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Se scrivo qui è per una missione: portarvi a fare un giro nelle vigne e nelle cantine, nelle trattorie e negli agriturismi, nelle birrerie e nei birrifici, nelle osterie con cucine e nelle cucine senza osteria.
La nostra cultura culinaria è italo-centrica su scala internazionale, e campanile-centrifuga su scala locale (giustamente)
Dio Salvi le Trattorie col menù fisso a mezzogiorno.
- Primo abbondante, contorno, ¼ di vino, acqua, caffè – 10 euro
- Parcheggio: pieno di furgoni bianchi del “popolo delle partite iva”
- Pagamento: in contanti
- Scontrino: –
Divagavo.
Dicevamo, la cultura culinaria italiana.
Di certo, salvo rari esempi come il casu-marzu, il formaggio sardo coi vermi, non abbiamo tradizioni culinari discutibili. A parte la passione che i Toscani hanno per i vini Brettati (si scherza, ma neanche troppo)
Cos’è il BRETT?
Brettato è un vino affetto da Brett. Il Brettanomyces bruxellensis è un lievito che tra i prodotti del suo metabolismo vanta gli etil-fenoli, composti particolarmente sgradevoli per il loro odore di stalla e sudore di cavallo.
Sia chiaro,
Non ho mai annusato il sudore di un cavallo è pura vulgata enoica.
Anche se mi piace pensare che qualche sommelier rottinculo l’abbia fatto.
Sommelier a parte, le molecole chimiche che interagiscono in un vino sono molteplici e danno sfumature olfattive diverse a seconda della loro concentrazione, per cui in alcuni casi – rarissimi – il Brett può essere addirittura piacevole.
D’altronde in ogni gruppo di amici c’è il feticista che ama il rimming, se nel tuo non c’è probabilmente sei tu.
Culi a parte, per quanto il Brett nel vino sia sempre una deviazione non voluta (dovuta alla poca igiene in cantina), in alcuni casi il lievito ferma la sua corsa alla produzione di composti che sanno da merda in tempo per dare una
sfumatura
di cuoio.
Ma questa è un’eccezione, nel 99,99% dei casi i vini brettati fanno schifo e non fidatevi di chi ve li venderà come terroir
.
Saltando dal calice alla pinta, in Belgio c’è uno stile birrario caratterizzato dalla presenza del suddetto Brettanomyces bruxellensis (appunto): le birre Lambic.
Queste birre sono prodotte, contrariamente a tutte le altre, attraverso una fermentazione spontanea, non controllata. Tecnicamente, quindi, non si sa quali specie di lievito fermentino; in pratica, all’assaggio, si riconosce il Brettanomyces quando ha partecipato alla fermentazione perché marca molto l’odore e il gusto.
Dopo una fermentazione di questo genere, la birra è acida perché insieme ai diversi lieviti sono intervenuti anche batteri acetici e lattici producendo acido acetico e lattico che solitamente non sono presenti nella birra.
La primissima volta che ho provato una birra acida mi ha fatto schifo.
Non tanto per il gusto, che ho trovato più simile quasi a un vino per l’acidità spiccata, ma per il profumo
: sapeva da cartone.
Quantomeno non sapeva da stalla.
Non sono tipo da scoraggiarsi al primo fallimento (boia chi molla, sempre), e così ho continuato a cercare queste birre acide – abbastanza difficile oltre che costoso – per capire cosa ci trovino di speciale i Belgi tanto da continuare a produrle.
Naturalmente ne ho trovate poche ed erano tutte imbevibili.
Sconfitto, mi sono arreso al fatto compiuto: le birre acide mi fanno schifo.
Questa sarebbe stata la conclusione dell’articolo, almeno fino all’altro giorno, quando in maniera fortuita mi sono imbattuto in una “Mariage Parfait
” (matrimonio perfetto)
Questa famosa birra acida belga ha tutto quello che serve per ricadere in questa categoria: essere acida e sapere da muffa.
Annusare quella birra appena versata è stato come leccarsi la scorza del salame; ovviamente un salame de casada, con la scorza in vero budello, non come quelli che ogni tanto si trovano in GDO col budello sintetico (che più o meno equivale a fare un salame con un Durex)
Annusare quella birra la seconda volta è stato come annusare a pieni polmoni i calzettoni dimenticati nella borsa del calcetto che non lavo da mesi.
Ma, a poco a poco, tra una scorza di salame e un calzettone usato, è spuntato l’ananas, il cuoio, il mango, l’affumicato… In bocca era bella tesa, dritta, l’acidità di un limone che lascia il sorso fresco e pulito; più ci tornavo col naso, però, più ne restavo stranito.
Mi piaceva o no?
Sapeva da scorza di salame o da ananas? Da mango o da calzettoni?
Francamente non so darvi risposta.
Elevatissima la complessità all’olfatto, gasatura da spumante, acidità tagliente che ricordava certi Riesling: quella birra era una lama in cui stare in bilico dall’antipasto al dolce.
Scorza di Salame, Muffa, Ananas, Cuoio, Mango, Affumicato, Acido, Piedi, Agrume, Formaggio…
Praticamente una birra LGBTQIA+ ma a questo giro sul carro fluido ci sono montato anch’io
E mi è piaciuto.
Ne sono uscito più confuso di prima.