Ho sognato la montagna del futuro.
È stato un sogno limpido, come il cielo che contorna le vette aspre, taglienti, gagliarde.
Cimiteri pendenti di uomini briosi che si pensano audaci nel perpetrare minuscole imprese, trovando a volte una gelida morte raccontata sugli schermi rumoreggianti.
Il presente montano è perduto, smarrito, è prossimo al fallimento.
Con ciò intendo che il sistema montagna nella sua dimensione ecosistemica, turistica, tradizionale, antropologica è compromesso.
Di tutto questo ho intravisto il futuro, o forse soltanto la sua chimera.
La montagna in sé stessa
, quale elevazione del terreno oltre i 600/700 metri
di altezza dal livello del mare, figlia di movimenti tettonici, compressioni, piegature
, è più viva che mai.
Sta seguendo il suo corso naturale. La sua ragione universale trascende i capricci dei pochi omuncoli che la abitano.
La montagna fu roccia marina che col passare delle ere geologiche si elevò. Lo dicono i cartelli illustrativi dei sentieri calpestati dai turisti che camminano verso i rifugi, affollati di altrettanti turisti che cercano ristoro, ma soprattutto una bella e non economica abbuffata.
La montagna è cosa turistica, perciò sono ovviamente i commercianti locali a fare i prezzi. E in fondo non stupisce che i tagliolini al ragù di cervo
nell’era post-pandemia costino più di 15 euro.
Sarebbe invece interessante capire se, rimescolando le carte del sistema delle concessioni montane, come fatto di recente per quelle balneari, sui monti si paleserebbe un po’ di agitazione.
Concessioni montane è un modo brutale per intendere le concessioni degli impianti di risalita, miniere d’oro per gli imprenditori che ne diventano concessionari.
Ai sensi della Legge Regionale del Veneto n. 21 del 21 novembre 2008, la concessione degli impianti una volta rilasciata cessa “alla scadenza della vita tecnica degli impianti stessi” (Art. 18, comma 5).
Allo stesso tempo, è possibile che siano rilasciate concessioni per un termine definito
, perché la disciplina varia da regione e regione.
Per esempio, nel comune abruzzese di Scanno queste concessioni hanno una durata di
due anni
, mentre l’Art. 9 della Legge provinciale 30 gennaio 2006 della Provincia Autonoma di Bolzano prevede una durata massima di20 o 30 anni
, a seconda della categoria in cui rientra l’impianto interessato.
Scanno non è Cortina D’Ampezzo
. Tanto meno si trova nella Provincia Autonoma di Bolzano.
Coloro che nei decenni hanno moltiplicato le loro ricchezze grazie al morbido precetto
che recita “alla scadenza della vita tecnica degli impianti stessi”, oppure che hanno beneficiato dei proventi di un ventennio di gestione di un comprensorio sciistico ben frequentato, potrebbero un filo innervosirsi a un rimescolamento delle carte.
Nei contesti turistici si sono sempre stabilite regole ad hoc e sancite le zone grigie
nel quale gli oligopolisti del territorio possono fare impresa senza particolari intralci.
La bellezza si paga e si prendono il grano coloro che la dispongono.
Ho sognato la montagna del futuro.
Di sicuro lo status quo è tenuto saldo dai vecchi sistemi, come appunto le lobby del territorio, e l’Italiosfera strabocca di lobby, lo sappiamo.
Dunque, è arduo auspicare ma anche soltanto visualizzare un cambiamento, una deviazione nella direzione del presente montano.
La gestione degli impianti di risalita però non è l’unico freno all’evoluzione di un sistema rodato ma implodente.
Sia fatta salva la proprietà privata, per carità: le baite, gli alberghi, i bar e i ristoranti, i servizi pronti all’uso turistico.
Realtà che fatturano in sei mesi quello che altrove si fattura in due anni.
Ed è proprio in quei sei mesi dell’anno che un territorio tanto lucroso viene completamente prostituito.
Sciami di automobili smarmittano sui valici mentre trasportano turisti pseudo sportivi pronti a farsi le gite con le bici elettriche, occupando le strade e infondendo un bel lezzo di nafta.
Il servizio di bus locali non è diffusamente efficiente.
Non è raro aspettare anche un’ora sul ciglio delle strade, mentre si osservano squadroni di macchinoni risalire la valle, in processione, verso mete di villeggiatura complici e garanti di un sistema turistico che non ha mai tentato di evolversi davvero dal dopoguerra ad oggi.
Il logico risultato? Quella bella aria pura da Pianura Padana portata lassù, e la difficoltà di trovare un parcheggio libero come accade nelle note città di pianura.
Il territorio così si prostituisce, prostrandosi alle esigenze di un turismo soffocante che nell’era post-covid ha riscoperto l’alternativa ai litorali.
Retribuendo ancora più abbondantemente la sua nuova puttana.
La montagna è un territorio a sé stante, con le proprie caratteristiche, ma soprattutto con la propria identità.
La contaminazione di quest’ultima è possibile fino al punto in cui sarà materialmente possibile imporsi, attraverso la manipolazione umana, l’approccio invasivo e artificiale
.
L’uomo impone la sua specie ovunque migri o si stabilisce.
