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Intervista a Tempio Industriale

Intervista a Tempio Industriale
Lettura zostile
Intervista a Valerio Perino: Arte, Sacro e Contemporaneità

Un uomo si avvicina a noi: “Scusate ragazzi, posso chiedervi di spostare cortesemente le vostre scatole un pelo più in là? Altrimenti la gente non riesce a passare”. A Libropolis, a Pietrasanta, ogni anno si tiene una festival di editoria e giornalismo. A questa edizione abbiamo partecipato anche noi di Blast con uno stand. Allestirlo è stato un bel lavoro, ci ha preso tutto il  primo pomeriggio. Al gentiluomo, presi dal banchetto, abbiamo dedicato poca attenzione e ci siamo limitati a liberargli il passaggio. Il giorno dopo, con più calma, abbiamo varcato la soglia della sua esposizione. Piccoli oggetti, disposti con cura, ricoprivano le bianche superfici della mostra. Il materiale, seppur povero, era composto con estrema perizia. Un’aura solenne rivestiva la stanza. Valerio, questo il nome dell’ideatore della mostra, ci sorrideva mentre ci raccontava dei suoi viaggi, della sua arte. È stata una bella sorpresa averlo accanto al nostro stand. Meritava uno spazio anche su questo sito.

Valerio, raccontaci chi sei! Da dove vieni? E soprattutto, dove stai andando?

Io sono originario di Torino, lavoro come direttore di palco per grandi eventi e parallelamente mi dedico alla creazione di opere di arte sacra contemporanea.

Provengo da una città che fino agli anni 80 ha costruito la sua identità sulla fabbrica e poi successivamente sull’assenza della stessa, già che iniziò il declino dell’industria.

Un’altra identità di questo paese era la religione, che aiutava le persone a identificarsi in qualcosa e ad avere una struttura che proteggesse l’individuo nel suo quotidiano. L’industria e la religione, nel bene e nel male, hanno contribuito a crescere generazioni di persone. Io sono cresciuto invece in un contesto deindustrializzato e secolarizzato.

Mi è parso necessario ad un certo punto intraprendere un percorso artistico di riscoperta delle mie radici, partendo proprio dalla tradizione cristiana e lavorativa di questo paese: è nato quindi il progetto Tempio Industriale, che cerca di rappresentare le identità perdute di questo paese.

Ora vivo in Messico, un paese che al momento mantiene viva sia la propria identità religiosa che quella industriale, e mi dedico alla creazione di opere di arte sacra popolare contemporanea che poi cerco di presentare qui o in Italia.

Da dove nasce la tua esigenza di rappresentare il sacro?
È una cosa curiosa, che appare sicuramente démodé agli occhi di noi occidentali… È la Fede a guidarti?

Più che la Fede direi che è la ricerca della stessa.

Io sono cresciuto senza una educazione religiosa, ma avendo avuto la possibilità di viaggiare parecchio per lavoro in paesi extra-europei, mi sono reso conto che non è affatto strano continuare a vivere e rappresentare il sacro nella vita quotidiana. Ci sono paesi dove l’attività quotidiana è scandita dai tempi della preghiera, come nei paesi musulmani, o dove è assolutamente normale includere un passaggio in chiesa per accendere una candela mentre si va a lavoro come nell’est Europa o allestire un piccolo altare sul proprio luogo di lavoro come nei paesi latinoamericani. Anche nell’arte in tanti paesi extra europei è normale che un artista affronti nel corso del suo percorso soggetti religiosi, senza farne un focus unico ma neanche senza oltraggiare l’immagine sacra. Tanti artisti rappresentano con tecniche moderne soggetti sacri e li includono nella loro produzione. Purtroppo per quello che ho visto io mi pare che in Italia nell’arte contemporanea l’immagine sacra venga più che altro usata a sproposito per creare del sensazionalismo o peggio ancora per denigrarla. Come se questo fosse ancora un gesto di ribellione: in una società come quella in cui viviamo che combatte il sacro e la tradizione su base quotidiana mi pare che accodarsi dissacrando le immagini sacre sia una pratica noiosa e indice di scarsa creatività, oltre che di servilismo ad un sistema che sta distruggendo popoli e tradizioni.

