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Caro Edoardo Prati, insegnaci la letteratur*

Caro Edoardo Prati, insegnaci la letteratur*
Lettura boomer
No anzi, meglio che non insegni niente, ché fai più bella figura.

Eccolo lì. Neanche un pelo in faccia, non una cicatrice, una ruga o le borse sotto gli occhi. Vestito retrò, con camicie dai colletti imponenti, cravattoni anni Ottanta, maglioni da accademico britannico, brache ascellari e giacca da prof. L’impostazione è cattedratica, il tono è mieloso e smielato, la passione è tanta e ostentata.

Ha tutte le carte in regola per essere chiamato il “Barbero della letteratura” (un po’ come quando si trova mezzo busto romano in un paesino sperduto che subito diventa la “Pompei di Pizzo Calabro”).

E che amici importanti! Chiara Valerio in prima fila, ma vive nel ricordo di Michela Murgia, già canonizzata dalla nostra infallibile élite culturale. Eccolo qua: Edoardo Prati, il giovane vecchio dei social italiani. Tutti stravedono per lui: grandi e piccini, accademici e massaie, professori e studenti. Tutti rapiti dal grande inganno:

“la letteratura è da giovani: ve lo dice un vecchio!”

La chiosa finale di ogni video del novello intellettuale di spicco della cultura italiana è “Curate ut valeatis”, statemi bene. Ma è chiaro! Si rivolge al suo pubblico di morti viventi, hanno un piede nella fossa, arrancano:

“statemi bene o sono fottuto”

E rimanete in questa bolla, dove sono io a indirizzare saggiamente le vostre letture, le vostre passioni, il rinnovato interesse alla letteratura.

Caro Edoard*, insegnaci la letteratur* progressista, inclusiva, quella buonabuona – per carità, solo quella! Non parlarmi dei cattivi poeti, mostrami solo il tuo pantheon di morti.

Leggi un libro al giorno, dici. Non fatico a crederti. Di solito quelli che leggono troppo capiscono poco. Ma perché insegni a leggere? Perché fuorviare così le giovani menti? La letteratura non salva da niente. La letteratura è un abisso. Un abisso che tu, con gran maestria, costeggi, senza entrarvi. La letteratura si fa, non si dice. Sei alla stregua dei Ferragnez, che ‘dicono’ la beneficenza invece di ‘farla’. La letteratura è proprio una forma di beneficenza: non serve a nulla, è un vuoto a perdere e ci purga dalle nostre malefatte.

Sarebbe troppo facile, caro Edoardo, dire che la tua malefatta sia stato fare la drag queen no, quello ti rende simpatico ai nostri occhi perversi e amanti dell’orrido o esibirti su TikTok come le poppute squinzie dai seni esposti (non donna di provincia, ma bordello…).

La tua malefatta è l’essere così perfetto. Lindo in volto e nelle vesti, così aggraziato nelle tue movenze da docente del liceo. Come volteggia questa mano che non dice nulla. È una bellezza vederti conquistare tutta questa fortuna mediatica. È una bellezza vederti esibire con Chiara Valerio, parlare della Murgia, girare teatrini e salotti con il tuo spettacolo (ma tò! uno spettacolo che parla d’amore!), appropriarti delle canzoni di Battiato per i tuoi show (almeno non pagare la Siae!), andare da Fazio e dilettarti con il suo sofisticato sistema di leve e specchi.

Ci dici che la lettura è utile fintanto che c’è immedesimazione. Prati non potrebbe mai leggere il Vangelo: come immedesimarsi in Cristo? Prati non potrebbe mai leggere Cormac McCarthy: come immedesimarsi nel giudice Holden che stupra bambine e ammazza i cuccioli? Prati non potrebbe mai leggere Ezra Pound: come immedesimarsi in un traditore del santo popolo americano che fa saluti romani e scrive opere monumentali? Prati non potrebbe mai leggere Curzio Malaparte: come immedesimarsi in un tale narcisista (o forse sì?)? Prati non potrebbe mai leggere Gottfried Benn: come immedesimarsi con un poeta-medico nazista che parla di negri e troie squartate? Prati non potrebbe mai leggere, che so, Eugenio Montale: come immedesimarsi in un omofobo e squilibrato poeta conservatore?

