Un lenzuolo, un pezzo di stoffa steso sopra un tavolo, il bisogno di coprire il desco nudo, il bisogno di celebrare la propria eucarestia quotidiana, il bisogno fisico che diventa un rito, un gesto antico quanto l’uomo
che diventa preghiera.
Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei, e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta. In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
Vangelo secondo Giovanni 1:1-14
Quanto diamo per scontato l’atto di emettere suoni per esprimere un concetto? Eppure, le parole
, la lingua, definiscono lo spazio mentale entro cui ci muoviamo, in cui interpretiamo quello che accade intorno a noi. Noi siamo la parola.
Allo stesso modo, mangiare definisce la nostra materia
: noi siamo quello che mangiamo. Ma questa è una constatazione alquanto scontata, roba da zia boomer a cui glielo si perdona solo per il suo essere più o meno milf; voglio pertanto porre l’accento sulla sacralità dell’atto del mangiare.
Infatti non è un caso che nei non-luoghi senz’anima che oggi chiamiamo metropoli, ci si prenda sì e no mezz’ora per pranzare e il cibo sia ridotto
, quando va bene, a un tramezzino e, quando va male, a una ciotola in plastica con dentro qualche foglia verde, anche quella di plastica a giudicare dal gusto. Fa eccezione ovviamente il gymbro che puntualmente si concederà un petto di pollo di polistirolo con un po’ di basmati senza sale che sembra di mangiare segatura.
C’è del sacro in questo modo di mangiare? No.
Non stupisce pertanto che non ci sia spazio per la tovaglia nelle nuove “osterie”. Non c’è ritualità
, non c’è cultura, non c’è cibo. Cosa c’è da festeggiare? Niente. Allora la tovaglia, vestito ultimo della dignità del disnare, è superflua. Anzi, è un costo, meglio la tovaglietta color senape
che costa meno, e quasi quasi neanche quella.
Quello che sarebbe stato impensabile una generazione fa è diventato normalità, e ovviamente, l’epidemia di nudismo gastronomico è partita da Milano: anticipatrice come sempre delle peggiori usanze prese dall’estero.
Non nascondiamoci dietro al dito dell’innovazione, della modernità: l’eliminazione della tovaglia è regresso culturale
, sono i barbari che premono sui confini dell’impero. Siamo latini e mangiamo con la tovaglia, lasciamo ai barbari il mangiare su un tronco nudo (come abitudine di chi fino a ieri viveva nei boschi).
Servire un fegato alla veneziana o un risotto alla milanese senza la tovaglia della trattoria fuori porta, equivale a mangiare quando si ha il raffreddore: non c’è gusto e passa la voglia
. Una pasta coi ceci, un piatto di pici all’aglione, un abbacchio senza il tovagliolo di stoffa con cui pulirsi la bocca dall’unto: una scopata senza coito.
Lasciatemi morire di fame.
Tornassero in provincia gli innovatori, nell’Italia profonda
, lì dove la trattoria ha un santino del duce o di Togliatti in entrata, dove l’italiano è bandito e dove si trovano sempre i funghi raccolti in giornata quando è stagione. Facessero un erasmus al contrario: per chiudere la mente, non per aprirla e farci entrare qualsiasi stronzata
. Abbandonare la tovaglia è solo il primo passo che porta a fare la carbonara con la panna e la noce moscata.
Irritazioni e schizoprospettive
sulla carbonara a parte (sono padano-prealpino e la faccio col grana per cui non sono esente da critiche), dopo due mesi in Francia ho sentito il bisogno fisico di scrivere questo articolo. La degenerazione culinaria di questo Paese è tangibile, tant’è che trovare un ristorante dove mangiare cucina tipica a un prezzo onesto è pressoché impossibile, non avrei mai pensato di dirlo MA: per fortuna hanno arabi e sudamericani che bilanciano con la loro cucina la qualità ormai sepolta della cucina francese popolare.
