3 settimane

C'era una volta il corpo

Walter Siti alla prova del Postumanesimo

C'era una volta il corpo
Lettura boomer
La recensione Blast dell'ultimo libero di Walter Siti, sul corpo e non solo...

Walter Siti è vecchio.

Egli stesso si definisce tale. Ma il motivo anagrafico, in questo caso, non conta. Walter Siti è vecchio perché non sponsorizza le proprie opere invitandoti ad acquistarle «cliccando sul link in bio». È vecchio perché esercita ancora la sacra ma dimenticata arte della stroncatura (si legga, ad esempio, il suo Contro l’impegno). È vecchio perché i suoi romanzi cercano di essere – e sono – Letteratura, non storie private e niente più.

Detto ciò, decidete voi se preferite leggere le pagine del suo ultimo lavoro, C’era una volta il corpo (Feltrinelli), o andare a vedere l’ennesimo noiosissimo reel di Edoardo Prati, ovverosia il trionfo di una sterile cultura consolatrice.

C’era una volta il corpo è un’opera ibrida:

inizia con un racconto autobiografico, poi diventa un saggio, infine termina con un poemetto di cinquanta versi. Le muse ispiratrici sono stati i corpi incontrati nel quadrilatero della moda a Milano: corpi in «transizione» (non di genere) perché rappresentano «le avanguardie dei corpi che passeggeranno quando io non ci sarò più».

Il titolo già dice molto: il più classico degli incipit fiabeschi esplicita che Siti ci narrerà una storia. Con altra veste editoriale in realtà – aggiungendoci più note a piè di pagina e bibliografia di riferimento (che sarebbe stata vastissima) – avrebbe anche potuto prendere un titolo del genere: «Storia del corpo: dall’homo erectus agli influencer». Se il titolo fosse stato questo, certo si sarebbe dovuta privilegiare l’analisi diacronica, presente, seppur non in maniera organica, nel libro.

Siti parte da molto lontano, addirittura dalla preistoria.

In alcune caverne dell’isola indonesiana di Sulawesi sono state trovate impronte di mani risalenti a circa 40mila anni fa: la prima traccia che l’uomo primitivo ha voluto lasciare di sé dunque, fa notare Siti, è proprio una parte del suo corpo.

Passiamo alla Storia. Con la società greca, ed in particolare con Policleto, si fissa in Occidente una modalità di interpretazione del corpo «ideale». Quando giunge la religione cristiana è addirittura Dio che si fa corpo umano e che, come un uomo, soffre e muore. Il Rinascimento è invece l’era del corpo eroico, che si offre nelle sue pose classicheggianti.

Lungo questo processo c’è un denominatore comune: il corpo dello schiavo prima, del contadino poi, si differenzia nettamente dal corpo del padrone.

Con la creazione del settore terziario, invece, la distanza fisica tra il corpo del servo e quello del padrone diminuisce, anzi il ceto medio fa di tutto per assomigliare al ceto superiore, eppure va notato che «il progresso tecnico, liberandolo dal peso delle mansioni più noiose e logoranti, gli suscita desideri nuovi; ma proprio quei desideri, che richiedono denaro per essere soddisfatti, conducono i corpi dei meno fortunati ad accettare lo sfruttamento».

Ma, come detto,

nelle pagine va prediletta non tanto l’analisi diacronica, quanto quella sincronica, sui corpi di oggi, quei corpi che passeggiano nel quadrilatero della moda di Milano e che rappresentano, però, la parte per il tutto (l’Occidente).

Nella parte autobiografica del libro Siti ci racconta che con la propria bicicletta era solito recarsi in periferia, per osservare sui campi da calcio corpi che «trascendevano se stessi e la percezione che di essi avevano i loro proprietari» fino a diventare «emanazioni dell’assoluto».

Se «il corpo è il corpo»

(parole d’esordio del libro), cosa è cambiato dunque?

Prima funzione del corpo è agire.

Il corpo dunque agisce?

«L’impigrirsi rappresenta, nella maggior parte dei casi, la modernità dei corpi in Occidente […] Io un po’ me ne vergogno, ma la mia prima reazione istintiva alle immagini dopo l’attacco alle Torri Gemelle è stata “come corrono male gli americani”. Impolverati e terrorizzati, ma goffi».

