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VOCI DALLA SILICON VALLEY - INTERVISTA A DAVE GREENE ‘THE DISTRIBUTIST’

Di Pellegrino Astrale

VOCI DALLA SILICON VALLEY - INTERVISTA A DAVE GREENE ‘THE DISTRIBUTIST’
Lettura boomer
Una conversazione lucida con Dave Greene, alias The Distributist: tra techno-reazione, post-modernità e decadenza occidentale.

VOCI DALLA SILICON VALLEY - INTERVISTA A DAVE GREENE ‘THE DISTRIBUTIST’

Di Pellegrino Astrale

30/09/2025

Pellegrino Astrale: P
Dave Greene: D


La California costituisce per molti versi il ‘finis mundi’ dell’Occidentale, l’estrema propaggine dell’espansione ad ovest dei pionieri americani. Quella terra rigogliosa dove le foreste di sequoie terminano su scogliere che si tuffano a strapiombo sull’Oceano Pacifico. La terra dove sogni, speranze e ambizioni vanno a confluire in un vortice di influenze dall’occidente e dall’oriente. La terra dove è normale trovare templi mormoni a fianco a centri buddhisti, dove il ceo della start up tech di turno tiene un seminario sulla compassione universale mentre dall’altro lato della strada c’è un accampamento di senzatetto. In questa terra di contraddizioni, che dagli anni ’60 ha fatto della ribellione il suo marchio di fabbrica, ho avuto il piacere di incontrare un ribelle alla ribellione (il futuro è il passato?), un pensatore libero, veterano dell’internet che da anni sforna su YouTube e Substack riflessioni sui tempi correnti con un occhio di riguardo per pensatori eterodossi della storia occidentale. Questa è l’intervista con Dave Greene, anche noto come ‘The Distributist’.


P: Non molte persone ti conoscono tra il pubblico italiano. Perché non inizi con una presentazione di te stesso e del tuo percorso intellettuale?

D: Ottima domanda. Scrivo un blog con il nome di Dave Greene e gestisco un canale YouTube dal nome ‘The Distributist’, chiamato così perché sono stato parzialmente ispirato da G. K. Chesterton e altri scrittori cattolici del primo Novecento. E man mano che le cose andavano avanti, mi sono interessato maggiormente agli studiosi di destra della post-modernità e alle varie scuole di pensiero non progressiste del XIX e XX secolo. E questo è diventato il tema principale del mio blog: prendere quelle idee e tradurle in ciò che stava accadendo intorno a me, soprattutto online ma anche offline, dato che c’è sempre meno differenza tra le due sfere. Penso che la maggior parte delle persone mi conosca per aver divulgato gran parte del lavoro di Curtis Yarvin su YouTube, e in qualche modo aver cercato di approfondire autori (non così tanto) esoterici come Thomas Carlyle e Joseph de Maistre, due dei miei preferiti, insieme alle scuole italiane di teoria delle élite. Sono anche molto interessato e influenzato da Oswald Spengler, che sembra essere una persona sempre più rilevante in questi tempi.


P: Quando si tratta di strategie politiche per le persone che potrebbero sentirsi al di fuori della cultura e dello zeitgeist politico mainstream, ci sono opinioni diverse, in qualche modo convergenti, in altri contrastanti su cosa fare in termini pratici. Alcuni potrebbero sostenere un approccio gramsciano di conquista delle istituzioni. Altri sottolineano l’importanza della decentralizzazione e di comunità parallele, il distacco dal mainstream. Qual è la tua posizione in questo dibattito?

