4 settimane

L’identity politics salverà la democrazia

Come l'america ci sta indicando la via

L’identity politics salverà la democrazia
Lettura boomer
L'identità è la chiave della democrazia del futuro?

"Inoltre, trattati di pace dopo il 1918, malamente raffazzonati, moltiplicarono quello che oggi, alla fine del secolo, ci appare come il virus mortale della democrazia, ossia la divisione etnica o religiosa dei cittadini."
Enric J. Hobsbawm, Il secolo breve

La democrazia, come abbiamo ripetuto a ogni piè sospinto su queste colonne è morta. A meno che… non sia il fucile che appartiene a noi. E non stiamo parlando del fucile puntato contro Donald Trump o qualche burattino più in alto. Stiamo parlando del mirino della Storia che, inevitabilmente, punta verso il cuore pulsante del sistema:

la frammentazione.

Se c’è una cosa che gli USA ci stanno insegnando, è che la democrazia si regge sul filo del conflitto. Eh già, gli USA, la democrazia incarnata in un Stato. E osservare le dinamiche di questo paese può dirci molto più sul futuro di quello che generalmente si crede, o almeno di quanto credono quelli che la ritengono una società lontana e “inferiore” dimenticando il fatto che hanno vinto la WW2 e stabilito l’ordine mondiale…

Stiamo parlando di una nazione che ha fatto dell’apertura e del multiculturalismo la propria bandiera, con comunità etniche divise e, almeno in parte, ghettizzate o autoghettizzate.

Se guardiamo attentamente scopriamo i Latinos for Trump e i Black Maga sono molti i membri delle minoranze etniche che teoricamente dovevano essere alleati del partito democratico, che invece si schierano con il tycoon.

Spesso si che le ideologie siano finite, ma poi tutti a turarsi il naso alle urne, speriamo che questa volta siano finite veramente, perché l’ideologia, l’ideology politics (una politica che si basa sulle idee, sugli ideali, tipica del secondo dopoguerra) sta veramente crollando. Non si tratta più di scegliere chi rappresenta meglio la tua visione del mondo. Ma capire chi ti somiglia di più, chi ti fa dire:

L’identità ha preso il sopravvento su tutto il resto, ma questo non è un male, anzi l'identity politics salverà la democrazia.

La cultura woke ha reso l’identità merce da consumare. L’identity è un semplice adesivo da applicare su qualsiasi prodotto sociale progressista. Il concetto stesso di identity politics, dunque, comunemente si applica a quelle battaglie per i diritti civili che gruppi aggregati da una caratteristica etnica o di orientamento sessuale, rivendicano contro un sistema che “li opprime” o banalmente non riconosce loro questo o quel presunto “diritto”. 

C’è una superficialità nell’identity politics così intesa. Oltre alle problematiche che derivano dall’assunzione di un sistema di valori universali moraleggianti che pretendono di ridefinire lo spazio politico (di cui abbiamo parlato nel secondo volume di Proiettili), la questione dell’identità metterebbe  in crisi la base stessa del regime democratico attualmente vigente. Infatti, abbiamo assistito alla completa memificazione della politica, e come tale è il riconoscimento, la reletabilità, l’identificazione totale a decidere le sorti di questa. La democrazia liberale è stata programmata affinché funzioni quando la base dei cittadini, il template, non cambi, sia il più possibile omogenea. È raro che questo succeda e, anzi, come nei meme dopo una prima fase di uniformità assistiamo all'esplosione della creatività, delle diversità, lo stesso si può dire delle identità (percepite e non) che portano al collasso del sistema come lo si conosce. Pensate ai rage comics, non esistono più, ci sono i wojak, faccioni bianchi con una possibilità elevatissima di personalizzazione, proporzionale alla reletabilità. È la divisione delle base a rendere farraginosi i sistemi elettorali, perché non si sono aggiornati, è questa impedire di trovare una stabilità ai governi. Identità diverse voteranno partiti diversi, a seconda della percezione e delle caratteristiche di ognuno, e si arriverà necessariamente ad un livello di scontro, più o meno elevato. Ma la frammentazione delle identità non uccide la democrazia in sé: la ricostruisce a immagine e somiglianza delle lotte di potere.

