All’alba dei tempi, era piuttosto facile convincere un gruppo di uomini a massacrarne un altro in guerra: c’era la tua terra coltivabile, il tuo bestiame, le donne del tuo clan, i tuoi oggetti e dall’altra parte quelli dell’altro gruppo. Chi vinceva si prendeva tutto e i sopravvissuti all’ordalia si spartivano il bottino.
Brutale, ma lineare.
Poi le cose si complicarono con la crescita della popolazione e l’aumento della complessità delle società umane
. Da quando il primo tizio si mise un cappello di metallo in testa e si fece chiamare Re, nacque il problema che ancora oggi attanaglia gli stati moderni: come convincere un gran numero di uomini a rischiare la vita e uccidere, senza che ci sia un tornaconto diretto e proporzionale?
Per ottenere risultati ottimali non basta che chi partecipi alla guerra accetti passivamente il comando. No, è fondamentale che i soldati siano motivati, che abbiano un’autentica passione per il sacrificio richiesto. Devono essere disposti a uccidere sconosciuti non solo per obbedienza
, ma per una convinzione profonda, riconoscendosi come parte di un tutto. È essenziale che si identifichino in un ruolo che considerano prestigioso e desiderabile, qualcosa che vada oltre il semplice compito, trasformandosi in un onore da conquistare.
Da questa necessità di base, possiamo far risalire tutta l’etica militare e i valori che nel corso dei secoli sono stati riproposti, attraverso leggende e opere artistiche
, da quelle delle antiche città di Ur e Uruk fino a Salvate il Soldato Ryan, passando per i miti greco-romani e le Chanson de geste dei troubadour medievali. Tuttavia, la nostra epoca è diversa.
La tecnologia ha cambiato le regole del gioco
, dando per la prima volta ai soldati sul campo la possibilità di raccontare la loro esperienza e condividerla con il mondo intero, senza alcun filtro, senza alcun intermediario, senza risparmiare nulla. La distruzione, l’orrore, i cadaveri smembrati, l’adrenalina dell’assalto a una trincea, il ronzio sinistro di un drone, il boato assordante dell’artiglieria: per la prima volta nella storia, tutto questo è alla portata di chiunque, in tempo reale.
I più pacifisti e ingenuamente ottimisti tra i lettori potrebbero pensare che la guerra veicolata dalle sue reali immagini invece che da romanzi e dipinti
possa aver perso il suo appeal, e che gli uomini dopo aver guardato l’abisso da uno smartphone si sarebbero ritratti in massa disgustati dalla macabra visione, ma così non è stato. Tutto il contrario. Ma del resto, quando guardi dentro l’abisso, anche l’abisso guarda dentro te.
In questo scenario, dove la brutalità è vissuta in tempo reale da chiunque, anche senza una diretta esperienza sul campo, nasce un paradosso interessante: la guerra, con tutta la sua orribile realtà, si è trasformata in un’icona, un simbolo estetico che attrae, piuttosto che dissuadere.
Questo concetto si riflette perfettamente nel fenomeno della Forward Observation Group (FOG), un marchio che ha saputo capitalizzare su questa estetica di “combattimento urbano”
creando una linea di abbigliamento che evoca l’immaginario delle operazioni speciali. FOG è diventata rapidamente un marchio di riferimento per chi vuole vestirsi con quel mix di funzionalità e appeal “hardcore” che richiama il mondo delle operazioni speciali, pur rimanendo ancorato al concetto di moda urbana.
FOG però non è solo merchandising. Il gruppo ha fatto parlare di sé per la sua presenza nei teatri di guerra reali
, come l’Ucraina, l’Iraq, Siria e Israele. Non si tratta solo di post su Instagram o video su YouTube, ma di un coinvolgimento diretto con i combattenti sul campo. I membri di FOG non si limitano a documentare i conflitti; sono parte attiva di quel mondo, offrendo supporto logistico, raccogliendo fondi e a volte combattendo in prima linea come mercenari, diventando di fatto degli War-fluencers.
Ovviamente, come accade spesso quando si gioca con la linea sottile tra documentazione e partecipazione, le cose si complicano. Le accuse di coinvolgimento in azioni “fuori dai radar” non sono mancate, come nel caso delle polemiche con la Russia che ha ipotizzato un coinvolgimento di FOG in attacchi chimici
. Ma le accuse, senza prove tangibili, sono state smentite dal fondatore e dal governo statunitense, lasciando intatto il mistero che avvolge la figura di FOG.