Probabilmente questa constatazione l’avrei fatta anche se avessi trovato l’osteria francese gallolatina con la tovaglia e prezzi onesti… Come si fa a mangiare grasso d’anatra puro? E vogliamo parlare delle patate affogate nella panna e messe in forno? – e non lo dico perché dopo due minuti dall’aver mangiato tale gratin ho driftato il cesso
.-
ABBANDONO DELLA TOVAGLIA = DEGENERAZIONE
E sì che in fatto di buone maniere i francesi hanno fatto scuola, forse sbaglio (e sbagliamo) a interpretarlo come un popolo monolitico, forse le differenze tra regioni e classi sociali sono più marcate che nella provincia italiana, dove non è raro trovare l’uomo d’affari che mangia nella stessa trattoria dove mangiano l’idraulico o il giardiniere, forse, semplicemente, i francesi sono barbari e sto solo cercando di difenderli.
Ma se Jean de Joinville – come ci insegna il professor Barbero – sentiva il bisogno di avere il tavolo apparecchiato con una tovaglia bianca anche durante un assedio in Terra Santa, perché noi non dovremmo sentirne il bisogno quando andiamo fuori a cena? Ci stiamo forse imbarbarendo?
Dall’abbandonare la tovaglia a mangiare carne sintetica il passo è brevissimo…
INDUSTRIALIZZAZIONE DEL CIBO = INDUSTRIALIZZAZIONE DEL SERVIZIO
Sia chiaro, i ristoratori sono una razza a sé, sono l’archetipo del piccolo (piccolissimo) borghese italiano, il piangi morto per definizione assieme al contadino: gli articoli sui giornali si sprecano, non si trovano camerieri, non si trovano schiavi, non si trova gente che ha voglia di lavorare.
Sono tutte e tre vere, scegliete voi quale pesa di più
dopo aver fatto il cameriere per diverso tempo posso sbilanciarmi sull’ultima, a malincuore. Queste affermazioni rispecchiano la visione maggioritaria della categoria, che è poi il motivo per cui oggi la tovaglia è a rischio di estinzione: l’importante è il cibo
.
E voi mi direte, cosa c’è di sbagliato?
E forse questo vi rende parte del problema, parte di quel mondo che vuole sbarazzarsi della tovaglia come ha fatto con Dio.
L’importante è il cibo e il servizio.
Il servizio è sempre dimenticato, bistrattato, in fin dei conti è un costo più che un servizio. Ecco che le “””osterie”””
iniziano a non fare il servizio al tavolo, ecco che sparisce anche la tovaglietta, ecco che la cultura del cibo sublima e svanisce, dimenticata da avventori e innovatori (veri o presunti).
In questo contesto il cameriere è solo un costo, e la tovaglia segue a ruota.
Non si può pretendere di pagare un caposala più del novizio, al più gli si può dare una mancetta a nero
, non si può spendere 2,60 euro per lavare un set completo di tovaglia* (1 euro), coprimacchia (80 centesimi) e 4 tovaglioli (20 centesimi l’uno); molto meglio tovaglietta e tovagliolo di carta (50 centesimi e siamo apposto).
Sia chiaro
come già sostenuto in un altro articolo, il ristoratore è imprenditore e certi conti dovrà pur farseli, ma siamo sicuri che abbracciare questa tendenza non sia come voler competere con gli indiani su chi ha la manodopera a più basso costo?
*ovviamente non viene lavata ogni volta, ma ogni una o due settimane
Per essere tendenziosi e fare i conti in tasca ai ristoratori, verrebbe poi da chiedersi se risparmiare un euro e mezzo sia necessario per stare in piedi
o se sia l’ennesima mossa meschina e avara del piccolo borghese che piangendo il morto chiede 3 euro per il coperto.
La guerriglia culturale riparta dalla tavola! Boicottate i posti senza tovaglia e portate nello zaino sempre una tovaglia e dei tovaglioli di stoffa confezionati a mo’ di granata! Abbandonate il pasto precotto o l’insalatona triste preconfezionata! Andate dai kebabbari per pranzo diffondendo il Verbo della Tovaglia! Boicottate quei posti dove non c’è una tovaglia per l’ospite, dove non c’è un cameriere, dove non sei cliente ma utente. La tovaglia è la nostra cultura culinaria e noi non siamo disposti, tra tovagliette e foodporn, ad abbandonarla.