RIP FORLANI - IL POLITICO MENO POP

RIP FORLANI - IL POLITICO MENO POP
Lettura boomer
RIPPERONI per la Prima Repubblica

“Potrei parlare per ore senza dire niente”

pare abbia detto di sé, tra verità e leggenda, Arnaldo Forlani, alias il coniglio mannaro, certamente uno dei più importanti interpreti della politica italiana dello scorso secolo.

“Andreotti ha fatto tutto e il contrario di tutto, Forlani ha fatto niente e il contrario di niente”

ha detto di lui (don) Baget Bozzo in tempi in cui nel palcoscenico imperversava Silvio Berlusconi, col suo sorriso smagliante e ammaliatore, e l’immancabile ‘sole in tasca’.

Niente di più lontano dal buon Arnaldo, ingessato nel suo abito grigio, distinto e distante come i vecchi gentiluomini, ormai stanco e disilluso in un mondo che non è decisamente più il suo.
Eppure per meno di 30 voti nel ‘92 non è diventato Presidente della Repubblica, tradito probabilmente da alcuni dei suoi compagni di partito. Lui, proprio lui, che inventò il famigerato metodo Forlani, il sistema di combinazione tra nome, cognome e titolo, utile a contarsi e smascherare i cosiddetti franchi tiratori.

 E poi Tangentopoli, la condanna e i servizi sociali, un’onta subita anni dopo anche dal buon Silvio per ragioni differenti e con ben altri accenti e clamore.

Un’umiliazione terribile per uno come lui che ne ha chiuso la lunga storia politica:

“non poteva non sapere”

da segretario, del finanziamento illecito del suo partito politico, quella Balena Bianca, in cui aveva militato fin da ragazzo.

Si chiude con l’oblio una vita piena di incarichi, quasi 50 anni in parlamento, la vice presidenza e la presidenza del Consiglio dei ministri, un posto da ministro della partecipazione statale, della difesa e degli esteri, due volte segretario della Dc. 

Erano tempi in cui il segretario di un partito contava parecchio; era il modo migliore per

governare senza sembrare di stare al governo

Un cursus honorum quello di Forlani irripetibile oggi, una stagione in cui gli astri della politica nascono e poi cadono in pochi istanti. Le meteore sono tante, riempiono il cielo di luce e poi non lasciano traccia sparendo nell’anonimato dell’irrilevanza, nel dimenticatoio elettorale.

Non è mai stata una stella cadente Forlani, colui che il Financial Times definì

“supremamente adattabile”

una vita ordinata, un bella famiglia, una fede sempre vissuta mai troppo ostentata.

Schivo e silenzioso eppure incisivo e efficace nel tessere relazioni per continuare ad esserci, nel mediare per durare, nell’inventarsi cose (semi)nuove per non cambiare tutto. Tanto /pol/(itico) è poco pop(ular); oggi i ventenni non sanno neppure chi sia

“Funerale di stato, lutto nazionale…. ma perché?”

Sentivo dire ad un tizio su un tram milanese stamattina.

“Giusto perché la sua data di morte è capitata poche settimane dopo quella di Berlusconi”.

Berlusconi, lui sì, fenomeno di massa, matador degli ultimi 30 anni di politica internazionale, il più grande dei geni, il più globale dei puttanieri, il più farabutto dei corruttori.

Forlani decisamente il contrario: parco di uscite improvvide, misuratore di parole, ben lontano dal “pullman di troie” e dal “commendator Bestetti”. Un vecchio democristiano demodé, decisamente poco sbrilluccicante.

Un’immagine sbiadita di una storia politica che oggi è finita in pasto a chi non la comprende o non la vuole comprendere davvero: idolatrata e avvolta da un’aura di leggenda stile @primarepubblica o al contrario archiviata come la stagione degli intrallazzi, del “è a causa loro se siamo in questa situazione”.

Banalizzazioni da cui guardarsi, una storia d’Italia da studiare.

