IL VERDE ELISIR

IL VERDE ELISIR
In attesa dell'evento Blast del 19 Marzo a Milano, dove potrete assaggiarlo, ecco a voi un racconto che narra l'origine del Verde Elisir

La genesi 

In quanto sottoterra, quel laboratorio puzzava di chiuso, odore stantio degli ambienti che non vedono l’aria, insopportabile per gli olfatti poco tolleranti. L’Oste e il tecnopirata che gli faceva da guardia passavano lì dentro ogni notte, seguendo quei ritmi indefiniti e scanditi solo da un breve bip di sirena che segnava l’inizio e la fine del turno di lavoro, un bip all’ora tarda, un altro all’alba. Il naso dell’Oste era abituato a svariate tipologie di odori, una delle cose che si apprende stando quotidianamente a contatto con i propri clienti, mentre le sue mani erano abituate al lavoro, in quel caso di miscelazione e combinazione di ingredienti, per lo più erbe raccolte nel bosco lì vicino e nel campo che si stagliava al confine con una strada poco trafficata, il luogo adatto per un laboratorio che doveva essere strategicamente nascosto.

L’Oste si trovava lì per un preciso motivo: creare la miscela perfetta per il verde elisir.

Non si trattava di una bevanda energetica, né di un semplice prodotto alcolico, no, la verde miscela rappresentava molto di più. I suoi effetti erano ancora in parte sconosciuti, ma ciò non placava l’ostinato desiderio di quella banda di tecnopirati, che qualche settimana prima, durante una delle tante chiusure serali del suo bar, l’avevano sorpreso e rapito, senza fargli del male, senza fare rumore: così come andava fatto. D’altra parte, l’Oste non è rimasto sorpreso, perché sapeva che prima o poi sarebbe successo: troppe volte aveva detto no alle insistenti richieste di uno dei pirati che frequentava il suo bar.

L’Oste conosceva i tecnopirati, in fondo non erano gente malvagia, ma memerivoluzionari con uno scopo preciso, ovvero il sovvertimento dell’informazione dominante, almeno questo dicevano. Ma all’Oste poco importava dei loro intenti, gli bastava tornare a gestire il suo bar, ricettacolo di personaggi a volte improbabili, altre scontati, ma sempre familiari. C’era però questa grana da risolvere, una seccatura che l’Oste avrebbe evitato volentieri, ma non aveva alternative, disperso in una porzione di pianura anonima come tante, nel mezzo di una provincia più o meno lontana. Era questione di tempo e l’Oste lo sapeva, perché di miscele ne aveva preparate, oltre che assaggiate, davvero tante nella sua vita. 

Il pirata incaricato di sorvegliarlo si chiamava Bruce Ketta, personaggio tutto sommato piacevole, simpatico alla vista, muscoloso e con la faccia da oca. Bruce Ketta un po’ si spazientiva, ma l’Oste continuava a ribadirgli che presto avrebbero ottenuto ciò che volevano e che il tempo non si comanda.

Erano giovani questi tecnopirati, avrebbero sicuramente imparato qualcosa da un vecchio saggio di provincia come lui, che ne aveva viste e sentite tante. Perciò, quando Bruce Ketta mostrava segni di cedimento, innervosendosi e gonfiando i muscoli, l’Oste con calma cominciava a raccontargli qualcosa che avevo vissuto, o appunto visto o sentito, per poi concludere il racconto con una breve riflessione, stuzzicando la mente di quel pennuto irrobustito, a volte temuto, a volte risibile. Bruce Ketta si calmava subito, anzi, iniziava anche a discutere con l’Oste, a dibattere, a blaterare come se fosse al bar: era una sensazione familiare. E proprio durante uno di quei botta e risposta, l’Oste fece un sorriso e disse:

«Ci siamo». 

Dall’ampolla in cui aveva mischiato e lavorato per l’ennesima volta i vari ingredienti raccolti, come già detto, nel boschetto lì vicino, uscì una nuvoletta di fumo che quasi inebriò i presenti. Il liquido al suo interno era di un verde intenso, profondo, leggermente scuro. Sembrava un veleno che non poteva essere toccato, né tantomeno ingerito, ma così non era. 

«Vuoi assaggiare?»

Elisir
Potrebbe essere questo il verde elisir?!

Disse l’Oste a Bruce Ketta.

I piccoli occhi del pirata sembravano persi di fronte a ciò che stava accadendo, forse increduli. Non rispose, almeno non lo fece immediatamente. 

L’Oste gli sorrise, guardò l’ampolla e la versò su un calice, uno di quelli che aveva al bar, se l’era portato con sé. Strappò poi della menta, un ramo di rosmarino e prese del ghiaccio dal piccolo freezer del laboratorio, versò il liquido e lo mescolò. Diede infine il calice a Bruce Ketta, che esitante lo prese in mano, o in ala, poco cambia. 

Il tecnopirata fissò l’Oste per qualche secondo, quasi esitante, poi bevve un sorso. 

Non aveva mai vissuto niente di simile.

Vide calici scontrarsi e frantumarsi, il vetro tagliare la pelle e il sangue schizzare sul legno vecchio, ma sapientemente intagliato. Vide un ospedale, un uomo piangere e una donna che lo abbracciava, un ragazzo col dito fasciato e una ragazza che rideva felice. Vide una montagna e un pezzo di roccia che si staccava da una cima, un corvo volare nel freddo cielo grigio, un viandante che si toccava il sudore sulla fronte. Vide la tastiera di un computer massacrata dai colpi di dita in un ufficio qualunque, la nebbia fuori e l’orizzonte inquietante.

Vide una spiaggia calpestata da bambini che correvano con in mano un gelato che si scioglieva sotto il sole estivo e aggressivo. Vide schermi pieni di meme che mostravano schermi pieni di meme. Vide citazioni storpiate sui muri di bagni universitari e adesivi incollati sui cessi delle sale concerto. Vide persone discutere, dibattere, fissare idee e costruire pensieri.

Vide altre persone brindare e alzare i calici come spade, verdi, rossi e arancioni. Vide folle davanti ai bar e locande popolate da persone, nelle città e nelle province vicine e lontane. Vide un qualcosa che non aveva ancora visto, una flebile speranza in un mondo luccicoso ma poco luminoso. Intravide infine spiriti che ancora avevano voglia di pensare, di scambiare e di dire e sentirsi qualcosa, di essere sé. 

Quella notte Bruce Ketta pianse, mentre l’Oste se ne tornò a casa, in una delle tante simili ma non uguali province. 

Così nacque il verde elisir, miscela che fortifica chi vuole pensare e che avvelena chi non ha il coraggio di farlo.

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