Ma mentre noi torniamo alle nostre vite, c’è chi non ce la fa proprio a mollare, a smettere di straparlare di Trump.
Prepariamoci: per i prossimi quattro anni l’infodemia ci servirà Donald Trump come menù fisso a colazione, pranzo e cena.
È il loro tentativo disperato di rendercelo antipatico, ma noi, per nulla stufi, ci accomodiamo in prima fila con i popcorn.
Perché? Perché l’America sta crollando dalle fondamenta per rinascere più muscolosa, meno sofisticata e più folle di prima.
E stavolta, Trump non è più solo.
A fargli da spalla compare il sospettosamente entusiasta cheerleader del Dark MAGA Elon Musk. Un uomo che tra razzi, macchine elettriche e chip cerebrali, è quel giocatore che rilancia sempre, anche con una mano che perde, solo per non ammettere mai la sconfitta. Ha fallito un colpo dopo l’altro: hyperloop, guida automatica, neuralink…
eppure Musk non solo è ancora in piedi, diventa sempre più potente. Ora è così dentro al sistema che, tra vicepresidenze regalate a Big Tech e telefonate tra leader mondiali, è passato dai meme sulle crypto all’avere un “dipartimento” tutto suo, il DOGE.
E DOGE
, badate bene, ora non è più il cane giallo o uno scamcoin per indiani. È diventato il Department of Government Efficiency
: un ufficio esterno ma con una parvenza ufficiale che prevede di trattare con gli altri dipartimenti come fossero pari. È evidente che questi rimpasti così aggressivi hanno un senso preciso: Trump non è più lo sprovveduto finito nello Studio Ovale per meme come nel 2016.
Questa volta ha un piano, e quel piano è Project 2025.
E quindi, che cos’è questo Project 2025? Che cosa vuole fare davvero?
Project 2025 è un nome in codice, nato nella mente di una commissione conservatrice per indirizzare i primi cento giorni di amministrazione Trump. Dicono che sia indipendente, ma sappiamo tutti come funziona: è gente del Presidente, e si vede. Di questo programma se ne sono dette di tutti i colori, ma per noi c’è solo un colore che conta, ed è il cuore neon di questo progetto: Schedule F, una direttiva presenta anche nell’Agenda47 della campagna elettorale di Trump.
Non è solo un punto nel programma: è la lama ultravioletto che sta per calare sulla testa dei burocrati del governo, la casta intoccabile che costituisce la parte più bassa della Cattedrale, simbolo di quella palude che Trump – a parole – ha sempre promesso di spurgare.
Questa volta, la palude potrebbe essere prosciugata per davvero.
Con Schedule F, Trump e il suo nuovo Dipartimento per l’Efficienza Governativa, potrebbero rifondare lo Stato su basi mai viste prima; uno Stato Neocamerale, dove ogni funzionario è sotto esame, dove l’inefficienza è condanna e la politica una questione di fedeltà.
L’idea è semplice e brutale: Schedule F non si limita a licenziare, esonera chi non sta al passo con la nuova visione, senza tante cerimonie. È una direttiva che brilla di oscura luce a infrarossi. Ora, Trump manda un messaggio chiaro: se fai un errore, sei fuori; se non sei allineato, sei fuori; se la tua fedeltà è in dubbio, sei fuori.
Ma la genialità, la vera ossessione di Project 2025, è che per la prima volta si potrà licenziare su base politica.
Schedule F permette di fare piazza pulita di chiunque non sia in sintonia con il movimento e di riempire ogni posizione con fedelissimi, con soldati della nuova dottrina.
È la rivincita finale sullo Stato Profondo, l’incubo dei burocrati che si sentivano eterni.
Trump in parole povere, ha creato una sintesi politica per il XXI secolo: non esiste più il “Trumpismo” ma il Repubblicanesimo con Caratteristiche Trumpiane, ed è una meravigliosa sintesi di neocameralismo e maoismo. Perché le ristrutturazioni di Project 2025, nelle conseguenze finiscono per ricordare molto più il maoismo che il liberalismo.
Non storcete il naso – c’è del Mao in questo progetto, e non vederlo significa non capire la portata di questa operazione.
