La rinata Germania liberal-conservatrice, sconfitto il pericolo dei tech-nazi
(per poco ancora),
si trova costretta a correre a testa bassa lungo i corridoi del Bundestag, per non incrociare lo sguardo inviperito della ex cancelliera Merkel, che ha mantenuto il suo ufficio al di là della strada.
Deve tentare lo scatto bruciante per sopravvivere in un mondo di lesbiche acceleratissime e un ceto medio-basso altrettanto incazzato. Il primo passo lo deve fare sottecchi, a Parlamento non ancora formato. Come è notorio infatti la vittoria del centro destra centro sinistra liberal-progressista-conservatore, se di vittoria si può parlare, è risicata. La maggioranza assoluta dei ⅔ del Bundestag è lontana chilometri, e solo con quella si possono prendere scelte radicali in modifica della beneamata costituzione.
E’ innegabile infatti che oggi la Germania si trovi in una situazione scomoda: tra recessione più sparata di quel che si ammette, settore terziario arrancante, pochi investimenti domestici e sempre meno centralità internazionale, il gigante biondo ha paura di non essere più abbastanza in forma.
Ha bisogno di scuotersi di dosso le maglie della politica immobilista e del bilancio equilibratissimo. In primo luogo l’impantanato carro armato ha tirato un calcio in culo a quella lamiera puzzolente che va sotto il nome di freno del debito. Il meccanismo è semplice: i nuovi investimenti statali possono essere finanziati tramite emissione di titoli di debito pubblico per e non oltre una certa percentuale del PIL complessivo annuale. In Germania, per contenere i rischi come peste bubbonica, si erano barricati dietro un irrisorio 0.35%. Chissà in quale delirio di immobilismo si è creduto potesse essere sufficiente.
In tutta fretta i verdi si schierano, il Bundestag si allinea e il Bundesrat segue. La riforma passa.
Merz, che spera di porsi quale innovatore impavido di una Germania smunta e pallida, ha sfidato gli intervalli ben cadenzati del passaggio di consegne per far tornare a tuonare i cannoni tedeschi.
Letteralmente, considerato che la sua intenzione è moltiplicare la spesa pubblica militare.
Intenzione piuttosto in voga ad essere franchi. Pacifisti, atlantisti, putiniani o slava ukraini io me ne strafotto. A me interessa la parte prima.
La riforma è divisa in due: la prima è la creazione di un fondo di 500 mld di euro, non calcolato ai fini del debt brake, da spalmare su 12 anni; fonte l’Economist, darà un boost corrispondente al 1% del PIL annuo. La seconda enuncia che la spesa per il “riarmo” superiore al 1% del PIL non rientrerà nel calcolo del debt brake. (Leggasi il tutto moltiplicato per due, credete davvero che il “Rearm Europe” sia dedicato all’Estonia?).
Se la Germania, amante indissolubile di tutto ciò che ha banca e centrale nel nome, sta pensando di cambiare rotta è cosa di cui preoccuparsi. Le grandi politiche finanziarie europee e relativi secondini, che appena sentivano disavanzo tiravano fuori la pistola, cedono sempre più il passo a dinamiche reali di forza.
Trump non è più come nel 2016 errore del sistema, ormai è sintomo e simbolo. Noi di Blast ve lo abbiamo già detto, “niente accade mai” finché accade.
Ed è ancora più emblematico che i movimenti di stomaco non siano questa volta nel sistema digerente dinamico di una nazione veloce come gli Stati Uniti, ma siano nel cuore a mala pena pulsante del lentissimo corpo europeo. E’ sufficiente seguire le farneticazioni delle istituzioni europee, per annusare nell’aria l’odore intenso e caotico del futuro.
Ma sticazzi dell’Europa tutta fuffa, almeno per ora. Più interessanti sono gli stati veri con eserciti veri. E non esiste stato più vero, più secolarizzato della Germania.
