Surrealismo al potere

Surrealismo al potere
Lettura boomer
Trump, Dalì, Fellini e Lynch hanno molto più in comune di quanto appaia a prima vista...

Il 5 novembre 2024

Giorno delle elezioni presidenziali statunitensi, mi sono addormentato evitando la sovraesposizione mediatica: niente maratone televisive, niente sondaggi dell’ultimo minuto o video virali, e soprattutto niente letture ansiogene. Pregustavo già la vittoria di Donald Trump, prevedendo uno scontro all’ultimo voto, stato per stato. La realtà, però, ha superato le mie previsioni: i Repubblicani hanno vinto con un margine molto più ampio.

Qualche giorno dopo, è arrivato il cappellino MAGA, ordinato ben prima delle elezioni, spedito dagli Stati Uniti ma, ironicamente, prodotto in Cina. Bruttissimo, con un forte odore di plastica e le scritte ricamate grossolanamente. Era perfetto così.

coverartsco123 - Student, Digital Artist | DeviantArt

Un incontro surreale

Recandomi a ritirare un pacco, sono stato avvicinato da agenti che mi hanno condotto in un laboratorio. C’era persino un leone parlante, che mi ha detto:

«Lei è un umano, io un leone: impossibile comunicare».

Poi, dopo essere stato sedato, mi sono risvegliato con il volto di Tucker Carlson, come se fossi in uno strano remake di “Face/off”.

Ma che cazzo di roba mi è stata somministrata? Mi sta girando la testa, vedo lampi negli occhi. Cosa ho fumato stasera?

Eppure, non dovrei essere antiamericano?

Tutt’altro. Nutro un sincero disinteresse per la politica estera statunitense, e la loro classe politica mi sembra di gran lunga migliore della nostra. Soprattutto ripensando a vecchie conoscenze che ho avuto con alcuni politici europei, durante le quali mi sono sentito come Charlton Heston sbarcato sul Pianeta delle scimmie.

Trovo anche “Sleepy” Joe Biden un personaggio interessante, non solo per la sua ispirazione costante di nuovi meme, ma anche perché si è cagato addosso in pubblico.

Trump: la fantasia al potere.

Tornando a Donald Trump, ritengo che la sua vittoria abbia salvato me e l’arte contemporanea. Trump rappresenta la fantasia al potere. Un’idea simile, pur con le dovute differenze, ispira “Beato lui”, il libro di Pietrangelo Buttafuoco su Silvio Berlusconi. Trump, forse più di Berlusconi, incarna il Surrealismo allo stato puro.

Associamo solitamente il Surrealismo alla sinistra, pensando ad André Breton, militante trotskista, autore nel 1924 del “Manifesto del Surrealismo”, nonché sedicente padre del movimento.

Tuttavia, l’artista che più di ogni altro identifichiamo con il Surrealismo è Salvador Dalí. Breton, narcisista e autoritario, si scontrò con Dalí, il cui ego era a sua volta smisurato, soprattutto per ragioni politiche.

Breton voleva infatti che Dalí, di simpatie anarcoidi e reazionario-monarchiche, abbracciasse la causa della sinistra comunista. Dalí, invece, rifuggendo da ogni impegno politico, interpretava il Surrealismo come pura espressione individuale, senza condannare l’arricchimento personale (da cui il sarcastico anagramma Avida Dollars) e mantenendo un legame con la religione cattolica (specie dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti).

Questi aspetti emergono in due opere che segnarono la rottura definitiva tra Dalí e Breton nel 1939.

Nel 1933, Dalí dipinge “L’Enigma di Guglielmo Tell”, raffigurando l’eroe svizzero con le sembianze di Lenin, nudo e con una natica dalla forma fallica. L’opera si può interpretare così: Guglielmo Tell rappresenta la figura paterna, autoritaria e oppressiva, contro cui Dalí si ribella. Questa interpretazione è rafforzata dalla presenza di una piccola culla ai piedi di Guglielmo Tell, che rischia di essere schiacciata.

Breton e Lenin, figure paterne anch’essi, propongono una rivoluzione che, per Dalí, è solo vuota retorica borghese.

L’unico vero progresso, per l’individuo, è quello di ribellarsi al padre per emanciparsi.

Ugualmente, i media di stampo liberal o quelli europei hanno spesso dipinto Trump e i suoi sostenitori come figure infantili, se non addirittura adolescenziali, incapaci di autonomia politica e dunque bisognose del paternalismo democratico o europeo.

Una posizione in bilico tra l'altezzosità elitaria e la ristrettezza provinciale che vuole farci smettere di sognare.

The Enigma of William Tell, 1933 by Salvador Dali surrealismo

Nel 1938, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, Dalí dipinse “L’Enigma di Hitler”. Breton lo accusò di simpatizzare con il dittatore; Dalí replicò con un’opera che, anziché un’adesione politica, rappresentava un interesse morboso, quasi uno studio di un caso psichiatrico.

Al centro del quadro, in un’atmosfera tetra, una cornetta telefonica con il filo tagliato e il ricevitore rotto allude ai falliti tentativi di pacificazione di Chamberlain, evocato anche dall’ombrello appeso a un ramo d’ulivo. Il primo ministro britannico incarna lo sforzo della ragione di arginare la follia nazista.