Ma la montagna, quando arriva il momento, ti sputa fuori, anzi, ti scaraventa a valle.
Non ci sono grosse opportunità lassù, a meno che tu non faccia parte di quelle quattro famiglie che hanno il panificio, la macelleria e l’albergo vicino alle piste da sci.
I giovani scendono, lo fanno da decenni.
I turisti salgono, sporcano, intasano tutto, ma non rimangono.
Il rispetto del territorio non è mai profondamente contemplato: bisogna soddisfare gli interessi stagionali.
Indossiamo allora le pellicce
, l’abbigliamento tecnico, guardiamo il panorama da uno dei passi più belli.
Siamo sopra i 2600 metri, è dicembre e qualcuno cerca la neve.
Tanti altri non ci fanno neanche caso, fanno foto, l’aria sa di gasolio.
Uno stambecco ci guarda da un pendio e pensa – se solo pensasse con umani schemi linguistici – “guarda che bei coglioni.”
Ma sì, poi ogni quattro anni fa la super nevicata, e quando succede è tutto bianco e bellissimo.
È vero, è bellissimo.
Nel frattempo, la Pianura Padana sale.
Ho sognato la montagna del futuro, perché quella del presente è compromessa, perciò tanto vale che l’avvenire sia caotico, insensato, sfacciatamente onirico.
Ho sognato una montagna ancora più calda, scorporata ormai di tutte quelle caratteristiche pure di rigidità, durezza, asprezza, quei tratti vermigliani
che la rendono pura.
Un luogo da cui i turisti invasori si sono presi tutto, mentre gli oligopolisti, i baroni locali hanno raschiato avari i pozzi dell’oro fino “alla scadenza della vita tecnica degli impianti”
, fuggendo in altri luoghi dove conservare gelosi le proprie esagerate ricchezze.
Un territorio che è diventato forma di disinteresse collettivo, dove non corrono più macchine puzzolenti, bensì autobus elettrici
che ogni tanto bruciano e esplodono.
Questi ultimi non sarebbero stati male ai tempi in cui le flotte di gasolio risalivano i tornanti, intasando i comprensori sciistici.
A patto di una certa frequenza nel passaggio, un servizio pubblico a tutti gli effetti, efficiente.
Gli abitanti della montagna non sono più quelli di una volta, perché appunto i ricchi signori sono quasi tutti andati, mentre qualche giovane è pure tornato
, ormai non più così giovane, perché a valle si è stufato di lavorare, di produrre per il bene di non si sa chi.
Ci sono uomini, poi uomini più scuri delle rocce, dai sorrisi brillanti come la neve che cade sempre più di rado, comunque poetica.
Gioventù sub-sahariana popola le nuove Dolomiti, il cui clima moderatamente tropicale
diventa perfetto per i nuovi ospiti, linfa vitale per un territorio da ripopolare.
La montagna diventa morbida nello spirito, chiassosa. Riaprono alcuni rifugi, cambiando nome.
Uno di questi è gestito da Kwame
, un ghanese tutto matto. Mi siedo e mi bevo una bella birra africana.
In fondo è cambiato tutto ma non è cambiato niente. Le cime sono ancora appuntite e bucano il cielo.
Altri africani girovagano qua e là, alcuni risalgono i pendii con le bici elettriche
. Si sta bene, è tutto molto rilassato.
I padani sono rimasti in Padania, e perciò, anche il loro nervosismo.
Ora saltano in aria soltanto gli autobus
, ma solo ogni tanto.
Penso a Nordio e Piantedosi
, ai soldi pubblici sprecati per spedire i migranti in Albania.
Potevano mandarli direttamente sui monti, dove mancano i giovani, la forza pulsante, a rovesciare un sistema che tanto si rovescerà da solo, come nel mio sogno.
Governo ladro, contempla questa coraggiosa soluzione.
Kwame mi ha pure confidato che si comprerà un ape-car
, non appena gli affari miglioreranno e troverà la giusta offerta su Subito.it.
Mi ha promesso che poi mi porterà sui tornanti a fare le derapate, ma soprattutto a sgasare come dei matti.
Rieccheggerà un nuovo rombo sulla montagna del futuro.
Kwame sognava l’ape fin da quando era bambino, in Ghana, e ora è lì, a Moena
, vicino al suo sogno presto realizzabile.
Sarà forse un vecchio nostalgico montanaro a vendergliela, e nel farlo gli scenderà una lacrima, ricordando i bei tempi andati, i tempi in cui il futuro non contava niente
e il presente era tutto da consumare.
Scieremo sulla neve sempre più artificiale con i sudanesi, festeggeremo con rituali tribali le nevicate sempre più sporadiche, vedremo bloccarsi alle frontiere le automobili
, mentre dalle stazioni dei treni partiranno autobus elettrici
pronti a scintillare.
La montagna del futuro non avrà senso, sarà sbagliata, ma sarà soprattutto imprevedibile.
L’implosione è prossima, il rovesciamento imperfetto
seguirà gradualmente.
Ho sognato la montagna del futuro, o forse soltanto la rivendicazione etiope.
Fuggite cervi, arrivano i leoni.