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What a Time to Be Alive

Il vecchio ordine mentale mondiale è ufficialmente morto.

What a Time to Be Alive
Lettura boomer
Il loro mondo è finito e stanno ancora pensando che arriverà Domani.

Ogni volta che sento qualcuno esclamare indignato: “cOmE pUo SuCcEdeRe aNcOrA QuEsTe CoSe nEl 2025!!1111”, capisco immediatamente di trovarmi di fronte a un imbecille o, peggio, a un liberale.

La rielezione di Donald Trump come 47° Presidente degli Stati Uniti ha sancito ciò che ormai era evidente: il vecchio ordine mentale mondiale, basato su un formale rispetto del diritto internazionale e sull’ipocrisia dei rapporti paritari tra nazioni impari, è ufficialmente morto. Tanto meglio, specie per noi Italiani che siamo talmente innamorati delle ombre proiettate sulla parete della caverna che spesso finiamo per parlarne come se fossero reali.

Ancor prima del suo insediamento, Trump ha scosso il cosiddetto Occidente con dichiarazioni che hanno fatto svenire i paladini delle buone maniere. Prima il Canada, reclamato come 51° stato americano; poi Panama, accusata di gestire male il canale e di avere troppi Renminbi cinesi in tasca per essere affidabili; infine, la Groenlandia, per cui Trump non ha escluso l’uso della forza, pur di trascinarla nell’orbita interna dell’Impero.

La reazione della stampa?

Scontata: pazzo, folle, delirio. La solita ironia banale e la solita incredulità, perché dalla Brexit in poi gli imbecilli e i liberali continuano a non capire nulla.

Alive
KEK

Le partite in gioco in questi territori vanno ben oltre Trump e decideranno quale nazione avrà il primato tecnologico e il controllo del commercio in questo secolo, quindi l’egemonia planetaria, ma andiamo ad analizzare nel dettaglio le tre situazioni.

La Groenlandia occupa una posizione cruciale dal punto di vista strategico. Situata tra Nord America, Europa e Russia, la sua vicinanza all’Artico la rende un punto nevralgico per il monitoraggio e la gestione delle rotte di navigazione emergenti nella regione.

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I ghiacci si stanno sciogliendo

Nuove vie marittime come il Passaggio a Nord-Ovest stanno diventando percorribili, offrendo percorsi più brevi tra Asia ed Europa. Il controllo della Groenlandia conferirebbe agli Stati Uniti di mantenere il controllo del commercio globale anche con la svalutazione della rotta di Suez, castrando sul nascere le ambizioni Russo-Cinesi di scardinare l’egemonia Americana, e facendogli perdere centinaia di miliardi di possibile crescita del PIL.

Non è solo la posizione a rendere interessante quest’isola dimenticata da Dio.

I 56.000 abitanti della Groenlandia sono seduti su un tesoro multi-trilionario composto da 31 minerali rari diversi, giacimenti che, se sfruttati, frantumerebbero l’attuale monopolio cinese di questi elementi e consentirebbero agli Stati Uniti di ottenere i materiali fondamentali per la costruzione di chip e motori elettrici a basso prezzo. Il sostegno finanziario di Musk a Trump aggiunge un ulteriore livello di connessione tra economia e politica, suggerendo un intreccio di interessi strategici e industriali sulla questione.

Non è la prima volta che gli Stati Uniti tentano di acquisire l’isola: già nel 1867 e nel 1946 provarono a comprarla, senza successo. Ora Trump punta a sfruttare le pulsioni indipendentiste locali, con un’offerta chiara in stile Escobar: “Plata o Plomo”.

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The spice must flow

A Sud invece c’è il Canale di Panama, una delle arterie commerciali vitali a livello globale, connettendo gli oceani Atlantico e Pacifico. Il controllo su questo punto nevralgico è un tassello fondamentale dell’architettura geostrategica Americana, tuttavia dal 1999 gli americani non lo gestiscono più direttamente.

Fino a quel momento, gli Stati Uniti avevano il pieno controllo del Canale di Panama, che era stato costruito da loro all’inizio del XX secolo. Nel 1977, con gli Accordi Torrijos-Carter, fu stabilito che il controllo del canale sarebbe stato trasferito al governo panamense. Il processo di trasferimento fu completato nel 1999, quando il Panama Canal Authority, un ente panamense, prese ufficialmente il controllo del canale.

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Un’alternativa possibile a Panama

La crescente influenza della Cina in America Latina, inclusi investimenti significativi in Panama come parte della sua Iniziativa Belt and Road, è vista dagli Stati Uniti come una sfida diretta alla loro supremazia nella regione e un affronto alla dottrina Monroe. Recuperare il controllo diretto del Canale di Panama sarebbe non solo un atto simbolico, ma anche una mossa tattica per contrastare l’espansione dell’influenza cinese nell’emisfero occidentale.

Infine, il controllo diretto del canale offrirebbe agli Stati Uniti la possibilità di monitorare e regolare l’attività navale tra l’Atlantico e il Pacifico, in particolare per quanto riguarda la crescente potenza della marina cinese, in un momento di picco della loro produzione militare marittima.

Il Canada sta attraversando un momento di forte crisi socio-economica a causa di politiche miopi del governo Trudeau e, mentre il PIL cola a picco da tre anni a questa parte, l’afflusso massiccio di immigrati sfalda ciò che resta del tessuto sociale e questa instabilità non è tollerabile dai vicini americani. Non va dimenticato che il Canada è il terzo principale partner commerciale degli Stati Uniti, ed è il principale fornitore di petrolio per l’America, con il 60% del greggio importato che proviene proprio da lì.

Gli Stati Uniti, tuttavia, non dipendono dal Canada solo per l’energia. L’acciaio e l’alluminio canadese sono essenziali per la produzione di attrezzature industriali e militari di alto livello.

In questo contesto, Donald Trump ha accusato il Canada di mantenere una relazione economica parassitaria, esportando beni che lui intenderebbe produrre direttamente in patria.

Dietro le parole di Trump sembrano nascondersi principalmente due obiettivi: la creazione di uno spazio economico unico, probabilmente condividendo anche una moneta comune, e la necessità di ampliare la capacità energetica americana in vista degli elevati consumi che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale richiede.

Come ultimo chiodo sulla bara del sistema di senso e interpretazione del mondo dei moderati e dei benpensanti, Trump ha lanciato, pochi giorni prima del suo insediamento, un meme token. In sole 24 ore, la sua capitalizzazione ha superato quella di molte aziende consolidate e, per ironia della sorte, ha battuto la performance complessiva dell’S&P 500 dal 1971, rappresentando di fatto la più grande e veloce opera di creazione di valore della storia. Una beffa perfetta, incarnata in un asset digitale, che dimostra come oggi la realtà non solo superi la fantasia, ma la derida apertamente.

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L’autore è attualmente in X4 profit.

Il 2025 segna la fine di un modo di concepire il mondo, un sistema di lettura ormai obsoleto quanto un astrolabio nell’era dei satelliti. I sogni di un ordine prevedibile e regolabile si sono infranti contro un futuro che combina il brutale realismo di logiche di potere d’ispirazione ottocentesca con l’implacabile logica iper-capitalista delle oligarchie corporocratiche e, mentre le anime belle lamentano la “fine del diritto internazionale”, dimenticano che non c’è mai stato nulla di più internazionale del diritto del più forte, e del più folle.

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