Israele
ROMA, XX/XX/2025
Matteo e Luca si guardano. Ci sono riusciti. Il ponte s’ha da fare.
Ma i terun il popolo è arrabbiato. Non trusta il plan. Gli italiani sono contrari. Memano.
Il tunnel è crollato per colpa del siculo kaiju Cariddi.
Ghe pensi mi un par di ball.
“Non doveva andare così, terroni di merda” dice Matteo. Ha lavorato sodo per arrivare a questo punto. Lo ripagano così? Cosa fare adesso?
“Ministro…” dice Luca, la voce tremante mentre guarda l’iPhone. Paura? No forse è solo un’erezione.
Luca gira il telefono verso Matteo. Una chiamata in entrata.
Loro.
Marketing e propaganda politica sono considerati diversi, ma sul piano pratico sono la stessa merda. Fondendo propaganda e marketing, bullshit job capitalista per eccellenza, otterrete il temuto Megazord “Marketing Politico”, arte delle puttanate politico-commerciali.
Tale bestia infernale viene usata da tutti. L’esempio più impressionante: Israele. Ha masterato questa materia e con essa plasmerà il mondo.
Israele ha capitalizzato in maniera mai fatta prima gli eventi del nexus point Seconda Guerra Mondiale.
Ha reso il genocidio ebraico componente unica e assoluta dell’identità del moderno stato ebraico, una victim card inaffondabile grazie alla sensibilità occidentale (senso di colpa), trasformandola in brand identity.
Ha creato una narrativa in cui nonostante riceva soldi e armi dagli USA, è la vittima, e deve quindi essere protetta ad ogni costo. Un bravo marketing manager sa prevedere gli attacchi al brand e ridurne l’impatto, uno migliore sa come impedirli del tutto: revisionismo, accuse di antisemitismo con cui attaccare l’altro prima che lo faccia lui e, tecnica politica per eccellenza, attivare la macchina del fango. Israele ha deciso di innescare tale macchina contro i bambini denutriti di Gaza, ventilando l’ipotesi di patologie pregresse (in realtà, tutte da dimostrare), e contro i giornalisti adducendo a legami terroristici (da dimostrare).
Impressionante è l’account Instagram ufficiale di Israele. Non del presidente o di un organo governativo, ma proprio del Paese! In questo modo l’identità del feed viene fatta coincidere con l’identità di tutti i cittadini, volenti o nolenti. Il feed ha tutto: post contro i giornalisti terroristi, richieste di liberare gli ostaggi (call to action rivolta ai “clienti”, l’Occidente) affiancati a normali post che celebrano le conquiste sportive della nazionale.
Tra i più incredibili troviamo un’infografica che usa i chicchi di una spiga di grano per denunciare come i palestinesi ricevano più aiuti di Yemen, Afghanistan, Sudan e Congo messi assieme. Testuali parole nella caption:
“Famine in Yemen. War in Sudan. Crisis in Congo. Yet, Palestinians receive 10 to 35 times more aid per capita than people in need in other conflict zones. All persons in need are equal, but apparently some are more equal than others.”
La sottile insinuazione all’Occidente biancoTM che si fregia di supportare il valore sacro dell’Égalité (altro slogan di marketing politico) ma non lo rispetti quando sono coinvolte persone dalla pelle scura non sfugge al lettore meno brainrottato.
Il team social d’Israele sta facendo un lavoro che un neo laureato in marketing della Bocconi se lo sogna la notte quando s’imbianca i pantaloni del pigiama. Ma se si ricevono 17.9 MILIARDI annuali dagli USA dal 2023 in poi, oltre ai fondi percepiti a partire dal 1948, tutto è possibile.
In Italia abbiamo pagine istituzionali tenute su da liceali durante l’Alternanza Scuola-Lavoro.
Israele sta però perdendo colpi sul lato della performance pubblica. Vi faccio un esempio sottolineando le tattiche di marketing.
Piers Morgan ha intervistato May Golan, Ministra israeliana (cosa ne sa una donna di guerra?), su Gaza:
- May dice che nell’intervento precedente (pro pal) ha sentito solo bugie: scredita il competitor.
- Non è possibile che un paese vittima dell’Olocausto possa essere felice che una popolazione sia affamata: richiamo diretto alla brand identity, supportata a livello visuale dalle numerose stelle di David presenti nell’inquadratura.
- Spiegherà meglio la situazione perché il competitor non è stato chiaro: messa in dubbio della trasparenza del competitor, la trasparenza nel marketing è tutto.
- Scredita il content del competitor, “... You have to understand those videos and pictures... could be reflected to one side, I suggest you watch the videos of what happened, of the horrors of October 7th…” :
l’attenzione del cliente dev’essere mantenuta esclusivamente sul proprio brand e sul proprio content. - Alla domanda “Quanti terroristi avete ucciso?” risponde che ce ne sono ancora moltissimi:
svia la domanda su figure di mercato che non ha modo di giustificare. - Ribadisce come l’IDF avvisi prima di colpire mentre i terroristi non lo fanno:
competitor scorretto, brand corretto(ma tratto del terrorismo non è forse la distruzione imprevedibile?).
Ma ecco lo scivolone: afferma che l’IDF non è addestrato a sparare a raffica “like they do in movies” bensì un colpo alla volta, “single shot mode”.