La si capisce, un poco, se si considera cosa siano stati i grandi partiti ideologici, quelle grandi macchine del consenso che affondavano le proprie radici in tradizioni politiche, in filosofie e grandi sistemi di pensiero. Ora non ci sono più, i partiti sono morti, sono solo sbiadite imitazioni. Hanno mantenuto, alcuni, la struttura ma hanno perso la base, l’elettorato, la linfa che li mantiene in vita.

Nella DC coesistevano la grande tradizione cristiana del partito popolare, il pensiero cristiano-sociale, il personalismo cristiano, l’europeismo etc … Da Sturzo a Maritain, da Vanoni e Fanfani a De Gasperi e Moro. Una ricchezza culturale e politica che si incarna in un grande partito che coinvolge milioni e milioni di elettori, rappresentando la stabilità e la governabilità di un paese turbolento, complesso e straziato dalla guerra.

Il PCI, il partito comunista più forte d’Europa, che giunge a superare la DC nelle elezioni europee del 1984. Una tradizione gloriosa in cui Togliatti e Berlinguer traghettano masse di proletari e operai dalla rivoluzione proletaria alla possibilità di un partito marxista e leninista e insieme democratico, scrivono con i cattolici, i socialisti, i liberali e i repubblicani la costituzione del “compromesso”. Incredibile dictu, visu et auditu.

Poi ci sarebbero il PSI e il Movimento sociale, il PRI e i liberali. 

Un quadro, quello offerto, parziale e fieramente pressapochista, ma che può servire per inquadrare ciò di cui parliamo.

Un mondo che non esiste più, in cui il pensiero e l’universo culturale sono immensamente più importanti dell’uomo che va al governo, in cui il successo alle elezioni è dovuto alla “linea politica della segreteria” e poco dipende dalla popolarità o dalla storia politica o imprenditoriale di questo o quell’uomo.
Non esistono i salvatori della Patria, i Monti o i Draghi…esiste solo la politica

Esisteva solo la politica, il partito e l’idea.

E in un contesto come questo che si spiegano figure come quella di Forlani. Dimenticato perché voleva essere dimenticato, sconosciuto perché 50 anni di politica evaporano dopo una manciata di tornate elettorali.

Una scena del film “il Divo” rende bene l’idea del personaggio. Forlani e Andreotti sono convocati a una riunione DC per formalizzare la linea strategica per le elezioni presidenziali che, dopo le dimissioni del picconatore Cossiga (personaggio che varrebbe la pena conoscere e raccontare), sedici scrutinii a vuoto, la morte di Falcone e un clima politico infuocato, elessero Scalfaro. 

Andreotti: Se c’è la candidatura dell’amico Arnaldo, la mia non esiste.
Forlani: Se c’è la candidatura dell’amico Giulio, la mia non esiste.
Paolo Cirino Pomicino: Ho capito.
Paolo Cirino Pomicino: Ho capito.
Esponente DC: Com’è andata?
Esponente DC: Com’è andata?
Paolo Cirino Pomicino: Vogliono candidarsi tutti e due.

Questo dialogo probabilmente non è mai avvenuto nella realtà, ma la scena sorrentiniana è iconica e racconta della parola detta e non detta, di dinamiche complicate e decisive, di scelte che sembrano semplici ma sono difficili, di strategie che paiono mera lotta di potere ma che sono “politica”.

Il coniglio mannaro è semi-sconosciuto al popolo del web, grigio e forse superato ma ci dice, credo, ancora qualcosa di utile: si può servire il proprio paese per tutta la vita, si può pagare per i propri (presunti) sbagli senza gridare e farneticare, si può morire dopo una vita alla ribalta e 30 anni di silenzio, portando in dote 50 anni di primato della politica. La politica come forma alta e difficile di carità, come arte della mediazione, come dialogo insistito, garbato e audace, spesso ossessivo e addirittura spericolato.

Perché la politica, per quanto non ci crediamo più, vince sempre.

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