Dopo averci insegnato che la musica è magia, che essere spontanei è ciò che ci rende vivi.
Al là di ogni retorica su una equivocata idea di libertà, andrà prima o poi riconosciuto l’enorme spessore artistico di Franchino.
Era un talento puro, in un modo inimitabile e straordinariamente naïf
: non aveva nessuna particolare qualità artistica – né come produttore, né come dj – ma era prodigioso per le capacità suggestive e poetiche che esprimeva come cantastorie, come profeta tribale del crepuscolo tecnologico di fine Novecento.
Era manifestazione di una poesia vivente, una poesia del corpo, della voce tremolante, delle parole mangiate, delle pause, dei singhiozzi.
Era potente nelle visioni che evocava, nella bizzarra costruzione delle frasi che, urlate o sussurrate, pronunciava a sé stesso, incurante del pubblico, sordo a qualsiasi richiamo che non fosse quello della musica.
Poteva prendere il microfono e piangere ricordando la madre che lo teneva sulle ginocchia quando era piccolo; poteva recitare una poesia di Pascoli o, come fece in più di un’occasione, prodursi in dichiarazioni d’amore rivolte alla discoteca, personificata in una donna che, nelle spirali della sua nostalgia, spesso ricordava, facendo sentire la commozione di un amore lontano.
Ma sempre a sé stesso stava parlando.
Non tutti ricordano che non aveva avuto nessuna formazione specifica. Faceva il parrucchiere quando, quasi per caso, si ritrovò in consolle, recandosi, consigliato dal raffinato dj Miki il Delfino, all’Imperiale di Tirrenia nei primi anni ’90.
Franchino non dovrebbe essere ritenuto un vocalist, almeno non nell’accezione che questo termine ha comunemente.
Lui non parlava a nessuno, non voleva incitare a ballare, non seguiva i dj (anzi, come mi è stato confermato da alcuni di loro, questi erano spesso affettuosamente infastiditi dalle sue invadenti improvvisazioni)
Franchino, semplicemente, cantava la sua nostalgia al cielo, gridandola ai fari che brillavano come astri nella volta di forex nero di una discoteca. Cantava le sue sofferenze, la sua magia, parlandosi addosso in un’invocazione che era come una preghiera.
In quest’operazione andrebbe avvicinato a Carmelo Bene, altro artista del corpo e della voce che, come lui, ha pagato con la salute una fatale fascinazione per tecnica, poesia e suono. In Franchino lo spirito del cantastorie dell’antica toscanità si potenziava con una capacità naturale di sentire il tramonto di una civiltà, il tramonto che segnava la fine del secolo.
Nessuno come lui ha rappresentato il disincantamento del sogno tecnologico.
In un’altra epoca e con una diversa educazione sarebbe diventato un grande poeta o, forse, un alchimista alla corte di un re.
Franchino era figlio di un tempo in cui la fiducia nella tecnologia – che nella musica progressive-trance appariva nei riferimenti ad astronavi e viaggi interstellari – si sgretolava nella banalità di una modernità impoetica.
Franchino era il manifesto di un momento straordinariamente ricco della storia della musica elettronica, destinato a essere riconsiderato nei prossimi decenni.
Un momento di forte sperimentazione musicale, in cui figure come quelle di Gianni Parrini, Miki il Delfino, Claudio Diva, Andrea Giuditta, Ricky Le Roy, Mario Più e Gabry Fasano sono state decisive per lo sviluppo del genere.
Franchino era anche un buono.
Lo conobbi nel 2018, vedendolo in due occasioni: era stanco e si muoveva nella vita strascicandosi come un debole fantasma. La sua dimensione notturna lo aveva svuotato.
Franchino è stato il joker del clubbing italiano, il foul in una congiunzione astrale in cui era necessario, in cui la sua presenza ha fatto la differenza.
Ha trasformato l’immaginario di tutti noi, ha reso serate in discoteca parti di una storia più grande, la sua storia, la storia del mondo: dalla Grande Botta al West.
Metempsicosi non è solo il nome dell'etichetta/agenzia/gruppo fondato da Franchino e Mario Più alla fine del secolo scorso, ma un concetto di rinnovamento.
Spirituale e culturale. Che ci riporta a Pitagora, alla Magna Grecia.
A quella che è l’origine mistica della penisola e del mondo. Ora è iniziato il suo ultimo viaggio. Il clubbing, le serate, possono essere molto più di semplice esercizio fisico per spaccarsi in compagnia. Come disse una volta:
“In cielo c’è Gesù ed in terra Mario Più (Mario Più)”
Franchino santo subito?
Negli ultimi tempi Franchino trovava ristoro nella sua casa nella campagna toscana, tra animali e verde.
Nella natura aveva colto una verità. Prendersi cura del giardino lo rendeva felice e negli animali vedeva il miracolo della Creazione, trovava la pace per il suo cuore oppresso.
Preghiamo per lui e rendiamogli omaggio.