Altra funzione del corpo, la riproduzione.

Il corpo si riproduce? «Stiamo assistendo a un sempre minor coinvolgimento dei “vecchi” corpi nel percorso di procreazione; il che equivale a depotenziarli e per così dire a disinnescarne una delle funzioni principali. Che ne è della fatalità contadina (“i figli vengono quando vogliono venire”), o del sentimentalismo proletario (“’e figlie nun se pàvano”), o della devozione religiosa (“i figli sono un dono del signore”), anche dell’ottimismo borghese (“mio figlio realizzerà quel che io non ho realizzato”) e della speranza operaia (“la rivoluzione la faranno i nostri figli”)».

Altra funzione ancora, la seduzione.

Il corpo seduce? Con la prostituzione online ad esercitare la seduzione non sono i corpi, bensì le immagini, ed allora «non è necessario che quelle immagini raffigurino persone realmente esistenti». D’altra parte, quando a sedurre è il corpo, si tratta di una seduzione per se stessi: «le creature che spesso mi vengono incontro usano il loro corpo come un’arma contundente […] Guardami ma non osare giudicarmi, io mi offro così soltanto per piacere a me stesso/a».

Infine, il corpo invecchia, si ammala e muore?

La progressiva decadenza del corpo fisico è rimossa: ognuno ha l’età che si sente perché ormai la vecchiaia è un fatto soggettivo. Le malattie bisogna non prevenirle, ma nasconderle: nessuno dovrà accorgersi di un apparecchio acustico. L’immortalità stessa sta venendo sfidata: non avremo più differenze con le divinità.

Certo le riflessioni, dato il tema in questione, presuppongono il pensiero di Michel Foucault e Giorgio Agamben. Allo stesso tempo, però, c’è un forte elemento identitario in queste pagine.

La peculiarità della riflessione di Walter Siti è il suo punto di focalizzazione:

soffermandosi il più delle volte sulla mera materialità del corpo, o sulla sua mera esteticità, riesce a penetrare fino alle viscere della nostra società occidentale.

Ma ciò che è maggiormente degno di nota in Siti, in realtà, è l’assenza del solito apocalittismo tipico degli homme de lettres. Non «nostalgie conservatrici», ci tiene infatti a precisare nel finale ma – parafrasando Walter Benjamin – «curiosità per il futuro dei corpi nell’epoca della loro riproducibilità tecnica».

Da umanista lotta contro il mantra del «restiamo umani» – facile grido manierista – intendendo la società stessa come un processo di antropodecentramento.

L’uomo non è al centro di nulla.

L’umanesimo è morto, finalmente. Il corpo umano non è concepito come un sistema chiuso, ma come luogo di accoglienza, come un’entità ibrida e soggetta a riconfigurazioni: bisogna «rendersi conto che la distinzione tra corpo organico e materiale inorganico non è così netta come il nostro orgoglio umanistico vorrebbe farci credere», questo perché «dalla scoperta del fuoco all’uso della selce scheggiata in poi, il corpo umano e la techne non sono mai stati due entità contrapposte ma hanno sempre formato un sistema interattivo».

Trova così spazio il pensiero di Gilbert Simondon, dell’insufficienza della cibernetica e della necessità dell’interazione tra robot ed uomo. Fa capolino il concetto di wetware, profilandosi all’orizzonte la possibilità di un computer organico, fatto di metallo e materia vivente.

Leggendo C’era una volta il corpo c’è il rischio di essere presi da vertigini futuristiche, o assaliti dalla nostalgia, sentimento non nobile ma lecito.

Allora non si faccia altro che non sia ascoltare Giovanni Lindo Ferretti in Del mondo:

È stato un tempo, il mondo, giovane e forte
Odorante di sangue fertile
Rigoglioso di lotte, moltitudini
Splendeva, pretendeva molto
Famiglie, donne incinte, sfregamenti
Facce, gambe, pance, braccia
Dimora della carne, riserva di calore
Sapore e familiare odore
È cavità di donna che crea il mondo
Veglia sul tempo, lo protegge
Contiene membro d'uomo che s'alza e spinge
Insoddisfatto poi distrugge
Il nostro mondo è adesso debole e vecchio
Puzza il sangue versato, è infetto

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