattina.
Eppure proprio qui c’è la potenza
La merdomacchina non si “migliora”, si degrada con orgoglio.
È la celebrazione del fail estetico, la parodia inconsapevole.
Ogni Punto arancione di bomboletta, con cerchi storti e adesivi Monster sul lunotto, non è un errore, è un mantra estetico.
Un mostro tenuto insieme da latta e odio che rifiuta il concetto tradizionale di “bello” e diventa sublime nel grottesco.
Perché la merdomacchina è Blast
È l’opposto del design liscio, premium, inodore delle auto nuove.
È stortura, rumore, puzza, colore sbagliato.
È il ponfo meccanico che si fa stile.
Meme e mitologia della lamiera
Con l’arrivo dei social le merdomacchine non muoiono: risorgono come meme.
È il destino dei rifiuti: diventare arte quando il sistema li ricicla come icone.
Il vangelo massimo resta quello: il tipo che lancia la sua vecchia Renault Modus a 200 km/h in rotonda, freni incandescenti, si ferma, scende e accende una sigaretta sul disco rovente.
“La mia Renault è come riavere la Gioconda: un sogno.”
Quella scena è la pietra filosofale delle merdomacchine.
Trasforma l’inutilità tecnica in epica mitologica.
Da quel momento una Modus scassata diventa arte concettuale: non un’auto, ma un ready-made alla Warhol, un Duchamp in lamiera.
Ma non vivono solo online
Anche senza i reel sono teatro per noi annoiati di provincia.
I raduni nei parcheggi dei centri commerciali, pieni di Punto scassate e Panda 1.1 a GPL con l’impianto stereo che gracchiava techno, erano la nostra timeline.
Un raduno di lattine (a motore e di birra), milioni di sigarette e cofano aperto per mostrare il nulla cosmico:
“Guarda che ho messo il filtro a cono, indès sì che la pende!”
Ore passate a fare il giro dell’isolato, cinque giri di rotonda in terza piena, sgommate davanti alla casa del vecchio che la domenica notte minacciava di chiamare i carabinieri.
E lì capivi che sì, eravate riusciti a far saltare i nervi alla normalità.
Bastava una slimitata sotto il condominio, un lampeggio, e partiva la serata.
Senza meta, senza motivo, solo il bisogno di esserci.
Un McDonald’s, un viale di paese, un parcheggio di discoteca: il mondo si apriva.
Chi aveva la Punto, chi la Corsa, chi la Clio marcia con il subwoofer più grosso dell’intero bagagliaio.
Era tutto inutile, tutto bellissimo
Oggi
Quella roba non è sparita: è diventata meme, estetica condivisa.
Ogni Punto incidentata su TikTok, ogni Clio lanciata nei campi, ogni Panda con le ruote per aria diventa liturgia.
Ogni cappottamento è un sacrificio al dio dell’assurdo.
La merdomacchina diventa anarchia: oggetto scadente che, invece di nascondersi, accelera la propria bruttezza fino a farsi sacro.
Perché ci ossessionano ancora?
Perché non valgono niente.
Dopo la mia Punto 1.2 Fire ho preso una bellissima Mercedes CLK.
200 cavalli, volumex, trazione posteriore.
È potenza, status, pelle tedesca, eleganza e simbolo della bella vita da yuppie precrisi.
Ma ogni graffio è dolore, ogni pezzo rotto costa un rene.
Una Punto del 2003 invece è anarchia zen: puoi distruggerla senza rimpianti, ribaltarla nei campi, schiantarla sui marciapiedi, sbatterla in parcheggio, e il giorno dopo la rimetti insieme con tre bulloni e un po’ di nastro.
La merdomacchina non ha bisogno di essere “tenuta bene”: vive nel difetto.
- La portiera che si chiude solo se la sbatti forte
- l’aria condizionata che spara caldo
- il tergicristallo che si incastra a metà parabrezza
È un teatro di errori che ti insegna ad amare l’imperfezione.
Nostalgia fisica
Ogni volta che posso, rubo la Punto Fire di Lorenzo, un mio amico, che la ha quasi uguale a quella che avevo io.
Anche se vuol dire rinunciare a bere, mi offro volontario per guidarla: il piacere è indescrivibile.
Lo sterzo vaghissimo, la leva del cambio che trema, il motore che gracchia come un phon da bancarella.
L’ultima volta eravamo in 5, e per tirarla su una salita la ho dovuta spingere talmente tanto che la marmitta ha sputato la lana di vetro dello scarico.
Sembrava fossero usciti capelli, osceno da vedere. Ridendo come dei deficienti, l’abbiamo tagliata con le forbici da cucina. Via, di nuovo in strada.
Portarla dal meccanico? Nahhh, a che serve?
Puzza di frizione, di sigarette, di vita
È un portale temporale: basta girare la chiave e torno a diciott’anni, al rumore di gomme 4 stagioni da 30 euro finite e al vento sporco delle notti di provincia.
La merdomacchina
È il contrario della logica capitalista dell’auto come status.
È la macchina che non ha valore economico, ma che custodisce un valore totale: ricordi, risate, disastri, prime libertà.
È nostalgia: i viaggi in cinque con l’aria condizionata rotta, la cinghia dell’alternatore che grida, le prime canne fumate in parcheggi periferici con l’autoradio con la DPG o i Tauro a palla.
È il passato che ritorna in forma di meme.
Ready-made accelerazionaristi
Le merdomacchine sono i nostri ready-made:
auto così brutte da essere bellissime, così inutili da essere necessarie.
E quando penso alla mia vecchia Punto 65 Fire, lenta, puzzona, assetata come un alpino e con l’ingranaggio della retromarcia sgranato, un po’ mi manca.
Perché la verità è che il vero lusso non è avere una CLK che scivola rombante ma avere una macchina che puoi distruggere senza rimpianti. E nel farlo, ridere.
“Passa a Tauro City, che rischio l’incidente mentre guido la tua macchina”