D: Ci sono sempre state tre scuole di pensiero, quella Entrista, ovvero gramsciana, il Parallelismo, ovvero il creare una situazione alternativa che non si interseca con le istituzioni di potere mainstream e poi l’idea Populista o in alternativa Accelerazionista, che riguarda l’andare più veloce o sopraffare le istituzioni attraverso il sostegno popolare. Accelerazionismo e Populismo sono cose diverse, ma condividono questa idea di usare un’ondata per ribaltare improvvisamente le cose. Yarvin ha ragione nel pensare che quando hai un sistema che ha solo potere populista, come abbiamo noi in questo momento, non c’è un’ideologia di destra organizzata. Se hai solo potere populista, e se operi al di fuori dell’oligarchia principale, allora la tua unica opzione è qualcosa che accade molto rapidamente. Nel concreto: esplodere in massa su Twitter, e poi ottienere quello che si vuole da Trump. Essere sempre arrabbiati, sempre rumorosi. Beh, funziona a breve termine. È una strategia collaudata delle folle che hanno solo potere populista: l’urlare molto forte e ottenere di tanto in tanto un osso lanciato loro dalle élites. Non è una strategia praticabile a lungo termine. Una rivolta di martedì e un’altra di venerdì non si sommano a un movimento la domenica. Cioè, sono tutti solo dei one-off. Le persone devono usare ciò che ottengono da queste esplosioni per creare effettivamente qualcosa che duri a lungo termine.


P: Yarvin parla di patchwork e uno dei suoi punti di riferimento intellettuali, Hans Hermann Hoppe, parla di un’ Europa dalle mille Liechtenstein. Se pensiamo a lungo termine e non ai cicli elettorali, come suggerivi prima, possiamo dire di star andando verso la fine dello stato post-westfaliano? Immaginando, mettiamo, due secoli nel futuro, stiamo forse andando verso la balcanizzazione dell’Europa e del Nord America?

D: Penso che stiamo entrando in una regione della storia in cui le ideologie di massa in grado di unificare stati-nazione in termini di consenso sembra stiano cadendo nel dimenticatoio. Ma il problema è che viviamo ancora in una catena di fornitura globale. Credo che le persone tendano a esagerare gli sviluppi tecnologici recenti. Questi sviluppi computazionali sono socialmente dirompenti, ma operano ancora con le stesse limitazioni fisiche sotto cui operano tutte le altre tecnologie. E queste richiedono energia e l’energia è qualcosa che proviene da grandi catene di fornitura fisiche di materiali, processi di produzione e reti. A meno che non ci sia un vero collasso, credo che quello che accadrà -e questa è solo una supposizione- è una simbiosi tra grandi catene di fornitura e gruppi di interesse politici più piccoli che operano all’interno di alleanze più larghe. Questa è l’unica cosa che mi sembra potenzialmente stabile in futuro.


P: Pensi che queste alleanze saranno basate più su Internet o sulla geografia concreta?

D: Al momento, sembra che le comunità siano in gran parte su Internet e che queste cose rimarranno su Internet. Ma penso che se dovessimo affrontare una grave scarsità di risorse, allora queste comunità inizierebbero a diventare più regionali. Ci sono certe barriere di tipo culturale, linguistico ed etnico che inizieranno a farsi sentire maggiormente. Credo che in ultima analisi a chi uno giurerà la sua fedeltà politica si atterrà a quelle linee geografiche. In definitiva, c’è una vera e propria incognita in questa conversazione ed è il fatto che negli ultimi ottant’anni abbiamo avuto questa religione americana dominante chiamata Progressismo o Progressismo Liberale che è stata la religione dominante tanto della classe dirigente europea, quanto di quella americana e canadese, oltre che la religione implicita di molti dei nostri alleati del terzo o del secondo mondo. Questa religione sembra essere in procinto di crollare ma nessuno ha idea di cosa inserire in quel vuoto. Nessuno sa cosa succede alla fine di questo crollo. Ipotizzando che se non ci fosse un sostituto per il progressismo, quel tipo di patchwork ideologico a sostegno di una catena di fornitura più ampia sarebbe la soluzione più stabile. Ma chissà cosa potrebbe accadere se ci fosse una religione sostitutiva. Se il progressismo morisse sul serio, se gli accadesse qualcosa di peggio che perdere solo qualche elezione e la sua struttura di potere negli Stati Uniti venisse distrutta, ci sarebbero quel tipo di persone scalatrici sociali che abitano New York e Los Angeles che cercherebbero di aggrapparsi alla prossima grande narrativa per farne il nuovo punto di riferimento religioso per tutti gli altri? È molto possibile.


