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ELON MUSK ACCELERAZIONISTA DI SINISTRA

Forse non l'avevate capito, eppure è così.

ELON MUSK ACCELERAZIONISTA DI SINISTRA
Lettura zostile
Energie pulite e la colonizzazione di Marte la promessa più elevata della modernità progressista: ora pare si sia ribaltato tutto.

«Reazionario», omofobo, complottista, fascista, conservatore, destrorso.

Eppure, negli anni Dieci del millennio corrente, ci raccontavano una storia diversa: lo stesso soggetto veniva descritto come un genio tecno-utopico, l’ultimo figlio degno di Prometeo. Elon Musk, l’imprenditore di origini sudafricane aveva incendiato l’immaginario collettivo con un cocktail di innovazione tecno-progressista e ottimismo, che sembrava fare da contraltare alle ambizioni dei boomer tecnofobi e dei conservatori repubblicani. Musk vendeva (e vende ancora) il futuro.

La visione di un mondo alimentato da energie pulite e la colonizzazione di Marte sembravano incarnare la promessa più elevata della modernità progressista. Grazie a SpaceX, Musk ha permesso agli Stati Uniti d’America di conservare il primato della navigazione nello spazio, altrimenti sarebbero stati detronizzati dalla Cina.

Ora pare si sia ribaltato tutto.

Undici anni fa, nel 2013, due filosofi di area accelerazionista, Alex Williams e Nick Srnicek, pubblicarono il Manifesto accelerazionista, proponendo una visione che sfrutti le potenzialità tecnologiche ed economiche del capitalismo per superarne i limiti.

Nel Manifesto, Williams e Srnicek attaccano una sinistra ancora prigioniera di gesti anacronistici, una sinistra nostalgica, che utilizza sistemi di lotta fuori dalla modernità non comprendendo il più grande insegnamento di Karl Marx: proporre una visione del futuro che utilizzi il massimo della modernità e dell’innovazione tecnologica. Dai sit-in di Occupy Wall Street ai canti di Bella Ciao su TikTok, si vede invece solo stasi, nostalgismo, passatismo.

Niente visioni, niente strategie. Non un progetto per deviare l’accelerazione capitalista verso un oltre emancipatorio. Il Manifesto, le cui teorie vennero poi approfondite in un lungo saggio Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro (2018), si poneva il compito di colmare questo vuoto: Williams e Srnicek vedono l’automazione non come l’ennesima mannaia sul lavoro umano, ma come una potenziale leva emancipatrice.

Automatizzare non significa annichilire l’umano, bensì liberarlo da mansioni ripetitive, alienanti, e precarie.

Ma questa liberazione non è ‘automatica’ (nonostante il gioco di parole): richiede una politica che redistribuisca i benefici dell’automazione, entrerebbe in gioco un alto Reddito universale, architrave per un futuro post-lavoro che permetta a tutti di vivere degnamente anche senza mai lavorare.

Nel saggio viene inoltre specificato (e questo è un punto centrale) che determinate misure non devono essere lette come meramente utopistiche, anzi, saranno sempre più necessarie. L’automazione crescente nel mondo del tardo capitalismo accelera verso la totale o quasi totale automazione, quindi ci sarà sempre meno bisogno di capitale umano per andare avanti.

Al World Government Summit del 2017 Elon Musk ha sostenuto la stessa tesi: la crescente automazione nel mondo della produzione, dei mercati e dei servizi, necessita una risposta sociale per i posti di lavoro perduti: un reddito universale.

In un’intervista a Joe Rogan del 2020, Musk ha approfondito il tema della disoccupazione tecnologica, sostenendo che bisogna investire in soluzioni per una transizione post-lavorativa. Alla Code Conference del 2021, Musk ha sottolineato come gli aspetti rivoluzionari dell’AI annunciano che il mondo deve prepararsi a società «senza lavoro tradizionale».