La purga di massa del governo, la rivoluzione culturale di Trump non si limita a porre le fondamenta per uno stato-azienda ma per un vero e proprio stato-partito. Come il Grande Timoniere, anche Trump promette di distruggere le vecchie istituzioni, sotto il mandato del popolo, il partito Repubblicano ha una possibilità concreta di fare del Potomac un Rubicone, se solo non ostacoleranno il loro Cesare e questo saprà tirare il dado. Tutto questo non è nuovo, qualcuno lo aveva già pensato. Nick Land, profeta dell’attrito tra libertà e democrazia, dei limiti del sistema valoriale illuminista, immaginava già questo punto di rottura in cui contraddizioni così evidenti avrebbero portato alla scelta tra uno dei due.
“…rivoluzione spogliata di ogni escatologia cristiano-socialista”
Così tuonava la tastiera di Nick Land in “Collasso” nel 1994, ed è esattamente questo che promette di fare Trump; è anche ciò che ha fatto la Cina moderna, dopo aver prosciugato la sua di palude, ed è forse questo che ha convinto il profeta dei miasmi anfetaminici Land a mettere nido lì. La rivoluzione di Trump sacrifica la forma, ma in potenziale ha la stessa sostanza.
In Cina come in America, tecnologia e autoritarismo possono coesistere in una sintesi esplosiva, un abbraccio digitale che liquida – o meglio ancora, licenzia – il paradigma liberaldemocratico non su base morale, ma perché semplicemente vecchio, obsoleto, inefficiente.
Come nella Cina degli anni 70, anche a Washington ci sarà un sole rosso nel cielo.
Il colore rosso in questo contesto evoca una tensione cromatica – Repubblicana, MAGA, Maoista – che è irresistibile cogliere, due visioni apparentemente opposte si riconciliano in quel colore che, simbolo universale di rivoluzione, diventa il prisma ideologico della nuova America.
Un colore comune per una volontà comune: rifondare il paese, rinnovare lo slancio aggressivo del movimento e distruggere le élite che si sono comodamente solidificate negli interstizi della politica americana, democratiche o vecchie guardie repubblicane che siano. Il partito sarà lo stato, ma uno stato in cui non si sarà mai al sicuro. I burocrati di Washington trascorrono notti insonni, e già si vedono come quei funzionari di governo che sentendosi intoccabili, venivano processati dalle guardie rosse; ma oggi le guardie rosse hanno un cappello MAGA, e il loro libretto rosso è Project 2025.
Ma questa visione di cosa possa, e debba, essere il movimento MAGA per gli Stati Uniti non è poi così recente, un osservatore perspicace non avrà dimenticato chi è Steve Bannon, un uomo che nel 2016 è stato per breve tempo un collaboratore del Presidente Trump. Liquidato forse perché troppo in vista, forse perché troppo precoce nelle sue conclusioni.
Bannon è autenticamente convinto che la rivoluzione oggi parta da destra, che populista non sia un insulto ma un’inevitabile prassi rivoluzionaria. Steve Bannon non si è dato pace in questi anni, dal tentativo di esportare la rivoluzione in Europa col suo “The Movement” fino al proclamare Stati Federali Cinesi a bordo di yacht con miliardari in esilio. A parole sue anticipava Project 2025 già nel 2013 così:
“Sono un Leninista. Lenin voleva distruggere lo stato, è anche il mio obiettivo. Voglio far collassare tutto e distruggere tutto l’establishment di oggi.”
E non dovrebbe sorprendere nessuno che Bannon allora abbia dato pieno sostegno a Project 2025, vedendo in esso forse la realizzazione possibile del suo leninismo di destra. Qualcosa è sicuro, a Capitol Hill la rivoluzione sta assumendo forme nuove, camaleontiche e imprevedibili. Se Bannon è il moderno Lenin della destra, allora è logico che Trump realizzi il suo destino di esserne il Mao.
Trump non sta solo riscrivendo le regole: sta creando un nuovo paradigma.
Un sistema che non accetta resistenze. E alla fine, come Mao, lui ci sarà. Non più come figura di culto, ma come l’architetto oscuro di un’America post-liberale, con un Potomac che brilla sotto il sole di un rosso repubblicano e di neon sintetico.