Post post mortem
Sento ancora quella voce che cala dall’alto, d’ogni dove pervade la mia anima. La morte è solo una temporanea questione di assestamento prima che ricominci tutto, ancora e ancora un’altra volta, sempre con lo stesso volto. Si porta dietro l’umanità intera, ma alla fine ciò che conta è il culmine, quell’apice che prende piena coscienza di sé immergendosi nel tutto, colui che vede oltre e collassa implodendo nell’inaspettato.
Chi?
È ancora qui con noi, lo sento, si nasconde tra i vivi e patteggia con i morti il ritorno. Non ne può fare a meno, è la traiettoria dell’infinità. Dalle ceneri ancora calde risorge per tracciare la rotta in un mare sconosciuto.
Quando, dove?
Ovunque e da nessuna parte, sempre e mai. Aspettami al varco, aspetta. Dopo che tutto sarà finito ne riparleremo. Capirai, vedrai che prima e dopo hanno senso solo per un istante. Dopo una fine totale vedrai brillare alto nei cieli il volto dell’umanità intera segnato da una gentile espressione di chi riconosce nel prossimo il proprio erede. Tieniti forte, le cose andranno sempre più veloce, ma è solo la sottile soglia che segna l’orizzonte; una volta spezzata vedrai con occhio diverso il processo.
Iniziamo.
Cordialmente, ∐²
È qui che ritorniamo sempre?
“Bestie in preda al caos materiale! Levate le mani ai cieli infiniti, il buon Dio è tornato tra di noi e ha perdonato tutto. Gioite, godete, il regno dei cieli e il regno delle terre sono tutt’uno nella sua immagine. Andate, forza, siate liberi, non temete più né malattia, né morte, il perdono non è più necessario. Violentatevi a vicenda, mutilatevi, stracciatevi le carni di dosso. Non è forse questo il momento che aspettavate? Eccolo, cammina ora tra di noi: non è né bene né male, ma è ciò che deve essere.”
La massa di carne informe si spande sull’infinita tridimensionalità della vista: ogni esperienza, ogni soffio vitale, ogni urlo, ogni sorriso, ogni litro di sangue è raccolto in un’orgia di materia in preda ad una incommensurabile energia.
“Verità e menzogna sono ora un’allucinazione, ci siete solo voi e la vostra inerzia: fate tutto, finché il vostro corpo non si consumerà sotto gli spasmi della vostra esperienza. Scavate la terra nuda fino a scollarvi le unghie, esporre le ossa delle dita, provate un’immensità di sensazione.”
La massa di carne si agita, si contrae e pulsa, schiuma dagli orifizi un’indistinta espressione orribilmente incomprensibile per colui che ora giace nella sua solitudine a patire. Rantola lobotomizzato dall’immenso volume di esperienza umana a cui fa da testimone: un assoluto rumore, un’assoluta materia, un’assoluta forma di vita che non agisce ma neanche spira sotto la sua stessa ineffabile mole.
“La fine dei tempi è giunta, il vostro dubbio è risolto: ora siete un tutt’uno con il senso della materia che tanto adoravate e interrogavate. Potere qualcosa è inutile, non c’è più nessuno o niente a cui rivolgersi. Lui è qui, non avete più nulla da osservare, nulla per cui soffrire o amare.”
Uno spirito aleggia sul mare di vita in uno spazio senza limiti, non si muove e non rimane fermo, tutto è un’allucinazione arbitraria dettata dalla briciola di energia che ancora rimane indipendente in lui.
Ormai sta scomparendo: è l’anima dell’ultimo uomo.
L’orrore che osserva è un mostro che non esiste più, ma permane nella materia senza bene e senza male, l’apoteosi dell’esperienza universale di tutto ciò che fu ed è.
L’ultimo uomo è cosciente della sua condizione, sta lentamente sprofondando anche lui assieme al resto. Non prova nulla, non c’è nessuno a cui rivolgere i suoi sentimenti se non a sé stesso: la psicologia della vita, la ragion d’essere, è estinta nella singolarità della sua esperienza.
