Sanremo 2025 è Cuccolandia

A Sanremo noon sta succedendo niente

Sanremo 2025 è Cuccolandia
Lettura boomer
Il belloccio con il pornobaffo vince il festival al posto del ragazzo magrolino e sfigatello. L’ipergamia vince anche in TV.

Anche quest’anno SanRemo è terminato. La parabola di rilancio degli ultimi anni ha avuto il suo culmine questa settimana, con ascolti sopra ogni record, grazie alla conduzione del presentatore più Chud d’Italia: Carlo Conti. Il negrosso ha portato al centro la musica, niente più monologhi, niente più scenette per creare lo scandalo del mese, qualcuno ha pensato ad un intervento diretto di Giorgia, ma più verosimilmente è solo il primo Sanremo di Trump 2. Dunque, sobrietà e professionalità anche se con un pizzico di amarezza per la scelta di escludere dal Festivàl la Fuckyourclique. Ci dispiace Carlo, ma ora e sempre #FREESBORRA.

Da non dimenticare è la sigla iniziale del festival, in stile Eurodance (perfettamente in linea la maggior parte dei Tiktok/reel politici che si trovano), una nuova Figli di Pitagora? Forse, ma sicuramente ci teniamo il monito “lasciateci ballare”, un palese riferimento di dissenso al decreto anti-rave e “con il bicchiere in mano”, riferimento di contestazione al nuovo codice della strada. Gabry Ponte manda un messaggio politico, la destra di governo non dovrebbe occuparsi di queste stupidaggini, ma fare come il “santissimo Craxi”.

Altra nota molto positiva è la regia, che con effetti e inquadrature ad hoc fa risaltare il carattere di ogni canzone. In particolare è giusto menzionare Clara, che regala un glitch in Eurovisione:

Tra le scelte infelici ricordiamo la triplice esibizione di Cristiano De André con Bresh. Quest’anno la quota De André se la prende il genoano e non il Doriano. Per carità, canzone incomprensibile, apprezzata dagli amanti di Faber, ma odiata da tutti gli altri e, per questo, sabotata dalla kermesse. Se la voleste riascoltare ancora una volta, ecco a voi:

Proprio perché stecchetti e sfracassamenti vari non ne vogliamo, i pochi che riescono ad infrangere il muro di serietà sono ricordati con piacere. È il caso del Teatro Patologico, che prova letteralmente a far esplodere il festival di Conti, ma alla fine si scopre che la bomba era finta, nel sommo dispiacere del pubblico dell’Ariston e degli spettatori da casa che guardano attoniti alla performance.

Carlo è implacabile, ogni artista viene chiamato con una freddezza e dall’esperienza, anche se alcuni presentatori mostrano le loro carenze linguistiche (è il caso di Mahmood, che ancora sta imparando la lingua, dimostrandosi un vero ex-colonizzato francese). Tutto è preciso e puntuale, addirittura qualche minuto in anticipo!

Il DNA italiano è troppo forte e sul Palco di Sanremo non ci sono cumcettine come Giorgia e Annalisa (che giustamente vincono la sera delle cover), ma anche i chaddini, come Tony Effe, abbandonano le maschere per provare a cantare. Tony è scarsissimo, ma ha tutto l’appoggio dei piskelletti dark che lo seguono dal giorno 0 e che sognavano questo momento.

Tony, però, per favore: la prossima volta non ti abbassare ad una ballad-stornello romano-romantico, non fare il Califano scarso, ma porta la trap sull’Ariston, perché è quello che ti riesce meglio.

E poi, sii meno timido e non avere paura di mostrare le tue passioni monarchiche, sappiamo che vuoi essere il Re di Roma.

Un’altra nota dolente è il pezzo di Shablo feat. Guè (GHÈ), Joshua e Tormento, che anziché “La mia parola” avrebbe potuto chiamarsi “È una street song”. Nonostante i toni entusiastici di Rapteratura, c’è da dire che questa è una pagina buia dell’HH italiano che si piega a dinamiche che non gli appartengono, dando una pessima rappresentazione di sé.

Certo, durante la serata cover Neffa ci ha provato, ma in generale, almeno per noi, i tempi non sono ancora maturi.

Cristicchi, invece, si riconferma il cantore della destra.