Ma qui, come si dice, casca l’asino:
E’ mai possibile che sul contraltare italico io sia costretto ad ascoltare la signora Meloni balbettare incerta che però noi siamo un paese con una fiscalità delicata e che non possiamo permetterci di reindirizzare i fondi di coesione?
Fanculo i fondi di coesione.
Per cento altri temi io posso comprendere il desiderio vegliardo di rimanere in disparte, ma mi rifiuto di accettarlo quando si tratta della possibilità di svincolarci, almeno un poco, dai trappoloni finanziari.
Uno studente modello bocconiano potrebbe mettersi a frignare: la Germania ha il problema quasi opposto al nostro; la Germania ha una crescita zero ma un assetto finanziario solido, mentre noi cresciamo un pochino, ma la nostra sostenibilità finanziaria è quella di un pinguino autistico.
La questione secondo me è da ribaltare: proprio perché la Germania è il blocco più solido e noi quello più fragile ha senso tanto quanto. Non abbiamo quasi nulla da perdere. Quanto possono renderci più schiavi ancora? Quanto vogliamo protrarre questa pagliacciata da stato nordico del welfare?
Signora Meloni la prego, cominciamo anche noi a fottercene degli equilibri di bilancio. Siamo uno stato fallito da trent’anni, ma siamo anche tra le dieci potenze economiche mondiali. E se c’è una cosa che mi pare di aver capito è che se i debiti si fanno per il riarmo nessuno per qualche motivo rimprovera nulla.

Piuttosto che discutere sullo stanziamento di 6.50 euro per le vene varicose e se e quanto operarle con il SSN o sul bonus biciclette senza sellino per over 50 in disfunzione prostatica ricominciamo a fare giganteschi buchi finanziari.
Poi ricominciamo a fare piroette intorno ai creditori. Il popolo italico, al di fuori della pubblica amministrazione, è costretto a imparare a dribblare il fisco quando compie i diciotto anni, è tempo che anche voi vi ricordiate la nostra più grande vocazione. Il ruolo di fanalino di coda non ci appartiene davvero, e in qualsiasi caso, cosa può succedere di tanto peggio rispetto a quello cui siamo destinati?
L’INPS e la sanità pubblica sono ugualmente prenotati al collasso: nel 2030 è stimato che la popolazione italiana sarà composta al 30% da over 65. Come pensiamo di alimentare uno stato che oltre ad essere una vecchina decrepita si pone obiettivi che non hanno nulla a che fare con la sua intima natura, anche economica, e le cui prospettive più distanti si contano a ore? Siamo una nazione che marcisce sul letto di morte, e personalmente le posso assicurare che a ventidue anni preferisco il salto nel vuoto all’eutanasia con la medicina nel biscotto.
Cominciamo a farli noi i ricatti, come grandi evasori fiscali, scomodi debitori, rottinculo troppo ingombranti. La Germania prende a testate, noi a calci sui coglioni. Siamo miserevoli, siamo contadini, italiani brava gente, cliché e parodia di noi stessi. Non facciamo la grande potenza che siamo, costringiamo il mondo a riconoscerci come tale passandogli in mezzo alle gambe.
Non ce la faccio più di sentir chiedere per favore all’Europa, a sperare di infilargli in Commissione un rappresentante per chiedergli per favore un po’ più forte. Non siamo l’Ungheria, siamo dei cadaveri troppo grassi di spaghetti perché ci possano ignorare.
Ma per muovere un corpo morto in mezzo alle gambe dei potenti serve la voglia di far politica come una volta, scottata e sofferta come gli amori, che per forza di cose vanno in una direzione o nell’altra. E per far politica non si può prima passare dall’economia prudenziale, che gli amori li trasforma in convivenze di fatto con il contrattino davanti al notaio.
Voglio far inciampare questo mondo arrogante che si crede tanto veloce sulla mia canottiera macchiata di sugo.