Quest’anno, alla Viva Technology Conference a Parigi, Musk ha ribadito la sua convinzione che l’intelligenza artificiale sostituirà la necessità di lavori umani, portando a un futuro con un «reddito universale elevato»:

«In a benign scenario, probably none of us will have a job,” Musk replied. “There will be universal high income — and not universal basic income — universal high income. There’ll be no shortage of goods or services»

Ma non è l’unico punto di contatto che Musk detiene con alcuni obiettivi dell’accelerazionismo di sinistra. Contrariamente alle visioni (ridicole) che promuovono un ritorno alla semplicità, alla decrescita, a folkloristiche riconciliazioni con la natura che mai ci saranno se non a livelli ultramacchiettistici, il Manifesto accelerazionista sostiene che è necessario accelerare lo sviluppo tecnologico, indirizzandolo verso una soluzione di problemi globali come il cambiamento climatico.

Le tecnologie verdi, come le energie rinnovabili avanzate, la geoingegneria e i sistemi di gestione delle risorse, devono essere sviluppate e adottate su vasta scala. Il progetto Tesla si inserisce certamente in questa visione (anche se, secondo il manifesto, queste tecnologie devono essere rese un bene comune e non controllate esclusivamente dal capitale privato). Dopo che Trump annunciò il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, Musk dichiarò su Twitter:

«Lascerò i consigli presidenziali. Il cambiamento climatico è reale. Lasciare Parigi non è positivo per l’America o per il mondo».

Era appunto il periodo dell’Elon Musk benevolo e filantropo, un Georges Soros all’ennesima potenza. Guardate come ne parlava il quotidiano Repubblica nel 2017:

«Lo definiscono il Tony Stark della vita reale, e per certi versi Elon Musk è un Iron Man che ha rimpiazzato l’armatura con una scorza personale durissima e una determinazione ferrea»

ed è definito nell’occhiello «un genio visionario, ma soprattutto un vero stakanovista»

Provate a smanettare anche altri articoli di quel periodo: si scriveva sta roba. What a hero! Elon Musk is Iron Man!

Repubblica, Domani, Corsera e i suoi imitatori hanno presentato per anni Elon Musk come un innovatore audace e visionario, capace di proporre soluzioni avveniristiche e di prendere posizioni ferme su questioni globali, come la crisi climatica o come quando si oppose ai progetti per la creazione di soldati robot.

Repubblica, Domani, Corsera e imitatori hanno elogiato e menzionato quando attaccò Trump per aver fatto ritirare gli USA dagli accordi di Parigi sul clima. Oggi invece Repubblica, Domani, Corsera e imitatori ci consegnano un altro Musk, la cui descrizione coincide con l’inizio di questo articolo. Gli stessi giornali che pochi anni fa, quando era dalla parte giusta della storia e finanziava il Partito Democratico, ce lo presentavano con toni avveniristici oggi lo reputano un individuo pericoloso per la libertà dell’umanità (come lo è chiunque detenga il 90% della ricchezza mondiale).

Musk li avrebbe illusi, traditi: come il mitico Arminio a Teutoburgo nel 9 d.C., è passato dalla parte dei barbari contro l’impero. Ha appoggiato Trump, lo ha finanziato, sponsorizzato e gli ha fatto vincere le elezioni: lo ha fatto apertamente, sinceramente, platealmente, passionalmente.

Non come Zuckerberg o Bezos, che non li senti mai e te li immagini nei loro bunker sotterranei a cospirare contro l’umanità (cosa che fanno realmente). No, Musk si butta, cospira all’aperto, scende nel campo politico, gioca a perdere vincendo. Ha opinioni su tutto. Dai tweet geopolitici sulla guerra in Ucraina con le sue proposte di pace a quelli su un futuro postlavorista, Musk non gioca nel silenzio degli algoritmi: è sul palco, lì davanti, sempre live.

L’ormai “ex-filantropo” Musk sembrerebbe mettere a repentaglio anche la sovranità dell’Italia, sempre secondo Repubblica, Domani, Corsera e imitatori, quando ha sostenuto che non siamo un paese democratico e sovrano, perché nelle mani dell’oligarchia dei giudici dalle toghe rosse, generando un certo imbarazzo nel governo che ha preferito la via del silenzio a testa bassa. Mattarella ha sbagliato. Ma non ha sbagliato perché ha risposto (sarebbe onesto lo facesse anche in altre occasioni, in cui anche lui sceglie la via del silenzio a testa bassa), ha sbagliato il contenuto della sua risposta, perché avrebbe dovuto replicare:

«È vero Elon, hai ragione, non siamo un Paese sovrano perché gli Stati Uniti d’America ci trattano come una colonia da ottant’anni, non ci permettono di avere una nostra politica energetica, una nostra politica estera, una diversa politica economica, non ci permettono di avere una politica autenticamente italiana: ora andate a fare in culo».