Sottintende che ogni colpo è intenzionale e accurato. Sta dicendo che ogni sparo contro giornalisti, medici o bambini non è casuale, ma un colpo voluto!
Errore imperdonabile che però è stato ignorato dal pubblico.
Siamo abituati ad uscite peggiori in Italia. Shish ad esempio. Feel old yet?
Il mito dei militari israeliani che negli anni ‘50 riuscirono a trovare i gerarchi nazisti fuggiti è ormai sostituito dai balletti, non quelli del 9/11, ma delle soldatesse IDF su TikTok e reel in cui parlano del piatto israeliano preferito.
Ultimo stunt con endorsement di Netanyahu è l’intervento presso le Nazioni Unite. Camion (non quelli vuoti di Bergamo) con schermi a led hanno girato per NY con messaggi sul 7 ottobre e un QR code di un sito informativo: una pubblicità dinamica a sua volta in movimento attira maggiormente l’attenzione in quanto, per ragioni evolutive, tendiamo sempre a notare oggetti in movimento nei paraggi. Netanyahu stesso ha indossato una spilla col QR code inducendo curiosità nei presenti e in chi vedrà video o foto del suo intervento. Massima resa, minima spesa.
Più alto è l’engagement meglio è.
Israele non può essere però solo conflitto, bisogna diversificare i mercati d’azione.
Entrano in gioco gli spot che pubblicizzano le future ville sulla riviera palestinese. Marmo di Carrara, droni powered by Palantir in giardino. A Londra annualmente si tiene un’expo immobiliare sionista per queste proprietà. Buyer principali? Pedofili americani.
Per l'entertainment internazionale abbiamo ADV che invitano a votare Israele all’Eurovision. Tutto pagato dall’Israel’s Foreign Affairs Ministry (che dal 7 ottobre ad oggi ha speso più di 15 milioni di dollari in molti ADV).
Soldi del governo usati per accalappiare il voto da casa in un contest canoro? E noi italiani che c’eravamo incazzati quando la Ferry ha osato chiedere ai suoi followers di votare Fedez a Sanremo. Non abbiamo capito nulla.
Anche Malta ha prodotto ADV localizzati, la differenza è chi ha messo i soldi. Malta è stata sponsorizzata da Grindr (se hai notato il pattern conosci già la sua early life), senza legami col governo maltese, Israele ha una campagna legalizzata dallo stato fatta dall’Israel’s Government Advertising Agency, agenzia pubblicitaria governativa. Questi ADV, presenti a livello omnicanale, sono necessari per mantenere la narrativa e creare il funnel dentro la quale far cadere il cliente, il quale alla fine darà del fascista a chi saprà definire cos’è un bambino.
E sono ovunque: Facebook, Instagram, YT, persino Fanpage. Tutti localizzati nella lingua del paese target. Queste sono campagne con un budget che ogni reparto marketing del mondo vorrebbe.
Livelli che Open to Meraviglia può solo sognare.
Tutto questo impianto mediatico, da cui Meta guadagna, serve per legittimare a livello mentale la necessità di uno spazio vitale israeliano (ricorda qualcosa?). Fa niente se i contenuti vanno contro le policy delle piattaforme, tanto pagano.
Anche il turismo è marketing politico: lo stato dimostra di essere tollerante, pulito, sicuro, superiore ai competitor della zona. L’industria del turismo plasma l’idea che il cliente ha della nazione-brand. Basti vedere l’effetto che ha avuto la serie Emily in Paris sul turismo in Francia.
Facile vincere la corsa all’attenzione del cliente quando il competitor non ha un team di grafici pronti a fare il grafichino coloratino del circolino del popolo elettino, come direbbe Corona.
Israele ha un’immagine social curatissima. Più della Germania nazista di Hitler, tra i primi a fare vero e proprio marketing politico.
Israele vanta clienti fidelizzati con la quale ha rapporti personali diretti, Italia in primis. Una volta raggiunta una brand fidelity forte, il brand può permettersi di fare il cazzo che vuole senza conseguenze.
La popolazione israeliana stessa è la più fedele: vive il brand, respira le policy aziendali, agogna il raggiungimento degli obiettivi trimestrali ed è pronta a scendere in campo in prima persona. La clientela perfetta, la “clientela tribù”: apice di fidelizzazione e dinamica parasociale che ogni brand vorrebbe.
Come può l’Italia competere contro un sistema del genere? Non possiamo! E la cosa ci rode.
Per tutti questi motivi, chiediamo la totale abolizione dei corsi universitari di marketing italiani.
Chiediamo qui e ora corsi di marketing online pagati con cripto erogati dal Mossad. Viaggi studio in Israele con soggiorno nella Trump Riviera per vedere dal vivo il brand più forte del mondo in azione.
L’Italia deve copiare tutto il copiabile.
Abbiamo bisogno di israeliani negli uffici stampa del governo italiano. Ci serve una versione made in Italy del progetto Esther a tutela dell’italianità nel mondo contro gli stereotipi delle coppie di TikTok. Abbiamo bisogno di plasmare le menti del popolo italico, dobbiamo imparare a farlo dai migliori e dobbiamo farlo adesso!