P: Questo mi porta alla prossima domanda. Hai menzionato l’importanza della lingua, della cultura, della vicinanza etnica eccetera. Dato che questa intervista è per un pubblico europeo e c’è sempre stato un certo grado di conflitto tra America ed Europa, quanto pensi che condividiamo un destino comune, come parte della stessa civiltà e quanto invece ci stiamo allontanando gli uni dagli altri?

D: Quasi tutti in Canada si definiscono non americani, anche se nel concreto dopo la seconda guerra mondiale sono passati dall’essere nella sfera di influenza britannica a quella americana. Eppure il loro orizzonte culturale è orientato dal lato liberal progressista dell’America, e la stessa cosa vale per l’Europa. Se stiamo parlando in generale nell’ordine dei secoli, non vedo come l’America e l’Europa non abbiano un destino comune. Siamo un’unica entità onnicomprensiva. È qui che è utile prendere in prestito Spengler. Condividiamo la stessa civiltà faustiana così come un declino comune in termini morali e culturali. E a causa di ciò, le risposte alla crisi saranno probabilmente molto simili. Se invece volgiamo lo sguardo a posti come la Cina e la Corea, paesi che condividono una crisi di modernità similare, le loro soluzioni, penso, saranno radicalmente diverse. Inoltre non soffrono degli stessi problemi che hanno America ed Europa in termini di immigrazione. Cina e Corea non devono affrontare questa idea del definire cosa significhi essere cinese o coreano. America ed Europa ora devono, in tempi molto brevi, trovare una risposta alla domanda su cosa significhi essere americani, cosa significhi essere inglesi, italiani, tedeschi. E la risposta non può essere soltanto il seguire la legge e il fatturare. Se tutti coloro che seguono la legge e fanno soldi sono cittadini del tuo paese, allora, nell’economia globale postmoderna, non avrai più un paese. E a causa di ciò, questa non è una risposta sufficiente alla domanda. Penso che in questo senso, Europa e America abbiano un’identità comune. I nostri destini nell’arco di cento anni ovviamente saliranno e scenderanno più o meno con le stesse ampie pennellate. Nei prossimi 10 anni, però, ci sono tutti questi bei giocattoli lucenti per cui possiamo litigare.


P: Hai menzionato Cina e Corea, che sono ovviamente società molto aliene rispetto all’Occidente, ma non hai menzionato un jolly, un paese che è in costante crisi d’identità sul ritenersi occidentale o una cosa a sé stante, e cioè la Russia.

D: La Russia è un caso molto strano. Spengler aveva assolutamente ragione su questo punto. Per molti versi è stato profetico. Se me lo avessi chiesto qualche anno fa, avrei semplicemente detto che la Russia è un altro paese europeo che era un po’ indietro rispetto agli altri e poi è stato coinvolto dal comunismo prima di avere la possibilità di sperimentare lo sviluppo nella Rivoluzione Industriale. Penso che Spengler abbia correttamente sottolineato come la Russia, attraverso la sua associazione con l’Impero Romano d’ Oriente decaduto, è arrivata in maniera profonda all’essere qualcosa di completamente diverso, non del tutto proprio della civiltà Magia, né di quella Faustiana. Aveva anche compreso che i suoi governanti erano stati europei che avevano essenzialmente colonizzato le terre russe, che tutti gli ultimi 400 anni di civiltà russa da quando stava scrivendo erano stati un’imposizione sulla sorta di ‘russità profonda’ che non si era mai veramente espressa pienamente. Penso che ci sia qualcosa di vero in questo. Se ascolti Dugin, tutte le sue idee sono affascinanti, provocatorie, totalmente non adeguate per l’Europa occidentale o l’America. È quasi come se parlasse ad orecchie russe piuttosto che occidentali. Suppongo che la Russia seguirà la propria strada. Ma il problema è che la Russia sta ancora soffrendo la modernità come tutti gli altri. Essa deve ancora affrontare i problemi portati dalla dirompenza tecnologica, crisi del tasso di natalità ecc… le sue risposte non sono significativamente migliori di quelle cattive che noi abbiamo trovato finora ed è facile credere che l’Occidente troverà soluzioni migliori di quelle della Russia in tempi molto brevi, quando perderà la sua comprensione delirante del XX secolo.


P: Continuando questa discussione su Europa e America, qual è la diversa percezione del concetto di socialismo tra i due?