Accidenti, Edoardo, mancano parecchie cose all’appello. Eppure dici di leggere tutti i giorni, di vivere a pane e letteratura. Ma la tua etica?

“La cultura piange lacrime di sangue” hai sentenziato, sul caso Sangiuliano.

Caro Edoardo, la cultura non esiste.

E se esistesse, piangerebbe lacrime di sangue nel vedere te, il tuo entusiasmo schiaffato sulle facce di chi si crede più stupido e ignorante, piange nel vedere te, sbarbatello, che imponi le mani sul capo della buona casalinga e che le spieghi che per essere una donna buona deve ciucciarsi Dante (ma solo i passi buoni, in cui si parla di ammmòre, mica di teologia, catenate, botte, tacchi a spillo – “c’è: perché c’è”). Ma lasciaci dormire in pace, Edoardo! In attesa di una tua opera, che possa essere sconvolgente quanto la ferocia di Pound o lo splendore di Dante.

Ma – aspetta! 

LA TUA OPERA ESISTE E COMBATTE INSIEME A NOI!

Eccolo qui! Il libro di poesie di Edoardo Prati: ATHANATOS

L’abbiamo ritrovato, dopo una lunga indagine, sul pavimento di un locale a luci rosse di Tarquinia. Un volumetto immacolato ed innocente, risalente ai tuoi verd’anni. E ora è nelle nostre sudice mani. Titolo infelice, vuole rispecchiare la formazione classica del giovane autore. Pura ostentazione, scritto in maiuscolo, senza spirito e senza accento. Scrittura acerba lungo tutti le dieci poesie, corredate da cringissimi scatti didascalici: gocce d’acqua, montagne, uccelli e poi il mare, il mare del riminese che sembra nato a Milano e cresciuto a Bologna (dove effettivamente studia Lettere). Di romagnolo non c’è nulla, né nella sua persona né nella sua poesia, buttata sul foglio come sfogo estatico e non come mistica preghiera, come farebbe un vero poeta romagnolo. Non c’è l’angoscia, la furia, il sangue romagnolo che scorre. Il confronto con grandi poeti romagnoli non regge, basti pensare a Raffaello Baldini. Non c’è identità in questa poesia che si sforza di imitare modelli conosciuti con termini arcaici, superati, lenti, monotoni, in definitiva totalmente pratiani. Ogni poesia è una lezioncina di vita, è scritta con la matita rossa della maestra, è saccente e spigolosa senza essere crudele. È solo piccola, insignificante, anti-poetica perché esageratamente poetica. Drammaticamente, i versi sono disposti al centro della pagina. Versi brevi, imbarazzanti, elementari. Non c’è niente di immortale (athànatos, appunto) in questi dieci componimenti. Anzi, diventano introvabili, come spesso accade, appena l’autore inizia a incontrare fama e fortuna. Insegnaci questa poesia, Edoardo, insegnaci le scorciatoie, le menzogne, la banalità del tuo bene.

EVVIVA È NATO IL SOLE

Dietro alle nuvole,

superstiti dell’ira divina,

i bambini avvistano la nascita…

Evviva è nato il sole.

Dietro ai palazzi distrutti, 

superstiti dell’idiozia umana, 

i bambini scrutano la nascita…

Evviva è nato il sole.

Dietro ai sorrisi dell’amore fanciullo,

superstiti dei dolori che quotidianamente ammazzano,

i bambini osservano la nascita…

Evviva, è nato il sole.

Dietro ai cadaveri, nelle barche, 

non sopravvissuti alla cattiveria umana,

i bambini vedono la morte…

Come mai oggi il sole non nasce?

UNA GOCCIA

Pende dal cielo, scende.

Cade piena di speranza

e brio.

Scende.

Si schianta sul grigio tetto 

si piega, si strappa.

Nell’oblio,

nella perenne e assoluta dimenticanza, 

scende.

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