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Violentissima Dolcezza - Padri del Deserto

Violentissima Dolcezza - Padri del Deserto
Lettura zostile
È uscito il libro Violentissima Dolcezza, e noi, violenti e dolci, ci abbiamo messo le mani sopra.

Era il 19 marzo dello scorso anno, Blast presentava la prima edizione di Proiettili in occasione dell’evento Doner Ke-Blast con SpritzApeiron. L’atmosfera era mistica. Veniamo drogati dagli spritz verdi corretti & corrotti dell’amico filosofo.

Precipitiamo in uno stato confusionale. Urliamo, spariamo. Milano è nostra.

Qualcosa cambia quando, accanto a noi, zoppica urlando un uomo sudicio, vestito di cenci, la barba incolta, un berretto lurido e foracchiato qua e là, sopra il giaccone, indossa una sorta di mantellaccia, una specie di coperta immonda. E grida come un pazzo parole incomprensibili. Io e Anonimo ci guardiamo. Capiamo subito:

È un profeta. 

Per quanto ne sapevamo, se la coperta fosse stata in pelle di cammello e la sua dieta composta di orride cavallettee al momento non abbiamo motivo di credere il contrarioquell’uomo poteva essere tranquillamente l’incarnazione del Battista, che col suo detto sapienziale ed eretico annuncia la nuova escatologia. Eppure, qualcosa non torna. I profeti stanno nel deserto. Ecco la risposta:

Milano è il nuovo deserto. Da Babilonia alla cenere. Tutto è compiuto.

Un anno dopo, il mese scorso, Davide Brullo e Fabrizia Sabbatini – per noi Sab-basataannunciano l’uscita del nuovo libro edito da Pangea, la nostra zia dai saldi valori morali e anche un po' stronza.

Violentissima dolcezza”, un libro di dolcissima violenza. Dulce et decorum est in deserto mori. “Violentissima dolcezza” è la raccolta, finemente curata da Andrea Ponso, dei Detti dei Padri del deserto. Emarginati, luridi, folli. Solo al figlio dell’uomo è concesso predicare nella Città. 

Scrive Ponso nell’introduzione (ma è forse una lettera, un discorso criptato, un messaggio in bottiglia)

«Non siamo in un deserto, anche senza abitarvi geograficamente, proprio al centro di un turbinio infinito di parole che sono solo comunicazione e quasi mai lotta, comunione e generazione? Non è forse il nostro deserto costruito dalla sabbia infinita di tante, troppe parole sprecate in ogni ambito, purtroppo anche in quello poetico? Non siamo noi stessi, in gran parte, questo stesso deserto, incapaci di comunità e terrorizzati dalla singolarità e dalla solitudine? 

E, allora, cosa ne vogliamo fare dei padri? Vogliamo usarli come abbellimento, come segno di distinzione intellettuale e spirituale? Vogliamo ingannarli ingannando noi stessi?

Vogliamo allestirci un piccolo deserto su misura, quando ogni deserto è, per sua natura, smisurato? Bene, in fondo, i padri ce lo consentono e, indirettamente, ci portano nello smisurato silenzio del loro deserto: infatti adesso una parola non è più possibile»

Nessun intellettualismo fine a se stesso. Noi siamo ciò che siamo. Buzzurri cosparsi di polvere al Mercoledì delle Ceneri. Pubblicare oggi gli Apophthegmata non è – specifica Ponso – una fuga dal mondo. È anzi una presa di posizione radicale, statuaria, vertiginosa. 

Nomi strani, sparsi, come semi infestanti, come i semi di papavero. O parole senza nome, verbo adespota, periodo dall’identità annullata.

«È meglio abitare con le belve che con quanti vivono male. Siediti con gli avvoltoi, piuttosto che con l’uomo avido e insaziabile. Fa’ amicizia con l’assassino piuttosto che con chi ama la contesa. Conversa con un maiale piuttosto che con un ingordo: è meglio, infatti, il truogolo dei maiali di una bocca divoratrice e insaziabile. Siediti con i lebbrosi, piuttosto che con i superbi». 

Non la presunzione del magistero, droga degli imbecilli. Il Padre del deserto è più puro e meno puro, più illuminato e più tormentato dalle tenebre. La sua parola è salvezza e dannazione.

«Un fratello disse ad abba Teodoro: “Dimmi una parola, perché mi sto perdendo”. Ed egli con pena gli rispose: “Io stesso sono in pericolo: che posso mai dirti?”». 

Spogliarsi di tutto, come Francesco. Riconoscemmo, un tempo, Lino Ieluzzi profeta del nostro tempo, ma la verità sta nello spogliarsi, o nell’indossare, tutt’al più, quattro stracci.

«Ama rivestirti di abiti poveri, per annientare i pensieri che nascono in te, intendo dire quelli di esaltazione. Chi infatti ama abbigliamenti splendidi non può acquisire pensieri umili, perché il cuore si conforma all’aspetto esteriore». 

*

Qualcosa ci fa tremare, in queste pagine, come una premonizione. È tra i rovi del deserto – in copertina, sempre raffigurato dal visionario Angelo Borgese, ange terrible dell’arte adriatica, un rovo munito di spine immense, appuntite & taglienti – che si raccoglie il presagio, che si nasconde la parole del futuro. Come in un arbusto ardente.

«Il padre Antonio disse: “Verrà un tempo in cui gli uomini impazziranno, e al vedere uno che non sia pazzo, gli si avventeranno contro dicendo: Tu sei pazzo! A motivo della sua dissimiglianza da loro”». 

Andate e bevetene. 





«Il padre Titoes ha detto: “Dominare la propria lingua, ecco la vera estraneità”». 

Blastidi in cerca della folgorazione sulla via di Damasco (oggi trafficata di bombe), è questo libretto il vostro Vangelo, questo il vostro scudo e l’oggetto contundente. Questa la reliquia desertica, la rosa del deserto, lo specchio in cui raccapricciarsi della propria immagine. Prendetelo e sbrindellatelo, fatene carta per le vostre molotov, usate la copertina come filtro per la vostra ultima sigaretta.

Questo è libro di perdizione e di trincea.

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