Il sondaggio su Libero parla chiaro, già lo si conosceva per lo spettacolo sulle foibe, ma possiamo dirlo: quale boomer non ha la madre con l’Alzheimer da accudire? La poesia è bellissima, lo riconosciamo, ma è anche ovvio che dietro ci sia una scelta politica. La destra istituzionale ha scelto definitivamente lui, lasciando per sempre nell’ombra Marcella Bella, arrivata ultima, nonostante la candidatura con Alleanza Nazionale nel 2004. Forse un ulteriore sintomo della nuova Trump Era e del rinnovamento delle destre.

E la sinistra? Va a casa con un onorevolissimo terzo posto con Brunori Sas, esponente tipico della famiglia felice, che dedica la canzone alla figlia. L’essere genitori implica anche mettersi da parte e lasciare andare avanti i giovani e così fa Brunori con Lucio Corsi.

Qui arriviamo al punto, la lotta finale tra Olly e Lucio. Ci sono due modi per vedere questa sfida, la prima con una lente politica e la seconda con una lente estetica.

Da una parte abbiamo Lucio Corsi, cantore della fragilità con il suo “Volevo essere un duro”, un po’ buonista con le patatine nelle ali dell’abito che si è ricamato, ma che duetta con Topo Gigio (ricordiamo che il primo a deuttare con Topo Gigio è stato Lundini, comico notoriamente apprezzato dall’estrema destra).

Qualcuno pensa che Lucio Corsi si sia dipinto di bianco il volto per imitare un pagliaccio, in linea con il contenuto della sua canzone, quando è palesemente una WhiteFace per prendere in giro la perenne blackface di Carlo Conti e mettere in guardia dal nuovo woke. Molti hanno eletto Lucio Corsi a loro paladino, senza dimenticare la levantina Joan Thiele che ci ricorda cosa succede in Medio Oriente.

Dall’altra parte Olly, ragazzo che canta “Balorda Nostalgia”. R moscia da aristocratico, usa un aggettivo vetusto per descrivere la nostalgia, tipico sentimento della destra, e tifoso della Sampdoria (a testimoniare la sua simpatia per i vinti della storia). La nostalgia di Olly è balorda, perché lui vuole ancora amare (ricordiamo come M non chiede, lui vuole) e alla fine ce la fa.

Mentre la sinistra radical chic milanese vieta le sigarette, Olly ascolta i consigli delle vecchie tabagiste del quarto piano e fuma per festeggiare la vittoria.

🔥 Blastide ad Honorem. 🔥

Ma allo stesso tempo Sanremo è Cuccolandia, poco da fare. Olly ha vinto per un 0,4%. Grazie a quelli che hanno votato con una mano al telefono e l’altra dove si sa, di quell* che quando chiedono cosa gli è piaciuto di più della canzone rispondono: i bicipiti. Poteva forse vincere quell’ingollumito di Lucio Corsi? No. L’Italia è Cuccolandia, dove il belloccio con il pornobaffo vince il festival al posto del ragazzo magrolino e sfigatello. Chi è quello 0,4%? A voi la parola, l’ipergamia vince anche in TV.

Menzione speciale a Fedez

Colui che meritava davvero di vincere con la canzone più bella in gara. Ma schiacciato dal sistema. Fedez è la vera nemesi di Lucio Corsi. Un cuore spezzato con gli occhi neri contro il bravo ragazzo che non è scomodo. Fedez era palesemente il personaggio più ingombrante di questa kermesse.

Corona aveva predetto la sua vittoria, ha puntato un faro gigantesco su di lui in queste settimane, grazie a Falsissimo, e il sistema Rai, invidioso, ha impedito la vittoria del rapper.

Non solo, è proprio Fedez che aveva preparato la cover con i nostrissimi Fuckyourclique, per poi essere censurato e riciclarsi in una cover con Masini, Bella Stronza (tra l’altro l’unica cover della serata rivisitata nello stile di chi la cantava). E anche qui, ogni riferimento alle vicissitudini personali non è casuale ed è giusto così! Perché noi vogliamo vedere veramente chi sei.

Questo è il grande enigma di Fedez, quello che lo rende così interessante, il motivo per il quale gli sequestrano il telefono. Fedez sarà uno stronzo, narcisista, pezzo, a rischio suicidio, ma è sincero. Il villain arc è completo, dieci anni fa con Magnifico (con la Michelin) e ora con Battito ha preso anche lui, infine, la blackpill.

Merita il premio Blast.

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