Chi comanda veramente, ed ha sempre comandato, non è l’ideale universale, ma il microcosmo tribale di ogni fazione.

Identity politics meme

Questo problema assume particolare rilevanza quando ci si rapporta con un blocco occidentale che pretende, fa finta, di essere unito e schierato dalla stessa parte in ogni questione, nascondendo le specificità di ogni attore.

Ma se oggi il collasso dell’identità occidentale è visibile, lo dobbiamo alla crisi americana, una crisi che ha contagiato poi ogni angolo del pianeta. L’Occidente guarda se stesso  e ciò che vede è una nazione che, per prima, ha imboccato la strada del collasso identitario: gli Stati Uniti. La retorica del sogno americano, quel melting pot glorioso di etnie, culture e aspirazioni, si è incrinato come un vetro sotto pressione, come schiacciato da un carro armato. Gli USA non sono più l’immagine luminosa della libertà (lo sono mai stati?), ma il laboratorio dove i conflitti tra gruppi etnici e religiosi vengono esasperati e studiati, come in una distopia sperimentale.

L’identity politics mostra oltreoceano il suo vero volto: lo scontro finale tra gruppi che non possono più unirsi, che vede opposte élite diverse contrapposte, con masse che seguono o respingono determinate visioni del mondo. Negli Stati Uniti, ogni battaglia politica è diventata una questione di razza, di genere, di etnia, fino all’esasperazione: paradossalmente le questioni sollevate dagli alleati della cultura woke hanno portato una fetta di popolazione a riscoprire le proprie radici (ovvero la loro identità). E allora perché mai latinx e negrossi dovrebbero votare repubblicano e non democratico? Semplice, perché le logiche a cui rispondono non sono quelle del capitale, ma quelle delle comunità, logiche tribali. Il partito democratico ha perso la sua street credibility, che invece ha (dal 2016) The Donald. Ricordiamo che svariati repubblicani appoggiano Kamala, proprio perché essi mirano a conservare il potere della propria élite che vuole fare da arbitro del mondo, facendo passare in secondo piano i problemi materiali dei propri cittadini, mentre Trump rappresenta chi persegue interessi interni all’America, quindi anche dei gruppi etnici che vivono nel suo territorio, e ha una credibilità altissima soprattutto dopo i fatti recenti (si dice che sarà il primo presidente nero se sarà eletto proprio per le presunte molestie e la certa sparatoria). 

Al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, questa divisione non distrugge la democrazia, la ricostruisce. La crisi d’identità americana, dell’Occidente, non è una debolezza. È il motore che spinge il sistema a evolvere.

La democrazia non ha mai avuto bisogno di essere “universale” per funzionare e ora non riesce neppure a fingere di esserlo.

Intanto in Europa? Noi stiamo precipitando nello stessa dinamica. Le nostre società, che si illudono di essere inclusive, progressiste e moderne (o che punterebbero ad esserlo), sono frammentate negli stessi blocchi tribali. Gli immigrati non si integrano, i vecchi valori cadono, e ogni fazione combatte per un pezzo di potere, di rappresentanza, di spazio pubblico.

Non c’è un’unica narrazione che ci tenga uniti: c’è solo la lotta tra chi si sente escluso e chi si arroga il diritto di rappresentare gli esclusi.

L’Occidente non fa altro che ripetere i movimenti degli USA, amplificando con la retorica tipica dello status quo. Eppure, come gli americani, anche noi ci accorgiamo che questo processo non uccide la democrazia. La deforma, la trasforma in qualcosa di nuovo.

Non è che una questione di tempo prima che la crisi identitaria americana si aggravi e diventi il nostro nuovo ordine.

La crisi dell’Occidente è un modo diverso per dire crisi di identità americana.

Razzista, omofobo, LGBTQUIA+ ally, minoranza etnica o suprematista bianco. L’elettorato si plasma su questi assi, bisogna difendere la propria tribù. Non è più questione di scegliere il migliore tra i candidati, ma di scoprire chi sei, attraverso il voto.

Non devi leggere programmi, guardare dibattiti, “informarti“.

Prima di tutto, guardati allo specchio. Chi sei? Quale gruppo ti rappresenta? 