D: Penso davvero che l’Europa sia più avanti di noi in termini di percezioni su questo tema. L’America, dopo la Seconda Guerra Mondiale, si è trovata in una posizione in cui aveva molta prosperità e stava cercando di definirsi ideologicamente. Non voleva definirsi ideologicamente in termini nazionalisti o particolaristici. Quindi l’idea era di definire l’America come un paese ideologicamente libertario di liberi mercati, libere menti eccetera. Ora, il problema è che la versione del capitalismo di libero mercato del 19esimosecolo non è molto rilevante nel 21esimosecolo, nel quale quasi tutti i paesi si reggono sul debito. Tutto il denaro che abbiamo speso è una specie di strana valuta stampata a corso forzoso collegata a una catena di fornitura globale che nessuno capisce veramente e che è più un oggetto geopolitico che altro. Quindi quando gli esponenti della destra in America criticano il socialismo nella definizione del ‘governo che fa cose‘, ciò che stanno realmente cercando di esprimere è che non gli piace quello che ha fatto il governo centrale dagli anni ’50 in poi. Non gli piace la grande causa ideologica del governo americano e si rifugiano contro il desiderio del governo di rimodellare la società secondo linee liberal progressiste. È una forma di ritirata nella propria casa, nella propria comunità, nella propria proprietà, nella propria sicurezza, perché era molto, molto difficile per gli americani rivendicare un’identità culturale comune di qualunque tipo.


P: Sei originario dallo stato della California, che ospita la Silicon Valley, un hub che può essere descritto come cruciale per la modellazione del 21esimosecolo. È anche la casa del fenomeno recente della ‘Tecno-Destra‘ di cui tanti giornali parlano negli ultimi mesi. Lo vedi come un movimento interessante o per lo più una facciata? E in generale, quali sono le tue considerazioni sulla tecnologia?

D: Direi che la tecnologia è uno strumento che può essere utilizzato in diversi modi e ha sicuramente i suoi vantaggi per cose come la penicillina, la medicina moderna ecc.… Ma penso che stiamo assistendo all’emersione di molti dei suoi lati negativi che non avevamo previsto nella prima parte del 20esimosecolo, vale a dire che la tecnologia incoraggia questa crescente complessità del sistema e una crescente dipendenza da esso che in realtà degrada la capacità delle persone di interagire con la tecnologia. I social media sono un buon esempio di questo fenomeno. Credo che i social media siano intrinsecamente degeneri perché erodono i legami sociali. Essi catturano quella vitalità, la incanalano nell’algoritmo e la monetizzano. Questo è stato il caso di Facebook. All’inizio tutti ne erano entusiasti; ma l’engagement ha fatto sì che tutti si odiassero e lasciassero Facebook e poi il social network è morto. Non ho mai incontrato nessuno che abbia guadagnato più amici su Facebook di quanti ne abbia persi… Quando si tratta della questione della Tecno Destra mi viene alla mente la dicotomia della buona e cattiva azienda tecnologica della Silicon Valley. È risaputo, tra coloro che operano nel settore, che una buona azienda tecnologica è quella che è in grado di intercettare le esigenze del pubblico quando si tratta di risolvere determinati problemi tecnici e poi trova un modo per risolverli, queste sono aziende che forniscono un servizio per il quale esiste una domanda reale. Una cattiva azienda, d’altra parte, è quella che cerca di creare un trend anche se non c’è alcuna domanda organica per ciò che essa offre, è il tentativo di promuovere un’idea per la quale non c’è domanda. La Tecno-Destra rientra nella definizione di quest’ultima, è un prodotto alla ricerca di un consumatore, un’ideologia da LinkedIn progettata per fare bella figura sulla carta e ottenere investitori. Nessuno è realmente entusiasta, i giovani non dicono ‘Voglio unirmi alla Tecno-Destra e fare in modo che Peter Thiel guadagni di più’. La maggior parte delle persone che ci lavorano dietro sono incapaci di ispirare e di fornire una grande narrazione per il futuro che le persone vogliano sostenere. C’è una domanda organica per senso e comunità ma queste cose sono difficili da costruire. Ciò che non è difficile è dire come colonizzerai Marte, come creerai una super-intelligenza artificiale per governare il mondo o come vivrai per sempre. Queste cose sono troppo futuristiche per produrre domande difficili e nella misura in cui la tecnologia genera questioni politiche realmente difficili, la Tecno-Destra non fornisce mai risposte.