Analogamente, Trump viene spesso descritto come un leader impulsivo e irrazionale. I media progressisti hanno alimentato questa narrativa, interpretando il voto a suo favore come un gesto sconsiderato.

È evidentemente un’interpretazione fuorviante.

In politica estera, questo atteggiamento imprevedibile può rivelarsi una carta vincente: lo schizo e l’imprevedibilità nelle relazioni internazionali, combinati ad una giusta dose di assertività, possono essere delle qualità molto più utili della molle (ed ipocrita) pacatezza alla quale ci siamo abituati.

La presunta “follia”, dunque, può risultare più efficace e, paradossalmente, più razionale della “razionalità” stessa.

Salvador Dali', The enigma of Hitler ⋆ lo scrigno di pandora Surrealismo

Surrealismo, cinema e politica

Passando al cinema, il regista italiano che più frequentemente associamo al surrealismo onirico è Federico Fellini. Convinto anticomunista, critico del materialismo marxista che, a suo avviso, trascurava l’interiorità e demonizzava la religione, Fellini considerava sterile l'attivismo politico. Per questo era spesso attaccato dal PCI, che lo accusava di corrompere la società con il suo cinema libertario, mentre “Civiltà Cattolica” ne prendeva le difese.

È anche da ricordare che Fellini, insieme a Roberto Rossellini, contribuì al tentativo della Trinità DC – Vaticano – CIA di promuovere un neorealismo cattolico, meno critico nei confronti dello Stato, sceneggiando film come “Roma città aperta”, “Paisà” e “Francesco giullare di Dio”.

Tra i suoi film, spicca probabilmente “I Vitelloni” (1953), una commedia amara che ritrae ironicamente la vita di un gruppo di giovani sfaccendati in una provincia italiana. Fellini, con grande maestria, ci immerge nel loro mondo interiore, svelando paure, desideri e frustrazioni.

Surrealismo Fellini

Se in Dalí troviamo il tema dell’emancipazione, ne “I Vitelloni” troviamo il suo rifiuto, quasi un atto di resistenza jungeriano contro la vita borghese e la routine.

Trump e i vitelloni condividono una sorta di vuoto esistenziale che, paradossalmente, li porta a raggiungere i loro obiettivi. Il vincitore delle ultime presidenziali si dimostra quindi un ibrido vincente tra la visione teleologica di Dalí e quella ribelle di Fellini.

Un altro regista superficialmente accostato al Surrealismo, David Lynch, è stato a sua volta simpatizzante del Partito Repubblicano, e talvolta considerato erroneamente un sostenitore di Trump.

In realtà, in un’intervista, ha dichiarato, spiazzando il giornalista:

“Mi piace molto Ronald Reagan. C’è qualcosa in lui che mi è piaciuto fin dall’inizio. Capisco perché alla gente non piaccia, e quando era governatore ero anch’io di quell’avviso. Mi pare di aver sentito un suo discorso, una volta, che mi ha spinto un po’ più a destra, non so come dire. Doveva esserci di nuovo qualcosa nell’aria. Mi piacque soprattutto per quell’aria da vecchia Hollywood, il fatto che fosse un cowboy, uno che fa piazza pulita. E ho pensato che, per un po’, fosse un vero elemento unificante per il paese. Forse non per gli intellettuali, ma per un sacco di altra gente. E forse anche per molti intellettuali”.

Lynch non affronta mai la politica nei suoi film. La sua è la voce di un uomo nato nel Montana negli anni ‘40, le cui parole spiazzano i liberal di Hollywood, convinti che la fantasia dovesse necessariamente allinearsi alle loro idee politiche.

Nelle opere di tutti questi artisti, Surrealismo e onirismo appaiono vicini a una posizione quasi controrivoluzionaria, in opposizione al materialismo.

Se Dalí dipingesse questo articolo, ne verrebbe fuori un quadro surrealista: Trump, con una cravatta rossa alla Diprè, precipita in un piatto vorticoso; Fellini, seduto su una sedia da regista, orchestra la scena, mentre Lynch, sorseggiando un caffè nero, osserva il tutto. Ah, ci sono anche un Tucker Carlson e un leone parlante che fanno capolino sullo sfondo.

La forza eversiva del Surrealismo, un tempo confinata alla pittura, oggi si esprime anche attraverso i meme, come quelli sulle elezioni americane e in particolare su Trump, che hanno influenzato il nostro immaginario. Anche se il leader repubblicano non è più quello del 2016 ed è molto più apprezzato dall’establishment statunitense.

Infatti, l’unica briciola di follia artistica, durante il periodo elettorale, è rappresentata negli USA dal mondo Dark Maga, sdoganato dal berretto nero di Elon Musk, e in Italia dalla fake news dell’attentato di Mark Violets. Con i limiti di entrambi i casi, ovvero la marginalità del fenomeno Dark Maga rispetto a un’influenza sul futuro presidente, nonostante venga dipinta come pericolosa dai media occidentali, e il fatto che Twitter Calcio resta una nicchia a sé stante, seppur l’unica impattante al di fuori della piattaforma.

Forse è tempo di guardare oltre, di riprendere pennelli, tele, tastiere e di creare un mondo nuovo, più libero, soprattutto facendo nuovi meme.

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