Una voce elettronica e stitica annuncia l’arrivo al capolinea:
San Giovanni.
Le porte si aprono lente e la folla è fitta. C’è tempo di guardarsi attorno.
Questa fermata dovrebbe onorare la storia di un profeta in tre monoteismi, della filosofia neoplatonica nel più strano dei Vangeli, della candida gigantessa che è la Basilica del Laterano.
Al tristissimo ingegnere che ha progettato la metropolitana invece non gliene fregava una mazza, perché pensava alle mille norme e burocrazie che doveva rispettare. Un leone in gabbia!
Invece avrebbe dovuto temere il giudizio dei posteri (il mio, sono arrabbiato).
Si esce da un tubo ruotato di tinta giallina, si saluta il pomposo scudo SPQR in plastica lucida e ci si impila sull’unica scala mobile disponibile. Passano pochi secondi ed ecco, si è aggrediti da una vicenda italiosferica di massima cretineria.
Le stazioni della metro C saranno delle meravigliose archeo-stazioni, degli omaggi alla storia di Roma che renderanno unica l’esperienza del passeggero, parola di Fanpage, di Bob Gualtieri, dei rimagnati romani seduti al bar a fumare.
I corridoi di passaggio e i vestiboli più inculati della stazione sono stati riempiti di teche, con dentro i reperti trovati nello scavo.
Bello no? Così caratteristico! Ottima PR l’archeo-stazione.
No!
Sei appena cascato nell’intoccabile dogma italiano secondo cui archeologia = cosa buona. Portato avanti da persone che non ci capiscono nulla e cui non frega nulla di storia, arte o futuro.
Secondo questa tirannide cerebrale le tracce del passato vanno custodite e protette come si farebbe con un poppante, difendendole dall’irruento incedere del contemporaneo.
È una ortodossia rigida e che ha completamente permeato ogni angolo della nostra informazione. Lo si insegna a scuola, lo dicono tutti i governi e i sindaci, ci credono gli sponsor economici e i mille organizzatori di festival conferenze discussioni panel…
Pensateci: se volete fare punti facili con la signora 60enne del quarto piano basta dire che Pompei è un gioiello da preservare o minchiate simili – l’hanno detto in RAI.
All’estero questa nostra ossessione viene vista con invidia – così si sfata l’altro grande mito italico secondo cui gli stranieri sono sempre più intelligenti di noi.
Le ortodossie sono tutte cretine. Le idee diventano ortodosse solo quando chi è completamente incapace di pensiero le afferra da quel cestone delle offerte dell’ALDI che è la cultura corrente, e se le ficca a forza in testa, puntellando con questo contenuto il proprio edificio mentale colmo di aria fritta. L’ortodossia se ne andrà poi da lì quando una nuova cazzata avrà la forza di scalzare quella vecchia.
Sfidiamo l’ortodossia archeologica, un male che ingessa l’Italia.
Precisiamo.
Con archeologia si intende quell’ossessivo desiderio di conservare ogni oggetto antico, soprattutto architettonico, per poi isolarlo in un sito il cui scopo è meramente turistico. Guai a intaccare un grumo di bronzo romano, guai a smontare dei calcinacci di epoca bizantina.
L’archeologia così concepita è una malattia simile alla FOP – Fibrodisplasia Ossificante Progressiva. I tessuti vivi e mobili del malato di FOP vengono piano piano sostituiti da ossa, fino a essere immobilizzati. Ecco che le città italiane, piano piano, passano da essere vivi e mobili alveari a delle distese di fossili, il cui unico scopo diventa
attrarre orde di cazzari in cerca di foto instagrammabili.
Il morbo archeologico però non fa male solo perché turistizza e rende impossibile erigere anche un chiosco di granite in centro a Pisa. Ancor più gravemente, colpisce anche la cultura immateriale.
L’Italia è idealmente ferma agli anni Novanta, i suoi abitanti (perlopiù ruderi umani) non hanno fatto un passo in avanti da quel fatale giorno del 1994.
Come con i venerati mucchi di mattoni, delle idee e dei preconcetti ormai giurassici sono ancora considerati punti di riferimento assoluti, intoccabili, inattaccabili.
Democrazia, comunità internazionale, fascismo ed antifascismo… tutto va riferito a Berlinguer – Prodi – Mussolini – Berlusconi.
AIUTO , BASTA
Dai cantieri ai talk show, la mentalità archeologica dell’Italia 2025 certifica il fallimento assoluto dell’orda boomeristica. Quando la cultura non è mobile si rimane in balìa del futuro che arriva, di corsa, incazzato.
Si avanza, come zombie, verso l’apocalisse della mediocrità.
Il giusto equilibrio è tutt’altro. È accellereazioanario: futuristica apertura al domani e all’iconoclastía, imbrigliata e direzionata da sapienti classicisti.
Vogliamo essere una gioventù al limite del possibile, che per nove decimi naufragherà e per un decimo formerá la civiltà di domani. Cerchiamo poi saggi mediatori che colleghino il lavoro presente ad una tradizione secolare di principi e problemi assoluti.
Elon Musk e J. R. Tolkien, Marco Pannella e Benedetto Croce.
Coppie di visioni del mondo che l’Italia ha seppellito da quando gli allegri boomeroni sono entrati in età adulta, prostituendosi alla santa trinità:
ATTESA DELLA PENSIONE – POLITICA SEDATIVA – TERRORE MEDIATICAMENTE INDOTTO

Non serve a nulla avere Pompei là se poi nessuno sa nulla dei romani e non li sa collegare all’oggi.
Non serve a nulla mettere delle briciole di statue romane nella metropolitana se, tra tipologia di visitatore e contesto espositivo, non se ne ricava nessun effetto culturale.
O la storia è viva e inserita in una mentalità di corsa al domani, o è un inutile gingillo per vecchi in cerca di una identità nel mondo nichilista che hanno generato.
Al di là dei diffusi luoghi comuni, in Italia c’è una specie di potente lobby archeologica, il cui scopo non è destinare più fondi agli scavi (sia mai) ma rendere impossibile la messa in discussione del dogma protettivo.
Il suo potere si basa sulle Soprintendenze ai beni culturali, degli enti mistici e onnipotenti il cui scopo è uno e uno solo: dire NO.
No a qualsiasi attività antropica che avvenga nel raggio di 60 miglia nautiche da una latrina tardorepubblicana, no a piazzare delle rotaie di tram nel centro di una città.
Ha provato a salvarci il politico più italiano d’Italia, uno che non dice due cose vere di fila ma la cui mediocrità umana è sincera e sfacciata: Matteo Salvini. Ci purga con il codice della strada e il ponte sullo stretto, ci delizia con un emendamento anti-soprintendenze.
Ah no, l’ha ritirato. L’accelerazionismo infrastrutturale di Salvini, motivato dal desiderio di regalare soldi in giro, si abbatte sugli scogli reazionari del magico Ministro Giuli – già che lo odiano tutti, poteva farsi odiare anche dalle soprintendenze.