Italians are niggaz with short memories.
-Chuck Nice a una radio newyorkese nel 2001
Se lo ha detto un negro sarà da crederci.
Mi sono imbattuto in questa citazione in qualche posto marcio sul web, e mi ci sono ritrovato completamente.
D’altronde dopo l’ode agli Albanesi il prossimo passo era questo: la presa di coscienza che ieri eravamo noi a emigrare ed essere i negri d’Europa. Ma questo articolo non è stato finanziato da USAID
per cui non mi sbilancerò in professioni di fede pro ONG e società aperta; il punto su cui vorrei mettere l’accento è invece l’identità. Di quei quattro contadini analfabeti emigrati in terre lontane che si chiamavano italiani.
Fioi de Anima
In veneto, almeno in quello parlato dalle mie parti, c’è un’espressione per indicare i figli adottati: fioi de anima, figli d’anima; e in fin dei conti tutti gli italiani sono fioi de anima, siamo tutti un po’ adottati, e forse dovremmo ripartire da qui.
No, Tanko non si sta sprecando a ricostruire un’identità italiana fittizia basata sui fasti dell’impero romano, ma una qualche narrativa della nostra identità nazionale dovremmo pur averla.
Per continuare a restare insieme come stato nazione. Ammesso ovviamente che nel collasso
questo stato nazione abbia una qualche utilità e non si corra tout-court verso il neofeudalesimo.
Un compromesso altoatesino
Un compromesso di stampo altoatesino fa al caso nostro. Qualora già non fosse esistita, in questo secolo e mezzo di Unità d’Italia una qualche identità nazionale si è formata.
La nostra Heimat, la “piccola patria” che non è mai piccola (motivo per cui non mi piace usare la versione italiana), la conosciamo intimamente; l’identità “italiana” dai libri di scuola.
Ora, siccome i libri di scuola sono veramente mal fatti, tanto vale riscriverli partendo non da Garibaldi – eroe nazionale solo sui libri e maledetto in ogni piazza d’Italia, anche in quelle che portano il suo nome – ma dagli emigrati.
E sottolineo emigrati. Le parole sono fondamentali, l’emigrato da qualche parte si ferma, trova pace e magari lavoro, magari riesce pure a costruirsi una vita; il migrante no, il migrante è colui che migra, e continuerà a migrare essendo totalmente sradicato
.
Sono un deliquente, peggio di Garibaldi.
– Glasond
Un bel bagno di umiltà
Riscopriamo le origini italiane nella miseria contadina e non su miti borghesi-liberali che hanno fatto il loro tempo.
D’altronde, allo stato attuale delle cose, a quale Italia dovremmo credere?
È forse la nostra Italia quella dei monumenti equestri a Vittorio Emanuele II? È forse quella del risanamento di Firenze o di altri interventi macro sull’urbanistica? È quella del libro Cuore
e della Domenica del Corriere
?
No.
E voi mi direte che non esiste più, che il tempo è passato, che sono passati cento anni e più… e io vi risponderò che non è mai cambiato l’assioma.
L’identità italiana è la miseria.
Per prendere in mano i nostri destini questo va riconosciuto.
Abbiamo creduto, abbiamo sognato e abbiamo sperato, di poter essere un Paese ricco che sedesse al tavolo dei grandi, ma oggi stiamo tornando lì: alla miseria.
E cosa unisce più della miseria?
In fin dei conti i nostri avi, emigrati in terre lontane, di qua e di là nel mondo parlavano italiano come seconda lingua eppure hanno fondato le Little Italy in giro per il mondo. Qualcosa questo dovrà pur dire.
Di più, oggi è fin troppo facile brainrottarsi su qualche reel con la dance primi duemila in sottofondo, e non posso negare che questa wave gasa, gasa parecchio. Tuttavia non dimentichiamoci che un italiano che parla oggi di indoeuropei, iperborei e compagnia cantante, è alla stregua del messicano che ha votato per far espellere suo cugino dagli Stati Uniti (benfatto).
ITALIANS ARE BLACK
Dobbiamo prendere coscienza di questo. Mio nonno muratore in Svizzera era il muratore albanese di oggi, certo, si erano integrati i miei nonni, ma d’altronde lui era alto due metri con sani geni Bellunesi montanari e mia nonna sembrava Marlene Dietrich, bionda e occhi azzurri, una vera ariana
. Alla fine, comunque, sono tornati qui.
Inoltre, io parlo da veneto, che qualche tonalità dermica in meno la ha, ma immaginatevi ora il napoletano, il pugliese o, peggio, il siciliano, che si stanno – proprio in questo momento – brainrottando su propaganda indoeuropea…
Non prendiamoci in giro.
L’identità nazionale italiana è in crisi perché la gente non va più a messa e neanche al circolo ARCI, depositari ultimi della coscienza popolare di essere dei miserevoli
.
Con gli anni ‘80 ci siamo definitivamente imborghesiti e questo ci ha rammolliti.
Ci ha fatto dimenticare anche la nostra più intima memoria famigliare.
E allora ricordiamo i minatori in Belgio, le valige di cartone verso l’America, i gelatai in Germania e macaronì in Francia. Ripartiamo da lì, se volete ripartiamo dall’Amerigo di Guccini, che ci ricorda con chi stavamo: “negri ed irlandesi, polacchi ed italiani”.
Ricordiamoci di Sacco e Vanzetti.
Ricordiamoci che ci sono due Italie, e per una volta non mi riferisco alla dicotomia padana vs mediterranea… Siciliani e veneti, friulani e calabresi, si son trovati scammati in Argentina inseguendo l’eldorado e trovando una pianura più grande e desolata di quella padana
Si sono trovati in braghe di tela i nostri emigrati, ma ciò non gli ha impedito di tirare su l’Argentina (non so se sia una cosa di cui vantarsi), facendo figli come conigli e sottolineando sempre le loro origini, continuando a loro volta a scammare lo stato italiano chiedendo passaporti italiani perché il trisavolo era istriano.
Insomma, guardiamo alla nostra storia e ricostruiamo una narrativa nuova per questo sciagurato paese, seppelliamo la moribonda retorica liberale riscrivendo la nostra storia nazionale come:
Proletaria, contadina, miserevole.