Ma un certo coraggio non appartiene alle istituzioni: è troppo fuori dal copione che viene loro assegnato.

Siccome al patetico non c’è mai fine, dopo l’elezione di Trump si è messa in moto una pseudo campagna di sabotaggio della piattaforma X, di cui Musk è CEO dallo scorso anno. Immaginate questa Grande Fuga: politici, giornalisti, star e le loro ombre pixelate si ritirano dall’orbita tossica di X, ormai il simbolo di un’accelerazione fuori controllo.

The Guardian suona la campana della ritirata, dichiarando:

«Musk manipola il discorso politico, rendendo la piattaforma un ricettacolo di odio».

Così lo scenario si popola di disertori, da Jamie Lee Curtis all’Eurodeputato Ruotolo, tra un Piero Pelù ribelle e un bolscevico Elio delle Storie Tese, fino alle società di calcio come il St. Pauli. X diventa il nemico pubblico perfetto, bersaglio di un’élite liberale che, ironia della sorte, si auto-assolve dimenticando che gli stessi vizi infestano anche le loro roccaforti.

Questa estate, Mark Zuckerberg, CEO di Meta, inviò una lettera aperta (il giorno dopo l’arresto del fondatore di Telegram Pavel Durov) alla commissione giudiziaria della Camera statunitense rivelando la pervasività delle pressioni esercitate dalla Casa Bianca su Meta durante la pandemia, tese a sollecitare la censura di contenuti dissenzienti, incluse forme di satira.

Zuckerberg, manifestando un tardivo pentimento, ha riconosciuto l’erroneità di alcune scelte operate dalla piattaforma, sottolineando come l’influenza politica abbia compromesso l’autonomia decisionale dell’azienda. Un esempio emblematico riguarda la segnalazione da parte dell’FBI di una presunta campagna di disinformazione russa, che ha determinato la censura temporanea di un articolo del New York Post sulle attività di Hunter Biden, poi rivelatosi autentico.

La lettera delinea, così, il delicato equilibrio tra autonomia delle piattaforme digitali e pressioni istituzionali. Facebook, Instagram e Threads sono spesso accusate di censurare contenuti scomodi, mentre TikTok e YouTube vengono denunciati per permettere la diffusione dei video di abusi contro la popolazione palestinese. E chi oggi ha disertato X non ha scritto due righe di indignazione. Siete ridicoli.

Che dire, dunque, di Elon Musk?

Siamo di fronte all’incarnazione umana di una certa teoria della complessità? Sulla base di quale teoria socio-antropologica va giudicato l’uomo più ricco del mondo?

Non bastano il marxismo né la scuola di Chicago, né i pensatori dell’accelerazione o del neoliberismo. Musk non è una figura da inserire in categorie preconfezionate: è un punto di rottura. Il CEO di tutto, l’uomo che vuole traghettare l’umanità oltre i suoi limiti biologici, energetici e terrestri.

Questo tizio vuole portarci su Marte, non perché la Terra è andata, ma perché si è stufato dei limiti di quest’ultima. Vuole traghettarci, come un Caronte, nel postumanesimo tecnofeudale, un mondo di caste algoritmiche, il colpo di coda degli ultimi residui dell’umanesimo rinascimentale, dove le risorse sono ottimizzate, l’energia ‘pulita’, e tu sei felice di lavorare zero ore a settimana grazie al suo Reddito Universale.

Vuole la transizione eco-energetica totale, ma senza apparire greenpeace-hipster: no, qua si gioca pesante, Tesla e solar roof per tutti. Il tutto mentre ci dice che la cultura woke è un bug di sistema da correggere, e ti snocciola la questione immigrazione in modalità trumpista, con meno muri e più firewall.

Fate figli, dice Musk: che lo facciate alla vecchia maniera o a quella nuova non importa. Ha pure preso in mano il DOGE (Department of Government Efficiency), e non per scherzo: qua si parla di rendere i governi efficienti come una server farm, mentre noi ci scanneremo per capire se questa è la fine del concetto di Stato o solo un’altra distopia vendutaci dal progresso con un sorriso.

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