Israele è l’unico paese al mondo che ha deciso di non avere confini ufficiali. Perché?
Perché l'indeterminatezza è ciò che li distingue e li mantiene in vita.
Dal possesso di armi nucleari mai dichiarate, all’Opzione Sansone, dottrina che ne regola l’utilizzo nel caso in cui Israele sia sull’orlo del collasso, l’indeterminatezza resta ciò che più determina la cifra antropologica dello Stato Ebraico.
Israele si propone come la patria per tutti gli ebrei, ma davanti alla scelta tra una vita cosmopolita e un ritorno alla “terra promessa“, metà di loro ha fatto uno swipe left, declinando l’offerta.
Desidera il riconoscimento come Stato ebraico da parte degli arabi e del resto del mondo, ma ancora non lo riceve ufficialmente. A 76 anni dalla sua fondazione, il parlamento e l’opinione pubblica stanno ancora cercando la ricetta per una legge che definisca la sua identità ebraica.
Israele non riesce nemmeno a chiarire chi sia e chi non sia ebreo – il che spiega perché manchi di una costituzione – ma non perde occasione di considerare ogni ebreo come un potenziale cittadino israeliano pronto a fare il check-in per la “Nazione di Dio”, con annesso servizio militare obbligatorio.
Sionista fino al midollo, considera Gerusalemme (Sion) come la sua capitale indiscussa, ma una parte consistente dei suoi cittadini – la robusta minoranza araba e anche una porzione della maggioranza ebraica, specialmente gli ultraortodossi che si autosegregano per non interagire con lo Stato laico
– non accetta né vuole far parte del club.
Israele vuole fare il giocoliere, tenendo in equilibrio democrazia, Terra d’Israele (Eretz Israel) ed ebraicità, ma la demografia lo obbliga al Trilemma Ebraico.
Secondo le stime, su 12 milioni di persone tra Mediterraneo e Giordano, 8 risiedono in Israele, incluse Gerusalemme Est, il Golan e le colonie ebraiche in Giudea e Samaria (Cisgiordania). Di questi, 6 milioni sono ebrei e quasi 2 milioni arabi, che, sommati ai 4 milioni presumibilmente stanziati tra Gaza e Cisgiordania, formano un bel pareggio etnico. Le proiezioni dicono che entro trent’anni i palestinesi saranno nettamente in maggioranza
(56% o più) in questo spazio potenzialmente grandeisraeliano. A meno che non si riporti tutta la Diaspora a casa, per mantenere l’ebraicità di Israele a lungo termine, non è possibile spingere la frontiera nazionale molto oltre l’attuale Muro (“barriera di separazione” nel gergo statale).
Questo deficit demografico rende impossibile per Israele realizzare il suo ambizioso triplo salto mortale identitario. Deve scegliere, o fare finta di scegliere, tra tre opzioni
(spoiler: tutte complicate):
A) Può essere ebraico (E) e democratico (D) – per quanto una democrazia etnica possa dirsi democratica – e rinunciare all’idea di espandersi in ogni singolo centimetro quadrato tra Mediterraneo, Mar Rosso ed Eufrate che, secondo la loro lettura fantasiosa della Bibbia, gli spetterebbe di diritto. In formula: E+D-T.
B) Può combinare territorio (T) e democrazia (D) annettendo i Territori occupati, ma dovrà dire addio al sionismo e accogliere melting pot e uno stato di fatto a maggioranza arabo-levantina che preoccuperebbe non solo i Netanyahu ma anche i Cohen d’Israele . Formula: T+D-E.
C) Può gettare la maschera della democrazia liberale, abbracciare l’espansione territoriale e mantenere l’ebraismo come priorità. Il risultato? Una Grande Israele che farebbe sembrare l’apartheid sudafricano un sogno progressista, con gli ebrei nel ruolo dei nuovi boeri e gli arabi nei bantustan. Formula: T+E-D.
Ma siete degli sciocchi se pensate che un popolo che ha resistito alla dispersione forzata, alla persecuzione e all’Olocausto, e che ora ha abbastanza influenza da avviare un vero e proprio massacro contro i Palestinesi
, senza subire una vera reazione internazionale, non abbia una soluzione a questa situazione.
Israele può scegliere di non scegliere. E infatti non sceglie.
La rinuncia a uno dei tre elementi fondamentali potrebbe risultare troppo costosa. Dunque, si vive alla giornata, con il fucile in spalla. Sempre pronti a nuove guerre, che tanto pagano gli americani ( in tutti i sensi ) , pur di evitare l'incubo del ritorno in diaspora – un sogno che molti vicini arabi e musulmani continuano a sognare con fervore.
Chi pensa che il problema sia confinato ad Israele e ai suoi effettivi cittadini perde di vista il quadro generale, e ignora volontariamente la rete internazionale costituita dagli ebrei nel mondo, soprattutto negli Stati Uniti, dove organizzazioni come l’AIPAC finanziano e direzionano pubblicamente e legalmente membri del congresso, del senato e figure apicali delle agenzie federali
, consentendo alla Madrepatria di portare avanti i propri scopi grazie corposi finanziamenti e totale copertura diplomatica.
Dall’altra parte, gli antisemiti, seguendo la loro sbandata razzista, confondono la soluzione con il problema, rimpiangendo il Baffetto e invocando un nuovo sterminio nei confronti del popolo eletto, non accorgendosi che se ciò che li rende malvagi ai nostri occhi è la perpetrazione di un genocidio non è possibile risolverla tramite un altro genocidio
, poichè ci abbasserebbe al loro livello e legittimerebbe questo pericoloso modus operandi.
Cosa fare dunque?
Affidarci al passato e a quello che ha già funzionato pare l’unica soluzione.
Quando i tedeschi calpestarono l’Europa, gli Alleati rasero al suolo Dresda
, quando i Serbi tentarono di portare avanti una pulizia etnica contro i loro vicini, bombardammo
Belgrado
e ora che Israele pare aver indossato i panni del carnefice, forse dovremmo ricordargli il prezzo della crudeltà, con il consueto BLAST
.