P: A proposito di tecnologia e movimenti nati da Internet, abbiamo assistito negli ultimi anni ad una forma di revival religioso tra gli zoomer basato su Internet. Quanto di esso credi sia genuino e quanto è invece destinato a essere una moda temporanea? Qual è la tua prospettiva su questo tema da cattolico e da americano?

D: Seguo la regola per la quale solo il 20% di ciò che vedi su Internet si materializza nel mondo reale e questo fenomeno non fa eccezione. Penso che la maggior parte di esso rimarrà su Internet, ma anche che ne uscirà fuori una coorte davvero determinata di zoomer. Ci sono personalità di Internet della sfera religiosa come Andrew Wilson o Corey Mahler che in certi periodi ho ammirato, ma credo anche che abbiano difetti intrinsechi che impediscono loro di colmare il divario tra il mondo reale e la religiosità più memetica e basata sulla rete. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, la chiamo la IBM del mondo religioso. Sono grandi e arrivano sempre in ritardo alla festa e quando finalmente recuperano la festa è già finita. Penso che supererà gli ostacoli attuali perché credo che sia guidata dallo Spirito Santo, ma molto del dolore sarà attenuato se comprende che deve formare quel tipo di nucleo molto devoto e deve smetterla di fare la guerra contro i suoi aderenti più tradizionali, specialmente in America con la questione delle messe in latino. Ma ancora più importante del dibattito Novus Ordo/Messa in latino, il problema principale è generazionale: la Chiesa cattolica è bloccata nel ventesimo secolo. Molte persone sanno che ore sono nella Chiesa cattolica, ma ci vorrà del tempo prima che raggiungano posizioni di leadership.


P: Hai scritto in merito al rapporto zoomer/dating. La mia domanda qui è molto semplice: quanto è messa male la situazione?

D: Sulla questione degli zoomer e della formazione della famiglia ci sono due componenti dell’equazione. Il primo è quello delle risorse ovvero il fatto che affinché le famiglie si formino, giovani uomini devono avere accesso a risorse e in particolare: lavoro e immobili. In altre parole: Quante ore di lavoro sono necessarie per ottenere un mutuo sulla casa? Nei paesi occidentali bisogna anche tenere conto dell’effetto dell’immigrazione di massa che aumenta i prezzi delle case e abbassa gli stipendi perché fa crollare la domanda di lavoro. Questa è una metà del problema. L’altra metà è cosa fanno i social media alla percezione che le donne hanno dell’universo e di sé stesse. Questo è un grosso problema, ovvero che tutte le menti umane sono in qualche modo degradate da Internet. I social media danneggiano davvero la mente delle donne e in particolare la mente delle ragazze perché sono sintonizzate per essere compiacenti e la rete e l’effetto di assorbimento dell’attenzione le colpisce più duramente. Ma in definitiva questa è, ancora una volta, una lotta generazionale. Un paese dovrebbe essere gestito nell’interesse dei suoi figli e del loro futuro e l’attuale classe dirigente non sta pensando affatto in questi termini.


P: Un’ultima domanda. Quando si tratta del mondo delle arti, è un eufemismo affermare che la maggior parte delle persone troverebbe una galleria d’arte contemporanea poco attraente. Secondo te, quali sono i migliori medium ad oggi dove trovare espressioni artistiche di valore?

D: Probabilmente sto adulando i vostri lettori, ma l’arte del 21esimo secolo è sicuramente il meme. Già verso la fine del 20esimo secolo le gallerie d’arte erano morte, negli ultimi anni anche Hollywood è morta. Penso che molto di questo sia dovuto al fatto che gli autori non sono più in sintonia con il pubblico e non condividono più una visione comune con esso. Per il futuro vorrei vedere più forme d’arte locali, prodotte da persone di cui posso fidarmi, con cui sento un futuro comune e una visione comune per il futuro.

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