Mi pare di capire che l’arte sacra per te può e deve essere contemporanea. Perché non dovrebbero bastarci le migliaia di chiese e crocifissi che già abbiamo?

Oggi invece mi pare che la Chiesa abbia un po’ perso di vista la necessità di evangelizzare attraverso la pratica artistica rappresentando il Sacro in maniera attuale. I grandi committenti dell’arte e della cultura sono invece gruppi di potere che hanno come obiettivo la demolizione della religione e di uno stile di vita tradizionale.

Le migliaia di chiese siamo abituati a vederle come parte del paesaggio e al massimo ne apprezziamo la bellezza architettonica. Non rappresentano più un vero punto di riferimento spirituale per la maggior parte della gente. Allo stesso modo i crocifissi e le immagini sacre che affollano i cassetti di tante case sono ormai un oggetto un po’ kitsch di cui non riusciamo a cogliere il senso più profondo. Evidentemente in una società così fortemente secolarizzata in cui per decenni siamo cresciuti con mezzi di comunicazione che ci hanno detto che secoli di tradizione religiosa sono una pratica medioevale da cancellare, credo sia necessaria una rifondazione che parta anche dalla rappresentazione artistica del messaggio, che necessariamente deve essere declinato in una maniera che possa essere compresa dai contemporanei.

Se da un lato siamo abituati a vedere solo immagini sacre denigrate e offese, dall’altro l’arte sacra tradizionale ritengo che non si sia aggiornata e sia rimasta al livello tecnicamente elevato ma certamente un po’ musealizzato della rappresentazione pittorica realista in stile rinascimentale. Rappresentare il Sacro e la Fede come trecento secoli fa è certamente un mirabile sfoggio di capacità tecnica, ma temo che non abbia più la potenza comunicativa che aveva quando, secoli fa, non c’era la fotografia, il video, internet e tutti i sistemi comunicativi attuali. Oltretutto una volta c’era la Chiesa che, in quanto committente, si incaricava della promozione di arte sacra affinché il messaggio religioso venisse diffuso e capito e fosse una chiara dimostrazione di potenza.

Molti, quando cercano di ricollegarsi al Sacro o alla spiritualità, si rifugiano in Oriente, magari nell’India o nel Buddhismo. Tu invece ti ricolleghi ad un’estetica cristiana. Perché?

C’è una innegabile esterofilia che penso si giustifichi solo con la mancanza di approfondimento dei contesti in cui questi fenomeni sono generati. Al netto delle differenze esteriori, in cosa si differenziano un monaco buddista ed uno benedettino?

Se entrambi hanno rinunciato al mondo per seguire la propria fede, perché uno seguirebbe delle pratiche virtuose e illuminanti e l’altro sarebbe schiavo di una istituzione oppressiva e oscura?

Allo stesso modo, siamo sicuri che il clero buddista sia meno corrotto dalle passioni umane rispetto al clero cristiano? Io penso che ognuno debba provare ad abbracciare le proprie radici e provare a capire da dove viene per comprendere pregi e difetti.

La soluzione agli errori del passato non è buttare tutto e creare ex novo una società di plastica importata da oltreoceano con valori completamente alieni alla nostra civilizzazione.

Sicuramente è importante conoscere anche le esperienze di altri paesi, ma non penso che la soluzione sia abbracciare acriticamente credi lontani e rifiutare quelli più vicini. Io penso che nel bene e nel male l’estetica cristiana sia la base della nostra cultura e per questo la pongo al centro del mio lavoro artistico.

Dove recuperi i materiali che utilizzi per le tue creazioni? Ci sono dei criteri specifici che ti portano a scegliere un materiale al posto di un altro? Se vuoi, parlaci brevemente anche dell’aspetto tecnico delle tue composizioni.

