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Lady Dorothy e l’utero Matrice

Lady Dorothy e l’utero Matrice
Dorothy Wellesley si racconta con il libro Matrix, edito da Pangea, questa la nostra visione della Matrice.

Per fare poesia bisogna essere schizzati. Si deve avere la bussola di Jack Sparrow, che punta a ciò che più si ama. La nostra bussola, da sempre, punta solo a una cosa: la Matrice.

Per Dorothy Wellesley la matrice è un utero.

La mente è un utero.
Una matrice, la mente matrice
dell’umanità intera

Scrive così. La mente è una casa in fiamme. Concordiamo. La Matrice – la nostra – è davvero una casa in fiamme. I lapilli sono le spade retrattili che affiliamo e nascondiamo, in attesa di sguainarle nel momento adatto. 

Dorothy Wellesley nasce nel 1889 a Maidenhead, nel Berkshire. William Butler Yeats, irlandese, che di poesia ci capiva qualcosa, la include nella sua ambiziosa e immensa antologia della poesia inglese.

Le dà più spazio perfino di T.S. Eliot, l’autore di The Waste Land e di Four Quartets. Una scelta discussissima che tradisce una fascinazione travolgente per questa poetessa aristocratica. Sposò il duca di Wellington e fu, così, anche lei nobile.

Nobile lella.

Lasciò il marito per una donna, Vita Sackville-West. Si direbbe proprio che andò verso la vita

A questa poetessa di fuoco e stalattite, Wikipedia Italia non dedica neanche una pagina. Mai pubblicata qui, da noi, dove la poesia è atrocità contro natura. Forse perché non rispecchia, pur nella sua libertà sessuale, il regime arcobaleno.

Da noi è troppo leggere questi versi scolpiti nella pietra, incisi nelle arterie:

IV
La mente dell’uomo si plasma di notte.
Il solido e il debole, il neutro
e il raffinato: sperma, oncia di tempo.
Destini vili o superbi
coagulo di dolore e oscurità:
per tornare alla luce devi spezzare la sofferenza. 
Non il travaglio ma lo spasmo è il genio
del parto; miliare, impetuoso, il tuo:
Storia ideata nello spasmo,
vite pressate nel fango e nel plasma,
non è opera anche questa?
L’anima non si rinnova 
nel pianto di un bambino
(…)
(da “Matrix”)

A pubblicare per prima in Italia questa profetessa di sale è MAGOG. Il volumetto, come sempre ben curato, presenta una particolarità ulteriore. Dalla copertina al fondo del libro, ogni pagina è forata. Un vortice che va stringendosi, come i mulinelli del Po, che risucchiano gli improvvidi. In fondo, un teschiolino, disegnato da Angelo Borghese, appena appena visibile.

Avventurarsi in questo libro è una catabasi. Un sentiero scosceso e scivoloso, la terra frana sotto i piedi, la pagina si infrange. Ogni pagina è più claustrofobica di quella precedente. 

“Matrix”, si intitola il libello, prendendo spunto dall’omonimo poemetto della Wellesley, posto nelle prime pagine e pubblicato, ai tempi, dai coniugi Woolf. Il poemetto si apre con un incipit che è una visione al limite del desertico:

I
Si staccarono i polpastrelli:
le dita non avevano artigli, allora,
le mani arrancarono al seno,
le nocche mi tirarono di lato,
sapevo che qualcosa di molto
antico nel cuore dell’uomo era morto.

Tutto giace sotto le foglie, le foglie della vita

Nel poemetto, “gli uomini dormono profondamente”, cercano la quiete. “Il bambino è spesso sugli alberi”. Mi corre un brivido sulla schiena. Rifletto sulla mia natura morta. 

Distruggi, incenerisci,
Madre, le vie del ritorno
degli uomini!

(“Matrix”, X)

Allora è vero che l’uomo, nascendo, perde la luce. L’anima in esilio. Il grembo materno è la Matrice di tutto. L’origine e la fine. L’Alpha e l’Omega. Guai ad accostare questa poetessa infinita agli slogan rosei delle orde femministe.

La corona
La corona di spine è nota:
cresta centrale di una rosa
da petali interfogliati
profumo e morte per vivere,
o vivere per morire – Dio comanda,
questa è la passione della rosa.

Altro che la salottiera aristocratica e dedita alla fascinazione saffica e licenziosa. Lady Dorothy frequenta le dune del deserto, interroga gli oracoli, rifiuta la Tentazione.

Pozzi nel deserto
Ho battuto terre estreme, dove l’orzo selvatico
il frumento incolto,
e l’erica silvestre color del fuoco
adornano i pozzi del deserto. Lì la luce germoglia
al buio,
come acqua di sorgente, campane foderano il cielo;
li ho sentiti gorgogliare, sibillini, l’acqua e le campane,
tra i ruderi, nel deserto, remoti nelle lande abbandonate,
l’acqua come musica, la musica liscia come l’acqua.

Qua non ci sono alternative. Non c’è la pillola blu o la pillola rossa. Non c’è l’illusione opposta alla realtà.

Lady Dorothy ci indica l’Origine di tutto, ci obbliga a dialogare con l’arché, e a rimanerne travolti, maciullati, spiazzati. Non abbiamo più parole, vogliamo solo tornare bambini, e vagare giocosi nei prati. O, meglio ancora, tornare feti, nel grembo della madre, nuotare nella placenta, trovare la luce nell’origine. 

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