Questo è il verso senso dell’identity politics, è l’atto finale di un teatro sociale in cui tutti sono obbligati a scegliere un lato, non per convinzione, ma per sopravvivenza​.

La scelta politica è subordinata alla fedeltà identitaria. Lo si vede bene in UK o in Francia, dove immigrati di seconda generazione e con visioni tradizionali del mondo (islamico), votano a sinistra. E intanto in Australia…

Via telegram

In Italia è la famiglia a determinare il voto, per affinità o contrasto. 

Questa visione tratteggia un sistema primitivo, ma profondamente umano.
Ed è letteralmente così.

Dobbiamo smettere di fingere di credere che il voto sia questione di razionalità. Lo scontro identitario è il motore della democrazia del futuro (che presto sarà il presente). Dobbiamo smettere di votare per chi ci rappresenta politicamente, ma iniziare a farlo per chi ci definisce identitariamente. Solo così si può prospettare un futuro migliore. Più le frammentazioni andranno avanti, più i gruppi identitari potranno riconoscersi, più lo scontro sarà esplicito.

La guerra è guerra, e non cambia mai…

L’illusione della democrazia come la conosciamo è bene che finisca, perché illudersi di essere liberi è peggio che ribellarsi da schiavi. Bisogna accelerare le polarizzazioni. Accentuare lo scontro porterà solo benefici: cementificherà i gruppi già esistenti, chi pensa di essere immune si renderà conto che non lo è, le zone grigie si coloreranno di questo o quel colore politico, ogni identità tenterà la sua via e avrà margine di manovra sociopolitico in quanto sarà proprio lo scontro aperto a rimettere in discussione gli equilibri di potere vigenti e dare la possibilità di stabilire un nuovo ordine, realmente democratico. Tutto questo dipende anche dalla prossima elezione americana, fra meno di un mese. Kamala o Trump, chiunque vincerà sarà guerra. Si spera civile.

Come sempre la vera democrazia, quella che sogniamo, è stata applicata solo all’inizio. Come i cristiani che vogliono imitare i primi cristiani, così oggi bisogna difendere quella forma di governo per un ristretto gruppo di persone che alzano la mano e decidono come organizzare la loro società.

Prima di votare guardati dentro, non fuori. Vota per te stesso, o meglio, vota per la tua tribù​.

Le elezioni, i dibattiti, le urne elettorali? Tutto questo è inutile. Le urne elettorali sono diventate le urne funerarie del sistema.

L’identity politics salverà la democrazia. Non quella che conosciamo. Ma quella che verrà.

1
BRUCIARE LE POSTE
2
Intervista a Tempio Industriale
3
ODE ALLA TOVAGLIA
4
HANGOVER CONTINENTALE
5
MEGA AEROPORTO CHIARA FERRAGNI

Gruppo MAGOG

Halloweed, Hallowdrink, Hallowhat? Crisi della tradizione e rifondazione cultu(r)ale di Allouìn 
Schizoletteratura

Halloweed, Hallowdrink, Hallowhat? Crisi della tradizione e rifondazione cultu(r)ale di Allouìn 

Halloween ogni anno, Halloweed, Hallowhat? Dobbiamo riprenderci l'origine pagana della festività. Fanculo Lutero.
1 anno
SANREMO: CLASSIFICA OUTFIT E NON SOLO
Monografie

SANREMO: CLASSIFICA OUTFIT E NON SOLO

Sanremo è finito, ed è arrivato il momento del bilancio Blast.
2 anni
Mangiatori di Sigarette
Schizoletteratura

Mangiatori di Sigarette

Sigarette: ci sono varie marche, ma chi ne sa: di solito tutte hanno tanto catrame entro. Come la Brianza. Trovate un senso a questo estratto conto.
2 anni
La mia vita vale 2€
Schizoletteratura

La mia vita vale 2€

La mia vita vale due euro. Quanto due patatine del bar, due Estathè, due espresso, quattro ghiaccioli, un gelato con resto, un cornetto salato. Ma anche un gratta e vinci, uno molto particolare.
3 anni
TAURO BOYS
Monografie

TAURO BOYS

La Tauro è nostra. Sì, sono dei romantici reazionari come piace a noi e sono loro tra le punte della musica contemporanea nell'italiosfera.
3 anni