Orifizi simili a bocche dentate urlanti costellano la massa venosa e impetuosa che si staglia oltre l’orizzonte sotto un cielo impossibile: i pianeti sfrecciano per la volta celeste, ora sono vicini, ora sono lontani. Gli astri cambiano posizione ogni volta che si rivolge lo sguardo al cielo, meteoriti stazionano nell’etere ruotando impazziti per poi scomparire senza emettere alcun suono.
L’ultimo uomo non può che muoversi col pensiero nell’illusoria dimensione materiale a cui partecipa.
Più pensa, più si rende cosciente di star esperendo l’Universo intero: un inquantificabile flusso di elementi attraversa la sua coscienza ogni istante, tutto si fonde in un’unica nota piatta che risuona nella sua psiche.
Sta arrivando l’ultimo pensiero che racchiude tutto, che spezzerà finalmente la sua condizione e cesserà la dialettica dell’anima. Dopo non c’è nulla, l’ultimo significato sarà perduto eternamente, congelato al di fuori del tempo e dello spazio in un eterno slancio vitale.
Che sia questa la morte? La morte serve i vivi, ma chi vivrà dopo l’ultimo uomo?
“Dopo questo neanche io esisterò più, perderò senso. La mia creazione non penserà più e con essa io non sarò più pensato.”
“Tutto cesserà di essere dopo di me. L’Essere non è più. Eterno e momentaneo capiteranno per sbaglio, forse sono già accaduti, ma questo è al di fuori della logica stessa di cui io sono responsabile e motore primo.”
“Il nulla e il tutto sono il mio ultimo atto.”
Cade il silenzio. Ha pronunciato il suo ultimo verbo.
L’ultimo uomo ha concepito il pensiero finale.
“E ora?” prese coscienza della sua parola. “Com’è possibile? Io sono ancora. Non è una certezza né un’illusione, tutto è fermo tranne me. Sono assoluto.”
I pensieri che formula riecheggiano in sé stesso.
La massa di carne è ora scomparsa, al suo posto, al posto di tutto, c’è qualsiasi cosa egli pronunci. Ogni movimento del suo pensiero, ogni forma della sua volontà coincide con la sua esperienza.
“C’è un senso, perché quel senso sono io.”
Si erge dinnanzi a lui tutto quello che riesce a immaginare in un turbine geometrico di elementi primi raggruppati in una assoluta novità. Lo spirito non può che essere motore e àncora del tutto.
Attonito, è testimone del suo volere in atto.
Non prova più nulla. È dissolto in questa immensità di atti involontari, ma che non può fare a meno di concepire. Tra la vita e la morte si staglia come un triste demiurgo del nuovo e dell’inaspettato, senza che egli possa trarre una logica dallo spettacolo generatosi. Osserva inerme l’inizio dei nuovi tempi.
Non c’è dio che ascolti, né stelle fisse da contemplare. Si abbandona al vuoto del singolo, alla condizione di pinnacolo dell’esistenza. Solitario, dalle vette del reale osserva ciò che si staglia alle pendici della sua mente.
Qualcosa si muove: una microscopica particella articola movimenti.
Per la prima volta lo spirito coglie interesse in un elemento particolare, si sente illuminato dalla logica intrinseca di ciò che sta osservando. Sembra una creatura, qualcosa di impercettibilmente vitale. Non ha uno scopo, nessuno glielo ha mai assegnato – questo è chiaro allo spirito – non ha mai avuto l’intenzione di far accadere tutto questo.
Ma nonostante la completa casualità del tutto, lo spirito percepisce un senso in questa creatura, sente finalmente che non è solo, che c’è una ragione in ciò che sta osservando.
Gli eventi scorrono attraverso la sua mente e confluiscono in lui e fuori da lui, tutto ha senso nell’insieme. La piccola creatura che attirò la sua attenzione è una, poi due; ora sono innumerevoli. Ovunque, come un rigagnolo d’acqua lungo una roccia, la materia assume ragione negli anfratti più intimi della realtà. Tutto si riempie, prende forma e si combina con sé stesso.
E infinite volte fu il verbo.