Il materiale che utilizzo è principalmente qualcosa che non avrebbe altra destinazione che l’oblio o l’inceneritore. Mi piace usare materiali che incontro per strada, principalmente pezzi di metallo, tappi, piastrelle, ma anche oggetti che sono abbandonati nelle nostre case come vecchi giocattoli, cartoline, foto. Questi oggetti maltrattati dal tempo mantengono la loro dignità di materiale, spesso di buona qualità, e conservano la memoria della loro vita passata. Mi piace pensare che usare questi materiali sfortunati contribuisca al fascino dell’opera che realizzo.

Anche le immagini sacre che utilizzo sono molto spesso usate e provenienti da contesti in cui avevano perso la loro funzione religiosa originaria. Molto spesso le nostre case ospitano immagini religiose appartenute a qualche lontano parente molto religioso che, una volta passato a miglior vita, ci ha lasciato questa eredità.

Cosa farne? Alcuni provano a venderle con scarso successo, altri li parcheggiano in un cassetto in attesa di non si sa cosa, altri ancora li regalano alla chiesa più vicina perché hanno una sorta di timore reverenziale a liberarsene in altra maniera. Quello che cerco di fare è dare una seconda vita a questi oggetti altrimenti dimenticati; riposizionarli all’interno di un altare contemporaneo mi sembra un modo per ridargli una vita e ripristinare la loro funzione originaria.

A Pietrasanta abbiamo visto anche un’opera archeofuturista, come l’hai definita tu. È evidente che ti sei letto dei libri interessanti: c’è qualche autore che ti porti particolarmente nel cuore e che ti ispira?

Proprio all’inizio del mio percorso artistico e spirituale ho scoperto Nicolai Berdjaev ed il suo libro “Per un nuovo Medioevo”, che trovai illuminante. Sicuramente Nicolás Gómez Dávila e tutta la sua opera di aforismi mi ha ispirato molto. C’è una sua frase che riporto sempre nei certificati di autenticità delle mie opere che dice:

“I benefattori dell’umanità non sono quelli che inventano per essa artefatti colossali, bensì quelli che le lasciano piccoli altari”.

L’opera che citi è una icona ortodossa ospitata in un mosaico realizzato con tasti di computer dorati a foglia d’oro; per realizzarla mi sono ispirato ad “Archeofuturismo” di Guillaume Faye. Mi sembra molto interessante a livello estetico proporre un mix di passato e di futuro, a dimostrazione che la tradizione non vada cancellata ma semmai affiancata a strumenti tecnologici messi a suo servizio.

All’interno della chiesa (sconsacrata) di Sant’Agostino a Pietrasanta a Libropolis, una serie di placche nere, ornate da scritte in oro, ci accolgono. Molti cercano, quando espongono in (ex) luoghi sacri, di lavorare a contrasto, provocando il visitatore fino al punto di sfiorare la blasfemia. Le tue opere, così moderne, sembrano però essere state pensate assieme alla chiesa e riflettono uno spirito molto criptocristiano…

Sacro

C’è questa frase di Ernst Jünger che dice:

“Gli altari abbandonati sono abitati dai demoni”.

L’idea alla base di questa installazione era di riportare il Sacro, il Religioso, all’interno di uno spazio che era preposto alla preghiera e che ora non ha più questa funzione. In generale io faccio fatica a capire come si possa presentare o accettare di esporre un’opera blasfema in un contesto religioso, anche se sconsacrato. Mi sembra veramente poco rispettoso della natura del luogo ma anche estremamente sterile da un punto di vista artistico.

Questi spazi conservano la memoria di tutto ciò che all’interno è avvenuto, per cui mi sembra il minimo provare a rispettare la natura di quel luogo presentando qualcosa di pertinente. Per quanto mi riguarda cerco di presentare i miei lavori in spazi religiosi o comunque legati al sacro, perché penso che, siccome li considero degli altari, sia quella la loro destinazione preferita rispetto ad una galleria o un museo, che da questo punto di vista sono più sterili e neutri.

