Siamo andati a Desenzano scroccando 4 ingressi per blastidi. In fin dei conti avevamo una domenica libera e non sapevamo cheffare. Così io ho preso la macchina e mi son fatto due ore e mezza di autostrada, Nicomaco Cozio si è alzato alle 6.00 e si è fatto 5 ore tra autobus e treno e Ranpo, il più fortunato, si è fatto un’oretta di regionale veloce..
OK, forse un po’ ci tenevamo ad essere presenti.
A cosa? Vi starete chiedendo a questo punto.
Al concerto dei Pooh? No. Alle celebrazioni per il 25 aprile? No. Alla presentazione di ChatGPT 4.0? No.
Siamo stati a Desenzano per la mostra “Il Surrealismo: the infinite madness of dreams”. Titolo un po’ catchy ma molto italiano nella sua albionizzazione di solo metà frase. Ok, Desenzano è molto turistica, gente che va, gente che viene, ma perché non presentiamo più le mostre coi titoli in italiano? “L’infinita pazzia dei sogni” mi sembra quasi più performante per l’italico pubblico.
Ma comunque, NON SIAMO QUI PER FARE POLEMICA.
O forse sì…
Aperta al pubblico dal 23 marzo al 2 giugno (avete ancora tempo per visitarla), l’esposizione di oltre 60 opere dei principali artisti surrealisti è allestita presso il Castello di Desenzano del Garda. A cura di Matteo Vanzan.
Segnatevi questo nome.
Ora di arte non ci capisco una mazza, per me “arte” vuol dire Caravaggio, Michelangelo, Tintoretto, Tiziano, Cima da Conegliano…
Questo è stato appurato col sior Vanzan, curatore della mostra. Il Curatore (con la C maiuscola) ha avuto la premura, infatti, di dedicarci qualche minuto per darci un’infarinatura su quello che stavamo andando a vedere.
Nel 1924, esattamente quando noi non si era manco nei pensieri dei nonni, André Breton scrive il “Manifesto del Surrealismo”; da quel momento si sviluppa l’ultima avanguardia storica del Novecento. La ricerca artistica dei surrealisti è legata al sogno, all’inconscio, alla follia; argomenti terribilmente attuali, specialmente l’ultimo. L’opera surrealista è fatta di chiavi di lettura, è l’osservatore a dare significato all’opera, che non vuole esprimere nulla, se non l’inconscio (di chi l’ha prodotta, dello spettatore e del mondo intero).
Ovviamente queste sono parole mie, spero non se la prenda il sior Vanzan se ho travisato la sua spiegazione. Sicuramente la sua introduzione ci è stata utile ad interpretare quadri difficilmente interpretabili, non voglio certo mentire, non sono riuscito ad “entrare” in ogni quadro. Comunque la visita è stata piacevole, ricca di spunti, e per certi versi illuminante.
E non poteva essere altrimenti, vista la presenza di quadri di René Magritte, Salvador Dalì, Joan Mirò, André Masson, Man Ray, Max Ernst, Sebastiàn Matta, Hans Bellmer, Leonor Fini, Giorgio de Chirico. Nomi che tutti abbiamo già sentito almeno per sbaglio, un po’ come quando da bambino sapevi chi era Berlusconi.
Una chicca della mostra è sicuramente la presenza delle opere esposte alla storica mostra “Dalì” tenutasi a New York, Tokyo e Ginevra dal 1964 al 1970.
Un’altra chicca è la locandina della mostra stessa. Un quadro ispirato a quelli di Magritte (forse realizzato con l’AI, forse del famoso pittore) in cui un uomo con delle Balenciaga sneakers speed nere passeggia su una riva, presumibilmente quella del Lago di Garda.
Il mio quadro preferito?
Il Cristo di Dalì
Per altro, ho trovato abbastanza comico che a una mostra Surrealista, ovvero di un’avanguardia che voleva superare la tradizione passata di un’Europa al collasso dopo la Prima Guerra Mondiale, il mio quadro preferito avesse come oggetto il Cristo in croce, ovvero la tradizione fatta simbolo.
A fine mostra ho avuto modo di appurare che era il preferito anche di Nicomaco e Ranpo – che fantasia. Io sarò anche un contadino, ma se ho capito qualcosa, è che il Cristo di Dalì potrebbe non significare assolutamente nulla a un Aborigeno portato a Desenzano. Non ho potuto che farlo notare al Curatore, che mi ha dato ragione.
Ripensandoci tornando a casa, la cosa poteva avere una lettura molteplice:
- L’inconscio è (almeno in parte) “collettivo”, allora il Cristo significa qualcosa a chi di Cristo, Santi e Madonne ne ha sentito parlare, anche solo da lontano.
- Alla mostra di Desenzano, salvo essere esperti d’arte, siamo un po’ tutti degli Aborigeni.
Perché alla fine, veramente il sogno e l’inconscio sono opposti alla tradizione? Forse è proprio nella tradizione millenaria che si esprime ed emerge questo inconscio collettivo.
Oggi siamo così:
Con le radici sospese nel vuoto, la torre sta crollando. Forse è la condizione umana generale, ma più probabilmente è solo la contingenza. Quella stessa contingenza provocata dai cambiamenti sociali e tecnologici del secolo scorso, che non accenna a smettere. Per questo anche oggi la rivoluzione surrealista è necessaria.
La rivoluzione surrealista, a 100 anni di distanza, non solo è attuale, ma sta letteralmente avvenendo…
Bastava guardare i quadri di De Chirico alla mostra: Vaporwave. Il surrealismo strappa l’immaginario, l’inconscio, lo sguardo, ai condizionamenti esterni, imposti, da questo o quel potere, e fa sì che l’artista se ne riapprori e lo renda anche a chiunque veda la sua opera. Dove si va a parare già lo sapete. La carica rivoluzionaria, di stacco, che il surrealismo portò nella pittura vive nei MEME. Hanno colonizzato il nostro immaginario? Ora tocca a noi rispondere al fuoco con il fuoco, con l’arte.
Oggi il vero surrealista è il mematore, che incarna il suo inconscio, il nostro inconscio, e lo esprime. Lo spirito degli aborigeni prende possesso del dispositivo elettronico su cui si mema, di Picsart, Photoshop, Gimp, delle nostre mani e fa sì che si possano esprimere i nostri sogni. I meme, da questo punto di vista, si inseriscono nella tradizione. Sono il nostro strumento di libertà, per esprimerci, ma anche per attaccare. Come i surrealisti. Art attack? Letterale.
Quindi, cari lettori, non disperate, anche se non ci capite molto assalite il botteghino (anche letteralmente) perché il 2 giugno la mostra finisce.
P.S. Perché due mele indossano una maschera? Un prete sposato?