Eppure, nonostante le ombre, il brand continua a crescere. Perché alla fine, FOG ha fatto una cosa impensabile: ha trovato il modo di trasformare lo spettro della guerra in qualcosa di vendibile
. E non solo ai militari. Il marchio ha toccato un nervo scoperto, rispondendo a una domanda mai così forte: come si può vivere la vibe militare senza dover effettivamente indossare una divisa? FOG ha trovato il suo posto tra chi vuole sentirsi parte di qualcosa di più grande, anche senza dover pagare il prezzo di una vera battaglia.
La glamourizzazione della guerra
, amplificata per necessità propagandistiche nel 2022 dalle nazioni occidentali al fine di offrire sostegno mediatico all’Ucraina invasa dai russi, è un vaso di Pandora che gli USA, campioni di propaganda, non intendono richiudere; anzi, intendono portare la cosa su un altro livello.
Lei è Hailey Lujan, una sorta di Marilyn Monroe in versione camo, che posa con un fucile e fa trend su TikTok, dove ha circa 750 mila follower, come se stesse presentando una nuova collezione di scarpe. Il suo mantra? “Non andare al college, entra nell'esercito”
, un consiglio che, se non altro, è molto più onesto di quello che troveresti in qualsiasi ufficio di orientamento scolastico americano.
D’altronde, il reclutamento militare è un’arte da sempre, ma oggi è diventato un business perfettamente in linea con le regole di conversione del seguito tipiche del marketing online. @Haylujan, armata di glitter, non è solo una soldatessa regolare dell’esercito americano, ma fa parte della divisione psy-op (operazioni psicologiche) con l’obiettivo esplicito di vendere l’idea della guerra alla Gen Z. Un po’ di camo, un fucile, un paio di battute e voilà, il pacchetto è completo: lo spot di reclutamento è servito per chi è più propenso a fare swipe su TikTok che a guardare un telegiornale.
Il messaggio è chiaro: la guerra non è mai stata così relatable.
Nella nuova infosfera il militare diventa pop, virale, e ogni pezzo di propaganda arriva con un meme girly postato direttamente da un bunker. Questa è la nuova propaganda di guerra: camuffata, minimizzata e perfettamente integrata al feed social.
L’esercito israeliano è avanti di decenni in questo campo, grazie alla leva obbligatoria che gli garantisce un gran numero di giovani ragazze. Queste, come tutte le loro coetanee, condividono video in cui ballano e scherzano, solo che qui lo fanno indossando l’uniforme dell’IDF
. Spesso questi contenuti veicolano messaggi a favore di Israele e talvolta minacce o derisioni rivolte ai suoi avversari geopolitici.
Non c’è da sorprendersi se durante il genocidio in corso a Gaza non assistiamo a rivolte popolari o a mobilitazione della società civile israeliana, nonostante il fatto che, a differenza dell’Olocausto, questo massacro coinvolga attivamente una larga parte della popolazione
e sia un evento pubblico e non un segreto da burocrati. In questo etno-stato infatti, la propaganda raggiunge la sua forma più sofisticata e pervasiva, essendo co-prodotta dagli stessi destinatari e diventando così assolutamente indistinguibile dalla realtà
, almeno per chi la vive dall’interno. Questa è la sorte che pare ci toccherà nel futuro prossimo.
La guerra che verrà non avrà bisogno di ideologie. Avrà bisogno di engagement. Non servirà più convincerti che il nemico è malvagio, basterà farti sentire parte di una storia più grande di te, possibilmente da raccontare in tre atti da 15 secondi ciascuno. Non si combatterà più per patria, libertà o democrazia, ma per una certa aesthetic, per il content, per l’adrenalina del viral. Le bombe cadranno in 4K, con audio sincronizzato e sottotitoli automatici. Le prime linee saranno popolate tanto da contractors quanto da content creators
, e per ogni drone abbattuto ci sarà un recap montato con transizioni su CapCut.
E alla fine, tra le rovine radioattive e i TikTok in slow motion, qualcuno magari chiederà:
“Come siamo arrivati a questo punto?”
E la risposta sarà semplice:
Swipe up per saperne di più.