Quando ho avuto la preziosa possibilità di esporre in uno spazio bello e ricco come la chiesa di Sant’Agostino, ho cercato di creare un’installazione che, rifacendosi alla tradizione del muro degli ex voto che un tempo stava sulle pareti laterali delle chiese, fosse un monito alla preghiera e alla riflessione. Le placche nero e oro (l’oro è il colore del sacro) riportano frasi di preghiere o motti di scrittori che si sono dedicati alla riscoperta del Sacro e alla necessità di riportarlo all’interno del nostro quotidiano.

Ci sono soggetti che tornano in maniera ricorrente nella tua arte: sto parlando delle Madonne, ma anche degli Angeli. Perché ti interessano in maniera così particolare?

Il soggetto che preferisco nei miei lavori è la Madonna nelle sue svariate iconografie, perché penso che sia un simbolo che non veicola solo l’eventuale appartenenza religiosa, ma anche le nostre radici culturali e familiari. Molte persone che vedono i miei lavori mi hanno detto che, pur non vivendo la fede in maniera particolarmente sentita, vedono nell’immagine della Madonna un ricordo di un familiare, o del luogo dove hanno trascorso la gioventù.

Due soggetti che amo molto sono anche l’Arcangelo Michele e San Giorgio, entrambi simboli della necessaria e difficile lotta contro il Male. Non sono un esperto di angeli ma mi affascina la loro iconografia, soprattutto quella relativa agli ordini più alti, ovvero i troni, i cherubini e i serafini.

Da dove vengono le foto a cui aggiungi queste figure sacre (angeli, madonne, santi, etc.)? Come mai questa scelta?

Le opere che menzioni sono dei santini contemporanei realizzati usando delle foto che ho fatto nel corso dei miei viaggi di lavoro negli ultimi vent’anni. Grazie al mio lavoro come direttore di palco ho la possibilità di visitare paesi piuttosto insoliti e di rimanerci per parecchi mesi. In questo modo si ha forse meno tempo di visitare i siti turistici ma certamente più possibilità di vedere il lato nascosto della società e conoscere un poco le genti locali.

Queste immagini sacre tradizionali realizzate con biro e pennarello bianco sono delle apparizioni contemporanee: oggi un angelo apparirebbe all’interno di uno skyline di una metropoli piuttosto che nel solito paesaggio bucolico dei santini tradizionali.

A proposito della scelta delle immagini vorrei menzionare che, siccome ormai tutti i paesi vanno nella direzione di costruire grattacieli in vetro e cemento, si sta perdendo qualsiasi identità e particolarità dei luoghi. Così succede che queste foto con i loro skyline potrebbero appartenere a quasi qualsiasi paese del mondo. Ritengo che questo appiattimento e assimilazione ad un unico modello estetico sia molto triste e porterà ad un ulteriore impoverimento culturale e umano.

A me ha colpito molto il tuo tentativo di rappresentare una nuova città ideale. C’è qualcosa che ti infastidisce delle città reali che ti ha spinto a cercare un tuo linguaggio per parlare della città ideale?

Mi piace molto rappresentare delle apparizioni di soggetti sacri nelle metropoli, perché purtroppo questa è la struttura sociale principale in cui siamo e saremo destinati a vivere. Penso che vivere in questi contesti affollati da milioni di persone, pieni di traffico, inquinamento e criminalità sia altamente spersonalizzante e che queste megalopoli non siano lo spazio ideale dove crescere.

Qui l’uomo vive e soffre ed è qui che ha bisogno di trovare dei punti di riferimento.

Una riflessione religiosa oggi deve partire dal contesto sociale attuale ed anche artisticamente c’è bisogno di rappresentare il sacro dove più se ne sente il bisogno, ovvero nel cuore di queste megalopoli alveare grigie e tutte uguali.

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